San Tarcisio e l’Eucaristia. Il sacrificio
della vita
La situazione nel III secolo dopo Cristo.
La ricerca. Le evidenze. Alcune considerazioni
Per un non breve periodo di tempo si è sviluppato nella Chiesa Cattolica un dibattito sulla santità di battezzati ancora in fase di crescita. Diverse le tesi. Secondo alcuni, chi è ancora in anni di crescita non può professare in modo eroico le virtù teologali della fede, della speranza e della carità. Secondo altri, al contrario, ciò non è vero. In tale contesto, passando dall’epoca antica (ove si trova a volte una documentazione limitata) ai successivi periodi storici, ci si è accorti però che erano diverse le testimonianze di fede rese da Cristiani non ancora arrivati all’età adulta. Tali fatti erano supportati da testi sicuri. Per tale motivo, sul piano delle procedure canoniche, diversi schemi «rigidi» hanno subito progressivamente delle notevoli modifiche.
Per avvicinarci ad alcune testimonianze di fede segnate dall’eroismo si è soliti considerare vari momenti critici, e soprattutto quella fase temporale che intercorre tra la metà del III secolo dopo Cristo e l’inizio del IV. Questi decenni sono stati segnati da una serie di eventi critici. La situazione politico-sociale (dal 235 al 284) era in fase di deterioramento. Il paganesimo, con la sua «pax deorum»[1], stentava a rimanere un elemento di coesione. Il Governo Centrale controllava a fatica un Impero ormai difficile da amministrare. Il fenomeno dell’anarchia militare non consentiva una programmazione unitaria. Favoriva inoltre scontri tra più capi militari. Accentuava le suddivisioni territoriali (stabilite in modo arbitrario e provvisorio).
In tale contesto, lo sviluppo del Cristianesimo venne percepito da vari «potenti» del tempo come un fattore che generava instabilità nell’Impero. Come un elemento in grado di favorire «disgregazione». Allontanandosi da una secolare politica di tolleranza, i responsabili della «res publica» si accorsero che: 1) il numero dei Cristiani era in aumento; 2) la Chiesa si stava rafforzando nella struttura gerarchica; 3) le comunità cristiane erano più coese rispetto alle aggregazioni civili ove si professava la religione di Stato[2]. Il problema più serio, però, era un altro: i Cristiani professavano (e professano) un monoteismo. Non potevano riconoscere la deità dell’Imperatore. Avevano norme morali, culti e riti che, secondo le accuse, esprimevano una «superstitio», cioè una devozione irrazionale venata di magia.
Nell’ambito fin qui indicato, alle prime persecuzioni (locali e non continuative) si aggiunsero in seguito degli attacchi sistematici anticristiani. L’Imperatore Decio[3] era convinto che occorreva rafforzare l’unica identità religiosa statale. Emanò così un editto che obbligava ogni suddito dell’Impero a partecipare ai riti pubblici sacrificali. Questi, erano offerti alle divinità dell’olimpo romano. Occorreva poi farsi rilasciare un certificato («libellus»), che attestava l’atto di culto compiuto dal singolo cittadino (incenso offerto agli dèi e in onore dell’Imperatore). In caso di rifiuto erano previste le condanne più gravi.
In seguito, l’Imperatore Valeriano[4] preferì neutralizzare le figure chiave della Chiesa (clero, magistrati, senatori cristiani). Per impedire, poi, le attività religiose dei fedeli vietò le celebrazioni, confiscò i luoghi di culto, impedì l’accesso ai cimiteri. In tal modo la comunità cristiana rimase priva dei suoi riferimenti essenziali.
Trascorsa una fase non conflittuale (Editto di Tolleranza dell’Imperatore Gallieno[5] nel 260) si verificò un nuovo periodo critico. Dopo 18 anni di governo, l’Imperatore Diocleziano[6] fu convinto dal suo consigliere Galerio[7] a neutralizzare la presenza cristiana con una politica di restaurazione religiosa. Venne così imposto il culto dell’Imperatore. Si ordinò la distruzione delle chiese; i libri sacri dovevano essere consegnati alle autorità e bruciati. Furono proibite le riunioni liturgiche. Venne arrestato ed eliminato chi si rifiutava di offrire atti sacrificali davanti alla statua dell’Imperatore e a quelle delle divinità del tempo.
