1816: l’anno senza estate
Trionfo della neve e del gelo
Da anni, ormai, ci siano resi conto che qualcosa sta cambiando e non certamente in meglio: aumentano le temperature, si accrescono la siccità e la deforestazione, si moltiplicano gli uragani, i tornado e le micidiali bufere; e sembra che, purtroppo, all’uomo non sia consentito organizzarsi per tempo a parare i colpi e mettere in atto le controffensive necessarie, o per interessi (abbattimento delle foreste del Mato Grosso, per citare un caso) o per tardiva valutazione di ciò che lo circonda (faremo, andremo, diremo... ma quando?) o per eventi prevedibili (la guerra in Ucraina brontolava già da anni prima di scoppiare) o imprevisti e imprevedibili (Covid, per esempio). E pure nell’anno 2022 si è disperatamente combattuto contro il caldo e la scarsità dell’acqua.
E non si può fare a meno di ripensare a quanto accadde nel 1816, che fu definito come l’«anno senza estate». Quell’anno, pure in piena estate, il clima faceva tremare dal freddo gli abitanti dell’Europa Settentrionale e dell’America Settentrionale.
Ma quali sono state la cause che hanno portato a condizioni climatiche tanto anomale e aggressive?
La causa di questa situazione drammatica sembra sia da attribuire a quanto era successo nell’Oceano Pacifico. Laggiù, il Monte Tambora, sito nell’isola Sumbawa dell’arcipelago indonesiano della Sonda, fra il 5 e il 15 aprile 1815, fu teatro di un’eruzione vulcanica eccezionale, che formò un cratere profondo 700 metri e del diametro di 11 chilometri, con la liberazione nell’atmosfera di una enorme colonna di gas e il lancio di frammenti di roccia e cenere, che insieme superarono i 40 chilometri di quota. Il disastro devastò l’isola di Sumbawa e provocò la morte di oltre 10.000 persone fra quelle che vivevano nei dintorni e quelle che furono travolte dagli «tsunami» immediatamente formatisi. A queste se ne aggiunsero altre 80.000 morte per le epidemie che scoppiarono successivamente a causa dei gas liberati dall’eruzione.
Tutte le analisi approfondite sul problema hanno portato all’unica conclusione che solamente quell’eruzione vulcanica sarebbe stata in grado di combinare l’immane guaio climatico verificatosi l’anno successivo con tutto quanto a esso connesso, sommandosi a quello che era stato il risultato dell’eruzione del vulcano Soufrière, avvenuta nell’isola caraibica di Saint Vincent nel 1812, e quella del monte Mayon delle Filippine del 1814.
Il rilascio nell’atmosfera di cenere causò una carestia pesantissima in Indonesia, mentre la presenza di acido cloridrico nelle nubi alterò la natura delle piogge che divennero estremamente acide e colpirono i raccolti di tutto il mondo boreale, dall’Europa al Nord America, dalla Russia alla Cina, con avvelenamento e distruzione dei campi, seguiti da miseria e povertà, che resero necessaria la migrazione dove il suolo non era stato ancora compromesso. Infatti, la mancanza di cibo convinse molte persone a migrare nella più promettente America, mentre nella stessa la migrazione avvenne dai territori centro-orientali verso quelli che passarono alla storia come il risultato della conquista del «Far West» («Lontano Ovest»). Era una situazione che, per una volta, non era da addebitare a un cattivo comportamento dell’uomo.
Gli effetti si resero evidenti verso l’autunno del 1816, tanto che lo rese presente il 6 ottobre il quotidiano di New York «The Albany Advertiser», dicendo che negli USA la stagione era fuori della norma, ma che anche in Europa la situazione non era migliore, con un clima secco e rigido e con gelate estive mai capitate in precedenza, mentre altrove il clima era stato molto umido.
«De facto», tutta la cenere e l’enorme quantità di gas immessi negli strati superiori dell’atmosfera da parte del vulcano Tambora andarono ad arricchire quelli che erano ancora in sospensione per le precedenti eruzioni più sopra citate. La combinazione di questi elementi, naturalmente, non ha fatto altro che formare un’immane nuvola, in molte zone presente costantemente, che faceva da filtro ai raggi del sole, consentendo loro solo a fatica, e magari senza risultati eclatanti, di perforarla. In tal modo, appena una frazione della luce e del calore solare riusciva a raggiungere la superficie del pianeta. Nello stesso tempo, come si è accennato, le piogge erano diventate acide per l’abbondante diffusione di acido cloridrico.
