1831: disastro ambientale globale
Vulcano Zavarickij
Nel 1831, accadde un evento naturale che interessò negativamente tutto il globo terrestre, in modo particolare l’emisfero boreale: un’esplosione violentissima, alla quale seguì un’enorme fuoriuscita di lava, liberò nell’atmosfera dell’emisfero boreale una grandissima quantità di biossido di zolfo (SO2), successivamente quantificata in circa 13 milioni di tonnellate, che ha offuscato la trasparenza dell’aria e abbassato la temperatura mediamente di un grado Celsius per molti mesi. I danni furono incommensurabili, fra cui quelli dell’agricoltura, che la trasformarono in un fallimento: infatti, scoppiò una carestia che colpi ferocemente le popolazioni, causando molti decessi di uomini, animali di allevamento e non solo, per stenti e fame.
Ma che cos’era successo? Sulla causa del disastro non vi erano dubbi: solamente un’eruzione vulcanica di dimensioni colossali poteva essere in grado di combinare un simile guaio. Na quale vulcano fu l’artefice del misfatto?
Oggi, si fa presto a individuare dove questo fenomeno possa manifestarsi con gli strumenti avanzati di cui la scienza può avvalersi, quali sono le stazioni globali di monitoraggio sismico e i satelliti artificiali. Ma, a quei tempi, non era facile stabilire dove si fosse scatenata l’attività vulcanica, soprattutto quando si presupponeva che il luogo fosse lontano, disabitato e al di fuori delle normali linee di comunicazione. Due secoli fa non erano a disposizione i mezzi tecnici di cui i vulcanologi si possono servire ora, per cui non fu possibile risalire a quale fosse la causa di quel disastro climatico; e, alla fine, se così si potesse dire, il vulcano assassino la fece franca.
Solamente in tempi recenti si è riusciti a risalire al vero colpevole, artefice di quel disastro climatico. E ciò è dovuto alla testardaggine e alla costanza di un gruppo di studiosi vulcanologi, capitanati dall’Inglese William Hutchison, ricercatore principale della «School of Earth and Environmental Sciences» dell’Università di Saint Andrews del Regno Unito, che è riuscito a dare un nome alla causa di cui si sta discutendo. Essi, infatti, giunsero alla soluzione dell’enigma, che ha mortificato e maltrattato il globo terrestre, a quasi 200 anni dall’avvenimento: il colpevole era il vulcano Zavarickij, che si eleva sull’isola Simushir appartenente all’arcipelago delle isole Curili, situate fra la penisola russa della Kamchatka e il Giappone. Il nome del vulcano è preso da quello dello scienziato russo Alexandr Nikolaevič Zavarickij, dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica, vissuto a cavallo fra il XIX e il XX secolo. Quell’isola, ora disabitata, pare che sia stata una base sottomarina della marina sovietica.
Però, c’è da aggiungere che non fu tanto semplice, come si può pensare, pervenire a quel risultato. Il gruppo di studiosi campionò carote di ghiaccio groenlandese puntando l’attento esame su isotopi di zolfo, particelle di cenere e frammenti di vetro vulcanico, che sicuramente si sono depositati nel periodo che va dal 1831 al 1834; e si sono resi conto, facendo il confronto fra la presenza di zolfo nelle carote di ghiaccio groenlandesi e in quelle provenienti dall’Antartide dello stesso periodo, che le prime ne contenevano 6,5 volte in più, per cui l’origine non si trovava nell’emisfero australe, bensì in quello boreale, per giungere alla conclusione che solamente da quel vulcano potevano provenire. Che fosse parecchio tempo che il vulcano stava maturando l’eruzione lo dimostra la data di quella precedente che risale all’800 avanti Cristo, vale a dire a più di 2.600 anni prima.
In precedenza, le informazioni disponibili sul vulcano Zavarickij erano veramente poche, tanto che il primo indizio portò a colpevolizzare altri vulcani, fra i quali, «in primis», il vulcano Barbujan Claro delle isole Filippine. Ma poi, stando a quanto riferito da Stefan Brönnimann, responsabile del Centro di Climatologia dell’Università di Berna in Svizzera, solamente nelle isole Curili poteva essere avvenuto il fenomeno.
Si è trattato di un lavoro di gruppo portato avanti anche con la collaborazione di colleghi russi e giapponesi, che fornirono campioni provenienti da altri giacimenti, a suo tempo depositatisi. Dunque, riportò Hutchison, il vero responsabile di quel periodo nero, che ha prodotto il raffreddamento della Terra nel 1831, era proprio il vulcano Zavarickij.
Chiaramente, l’aver raggiunto l’agognata risoluzione dell’enigma, inizialmente ritenuta impossibile o quasi, fu un elemento di grande soddisfazione per i ricercatori. E ciò fu lo stimolo per andare avanti, non più brancolando nel buio.
Lo studio, questa volta effettuato sul posto, ha dimostrato che la caldera del vulcano Zavarickij, del diametro di circa 6 chilometri, è il frutto di quell’attività eruttiva del 1831. Si chiarisce che per «caldera» («caldaia» per gli Spagnoli) si intende una grande conca o depressione, che dir si voglia, solitamente circolare o ellittica, con strati dovuti a precedenti fenomeni eruttivi di vario colore (bianco, rosso, nero), quasi sempre ripiena di acqua a formare un lago. Essa è il risultato normale dello sprofondamento della camera magmatica di un vulcano, anche se solo parziale, a seguito di un’importante eruzione. E questo evento del tutto naturale avvenne durante il periodo della cosiddetta Piccola Era Glaciale, che va dal 1800 al 1850, uno dei più freddi riscontrati negli ultimi 10.000 anni.
La valutazione dell’importanza del fenomeno eruttivo del vulcano Zavarickij ha portato al suo paragone con quello del Monte Pinatubo, che si eleva sulle isole Filippine, verificatosi nel 1991.
Ora, lo studio preventivo dei vulcani è decisamente di grande interesse, perché consente, in certi casi, di prendere le decisioni necessarie per la salvaguardia delle popolazioni e sollecita a mettersi insieme e, insieme, cercare di affrontare e risolvere, dove è possibile, le situazioni più complicate.
Tutto questo è stato raccolto dal gruppo di ricercatori nel «Proceedings of the National Academy of Sciences» (PNAS), che può essere di grande aiuto nella comprensione delle attività dinamiche dei vulcani e nella prevenzione di potenziali disastri futuri, quando ciò si dimostri possibile.
Ora il vulcano Zavarickij è alto 624 metri e presenta tre caldere, l’una sopra l’altra, di 10, 8 e 3 chilometri di diametro piene di acqua dolce a formare il lago Birjuzovoe (lago turchese); nei pressi sono coni e duomi vulcanici di recente formazione. La sua attività di quando in quando entra nella cronaca: nel 1916, è sorto un duomo lavico; nel 1957, a seguito di una serie di eruzioni esplosive, si è formata una cupola lavica di 350 metri e alta 40, a scapito delle dimensioni del lago.
Oggi, l’attività è ridotta a fumarolica e termale.