Divenuto Imperatore, Galerio[8] volle proseguire le persecuzioni anticristiane. Alla fine, segnato da una malattia terminale, mutò linea di indirizzo. Decise di emanare (311) un editto di tolleranza (Editto di Serdica). Per le Chiese locali fu così possibile proseguire nelle consuete attività religiose. Nel 313, Costantino[9], Augusto d’Occidente, e Licinio[10], Augusto d’Oriente, si accordarono a Milano in tema di politica religiosa. L’intesa riaffermò la linea di tolleranza verso ogni culto.
Tenendo conto delle politiche imperiali, anche i Cristiani che vivevano a Roma dovettero affrontare alcuni periodi di persecuzione. Con le direttive di Decio le criticità si acuirono. Tra coloro che vennero arrestati ci fu anche il Papa Fabiano.[11] Venne imprigionato nel carcere Tullianum. Morì in questo tetro luogo per fame e stenti. Era il 20 gennaio del 250 dopo Cristo. Il Pontefice venne poi sepolto nella cripta dei Papi, situata nelle catacombe di San Callisto. È a tutt’oggi venerato martire. Il suo epitaffio, in lingua greca, fu ritrovato nel 1850 dall’archeologo Giovanni Battista de Rossi.[12]
Dopo un periodo non segnato da violente ostilità, si verificarono nuovi drammi con l’Imperatore Valeriano.[13] Nel 257 obbligò Vescovi, preti e diaconi a sacrificare agli dèi, pena l’esilio. Proibì inoltre ai Cristiani di riunirsi in assemblea. Chiese e cimiteri furono chiusi. Nel 258 (secondo editto) venne sancita la pena di morte per chi rifiutava di sacrificare alle divinità del tempo. Si aggiunse inoltre la confisca dei beni per i senatori e per altri esponenti della «res publica».
In tale contestò subì la morte anche Papa Sisto II.[14] Questo Pontefice, per sfuggire al controllo dei militari, riunì (6 agosto 258) i fedeli in un cimitero poco conosciuto. Era quello di Pretestato (Via Appia, vicino a quello di Papa Callisto I). Mentre presiedeva una celebrazione, fu catturato dai soldati. Subì il martirio. L’episodio è ricordato da una iscrizione che il Papa Damaso I[15] fece apporre sulla sua tomba nel cimitero di San Callisto. Anche San Cipriano[16], con una lettera al Vescovo Africano Successo, informò sulla morte di Sisto II: «Valeriano, ha inviato un suo rescritto al Senato, dando ordine che i Vescovi, i sacerdoti e i diaconi siano giustiziati immediatamente». Aggiunse poi quanto aveva appreso con riferimento alla comunità di Roma:
«Vi comunico che Sisto ha subito il martirio con quattro diaconi[17] otto giorni prima delle idi di agosto[18], mentre si trovava nella zona del cimitero. Le autorità di Roma hanno come norma che quanti vengono denunciati quali Cristiani, debbano essere giustiziati e subire la confisca dei beni a beneficio dell’erario imperiale».[19]
La catacomba di Pretestato
Le precedenti annotazioni sono servite ad accennare a un contesto generale ove si trovano per i Cristiani realtà insidiose in più casi, e mortali in altri. Specie nelle ore maggiormente critiche si rese necessario sostenere i fedeli arrestati, inseriti nei gruppi di detenuti destinati a pene capitali (non esclusa la «damnatio ad bestias»). Era necessario raggiungere le carceri del tempo e consegnare il Pane Eucaristico. Tale pratica è documentata fin dal II-III secolo da Giustino[20] e da Cipriano[21]. Il problema era quello di individuare qualcuno capace di raggiungere i reclusi senza dare nell’occhio. Tra questi volenterosi spicca la figura di Tarsicio.[22]
La documentazione base che attesta il suo martirio è legata alle iniziative di Papa Damaso mirate a diffondere il culto dei martiri. Questo Pontefice, tra il 370 e il 380, compose un «elogium» in onore del Santo, evidenziando anche la figura del protomartire Stefano.[23] L’originale epigrafico è andato perduto. Però, il testo dell’iscrizione (integro) si è conservato per tradizione indiretta.[24] La composizione si suddivide in una «propositio» (si propone un esempio) e in una «demonstratio» (si spiega il motivo della santità). Quest’ultima, svolge in successione, con opportuna distinzione, le due storie «parallele» di Stefano e di Tarsicio:
«Par meritum, quicumque legis, cognosce duorum, quis Damasus
rector titulos post praemia reddit.