Le terre più sopra ricordate, che hanno stagioni primaverili ed estive un po’ ballerine, mantenendosi relativamente fresche, ma non fredde, tanto da non finire mai o raramente sotto i 4,5 o 5°C, quell’anno si presentarono in maniera completamente anomala: le bufere di neve furono fuori norma, causando la morte di tantissime persone e l’ecatombe di diverse specie animali. I terreni furono ricoperti da uno strato medio di non meno di una trentina di centimetri di spessore di neve, mentre i laghi ghiacciarono. Le gelate furono sufficienti a distruggere tutti gli ortaggi delle stagioni buone; solamente quelli più resistenti al freddo si salvarono. Tutti i maiali furono macellati e consumati e, finiti quelli, non si salvarono gatti e altri animali.
Per un certo periodo, le temperature tesero a variare verso l’alto, poco, e verso il basso, più frequentemente.
In una situazione disastrosa come quella in cui si sono venuti a trovare gli abitanti dei territori nordici dell’emisfero boreale, la crisi e la carenza di derrate alimentari comportò un incremento dei loro prezzi a cifre stratosferiche (quanto si riscontra anche oggi, del resto, seppure per ragioni diverse).
Tutto quanto stava avvenendo era colpa del vulcano Tambora (forse era la scusante giusta per certi profitti non chiari fino in fondo: niente di nuovo sotto il sole!); così, per esempio, in Italia, anche al Sud, si verificarono gelate e caduta, per un lungo periodo, di neve rossa, con ogni probabilità sporcata da cenere vulcanica, così come si è riscontrato nell’Europa Centrale. E la gente si chiedeva che cosa potesse essere successo per un cambiamento climatico così radicale, me a quei tempi le notizie faticavano a raggiungere luoghi distanti fra di loro, essendo la comunicazione globale al di là da venire.
In quel periodo, l’Europa si stava leccando le ferite inferte dalle guerre napoleoniche e, pertanto, oltre ai disagi e alle difficoltà di sopravvivenza conseguenti, si aggiungevano quelli per mettere insieme il pranzo con la cena. La fame scatenò gli animi e i saccheggi di sili e magazzini con scorte di grano divennero una quasi quotidianità in Francia e in Inghilterra. E chi andò peggio, per esempio, fu la Svizzera la quale, non avendo porti sul mare, aveva scambi commerciali ridotti e pertanto si trovò in difficoltà maggiore di quella degli altri Stati, ragione per cui fu costretta a imporre drastiche condizioni restrittive sui consumi.
A proposito della Svizzera, il 16 giugno 1816 si dimostrò importante nel campo della letteratura. Era successo che, essendo il clima inclemente, un gruppo di intellettuali, non potendo muoversi per fare passeggiate, se ne restò tranquillo nell’antica abitazione denominata Villa Diodati a Ginevra; fra questi erano Lord Byron, Mary Shelley con il marito Percy e John William Polidori: i tre letterati, per passare il tempo, decisero di scrivere, ognuno per proprio conto, uno spaventoso romanzo dell’orrore e alla fine si sarebbero confrontati i risultati. Ebbene, nacquero in questa maniera tre opere (Frankenstein di Mary Shelley, La Sepoltura di Lord Byron e Il Vampiro di John Polidori), che rappresentarono nuovi orientamenti letterari.
Oltre alle difficoltà oggettive di procurare il cibo per tutti, era anche arduo trovare chi provvedesse a trasportare i mezzi di sopravvivenza ai consumatori. Anche i cavalli erano diventati merce rara. Anzi, a questo proposito vale la pena ricordare l’idea che venne al tedesco Christian Drais, un eclettico inventore, che pensò alla costruzione di un mezzo meccanico per una sola persona, che avrebbe potuto dare una mano nei trasporti: ebbene, quello fu la cosiddetta «draisina», che con il tempo divenne la bicicletta attuale.
Si cercò di capire quale fosse la vera causa del tempo tanto ostico. Si ipotizzò anche che fosse la conseguenza delle variazioni delle macchie solari, ma solamente nel XX secolo si iniziò a vedere un collegamento fra l’eruzione del Monte Tambora e l’«anno senza estate», come si riscontra nei risultati della ricerca effettuata da scienziati e pubblicati sulla rivista «Enviromental Research Letters», anche se non tutti gli scienziati che si interessarono alla situazione furono del parere che l’unico colpevole fosse stato il Monte Tambora, tanto da dividersi in due schiere, quella dei «colpevolisti» e quella degli «innocentisti», senza giungere a una conclusione definitiva, anche se, percentualmente, gli appartenenti alla prima categoria risultarono numericamente in superiorità.