Iudaicus populus Stephanum meliora monentem perculerat saxis,
tulerat qui ex hoste tropaeum,
martyrium primus rapuit leuita fidelis.
Tarsicium sanctum Christi sacramenta gerentem cum male sana
manus premeret uulgare profanis,
ipse animam potius uoluit dimittere caesus prodere quam
canibus rabidis caelestia membra».[25]
«Chiunque tu sia che leggi, sappi che pari fu il merito dei due [Santi], ai quali, dopo il premio, Damaso – il Vescovo – rivolge questi elogi. Il popolo giudaico con le pietre aveva colpito a morte Stefano: lui, che predicava il bene, aveva così trionfato sul nemico. Fu il primo, il fedele diacono, a conquistare il martirio.
Una banda inferocita si era scagliata contro Tarsicio per svelare agli infedeli il sacramento di Cristo che portava con sé. Ma lui volle perdere la vita dilaniato piuttosto che abbandonare ai cani rabbiosi il corpo celeste [l’Eucaristia]».
Per scrivere il testo il Pontefice dovette presumibilmente tener conto della tradizione orale. Questa conservava i dati essenziali dell’evento: il nome del protagonista, l’epoca e le circostanze del martirio. Al riguardo, è importante sottolineare l’importanza della «traditio» perché grazie a tale fonte è stato possibile, nella storia della Chiesa, ritrovare con esattezza diversi luoghi. Si pensi, ad esempio, al Santo Sepolcro, a località del Nuovo Testamento, alle tombe di vari Santi.
Di Tarsicio Damaso non indica l’età (la tradizione lo presenta adolescente), non si conosce la famiglia, il luogo ove abitava, la comunità alla quale apparteneva. Certamente, considerato l’incarico ricevuto, 1) era conosciuto dai responsabili della Chiesa di Roma, 2) doveva essere consapevole del valore delle «Sacre Specie» 3) e si era dimostrato sensibile alle necessità dei fratelli perseguitati. Non sappiamo se avesse già raggiunto le carceri in altre occasioni. È noto però il fatto che a un certo punto, nell’espletamento della sua missione, venne fermato. Rimangono ignoti i nomi degli aggressori. Erano comunque dei soggetti che avevano individuato in lui un comportamento non chiaro. Intenzionati a vedere che cosa nascondeva, vollero perquisirlo. Tarsicio fece resistenza. Ne seguì una violenza brutale. Al riguardo, Papa Damaso indica una morte per lapidazione (da qui il collegamento con l’uccisione di Santo Stefano protomartire).
Nel contesto di quegli anni la vicenda di Tarsicio non rimase isolata. Più giovani furono eliminati a motivo della loro fede (ad esempio, Sant’Agnese[26]). Evidentemente, nei drammi del tempo, l’attenzione della Chiesa locale si concentrò su molteplici tragedie, ma la testimonianza di Tarsicio rimase comunque impressa nella memoria comune. Il suo sacrificio servì a rafforzare nella fede i timorosi, e favorì il culto eucaristico.
Il racconto di Papa Damaso (VI secolo) venne utilizzato per intero nella Passio Sancti Stephani I Papae Martyris.[27] Nel testo furono inserite anche delle aggiunte con fine catechetico.
Di poco posteriore alla Passio è un documento dell’epoca di Papa Gregorio Magno.[28] Il riferimento a Tarsicio lo si trova annotato tra alcuni «pittacia». Si tratta di etichette pergamenacee che un certo diacono Giovanni – per la Regina Teodolinda[29] – aveva applicato a delle ampolle vitree. In queste, era contenuto l’olio di lampade presenti nei santuari dei martiri presso le catacombe.[30] Tale dato non è debole. Sta a significare che l’area sacra ove si conservava la memoria funeraria di Tarsicio, quando vi si recò il monaco Giovanni, era accessibile e fruibile ai visitatori.
Questa informazione è supportata da due documenti: De locis sanctis martyrum quae sunt foris civitatis Romae e Notitia ecclesiarum urbis Romae.[31] Tali testi, preparati negli anni del Pontificato di Papa Onorio I[32] e di Teodoro I[33], indicavano ai pellegrini la dislocazione nel suburbio delle cripte dei martiri.
Integrando tra loro i dati dei due testi si ricava un’informazione: i fedeli che percorrevano la Via Appia incontravano la memoria funeraria di Tarsicio in un mausoleo del sopraterra («sursum») della catacomba di San Callisto, dove già all’inizio del III secolo aveva trovato sepoltura Papa Zefirino[34]:
«et ibi [Via Appia] Sanctus Tarsicius et Sanctus Geferinus [sic!] in uno tumulo iacent; Zeferinus Papa et confessor sursum quiescit.»[35]
Le indicazioni fornite dai testi De locis sanctis martyrum e Notitia ecclesiarum urbis Romae sembrano trovare una possibile conferma dall’apporto dell’archeologia. Nel 1979-1980 una serie di scavi hanno riguardato l’area sovrastante la catacomba di San Callisto.[36] I lavori si sono svolti all’interno della tricora occidentale (un mausoleo con absidi su tre lati nel sopraterra). Tale ricerca ha permesso di individuare una struttura sepolcrale. Questa, ha una «fenestella confessionis» sul lato Est: prova non debole che presso questo impianto funerario si praticava un’attività devozionale. Tale prassi è pure confermata dal rinvenimento di otto mausolei privati addossati alla tricora, che sembrano rivestire – come nelle basiliche circiformi[37] – carattere di tombe devozionali.
A questo punto, è attendibile ritenere che all’interno di questo ambiente sepolcrale possa aver trovato adeguata sistemazione l’elogio damasiano e che, dunque, quanto rimane dell’impianto sepolcrale potrebbe identificarsi con quello originario che accolse in successione le spoglie di Zefirino e Tarsicio. D’altra parte, le iscrizioni di Papa Damaso avevano la sola funzione di essere collocate sopra le tombe venerate.
Nel progredire del tempo, per cause diverse, i fedeli presenti in quest’area sacra non furono numerosi. Anche la devozione a San Tarsicio non ebbe uno sviluppo significativo. Al riguardo, si pensi al fatto che nelle circa 30.000 iscrizioni cristiane di Roma, tra l’età di Papa Damaso e la fine del VI secolo, il nome Tarsicio si trova una sola volta. Questa iscrizione funeraria è oggi conservata presso i Musei Vaticani.[38] Viene datata tra la fine del IV e l’inizio del V secolo. Si legge che una tale Ursa dedica la sepoltura al proprio marito («compar»), con lei vissuto per 29 anni, che recava – forse per devozione al Santo – il nome di Tarsicio:
«Ursa se biva fecit sibi et compari suo Tarsicio / qui vixit mecum ann(is) XXVIIII. D(epositus) III non(as) nov(embres) in pa(ce) [cioè il 3 novembre]».
Tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo, l’episcopato romano decise di trasferire le reliquie dei martiri dalle catacombe alle chiese urbane. Con riferimento a San Tarsicio esiste una testimonianza. Si tratta di una iscrizione che risale agli anni di Papa Paolo I.[39] Tale reperto è conservato a Roma, nella chiesa di San Silvestro in Capite.[40] In particolare, la scritta iniziale «in n(omine) D(omi)n(i). Notitia nataliciorum / S(an)c(t)orum hic requiescentium» precede un lungo elenco di martiri dei quali erano state asportate (in modo intero o in parte) le reliquie dalle catacombe.
Alcuni martiri (circa 50) sono indicati in modo specifico con il proprio nome. Altri, di cui non è noto il numero, sono ricordati in modo collettivo. Ad esempio: per i Santi dell’8 marzo si afferma che i loro nomi «conosce solo Dio»: «N(atalis) Sanctorum quor(um) nom(ina) D(eu)s scit». Con erronea indicazione (26 luglio invece del 15 agosto) si trovano riportati i contemporanei eventi di ritrovamento e di acquisizione delle reliquie dei Santi Zefirino e Tarsicio.
Trascorsero poi circa quattro secoli. In questo periodo il culto di San Tarsicio rimase nell’ombra. Dal XIII secolo si verificò una dinamica poco trasparente (e la chiesa di San Silvestro in Capite ne fu un epicentro). Reliquie autentiche, o presunte tali, si «moltiplicarono». E vennero consegnate a molti richiedenti. Si attuarono all’inizio delle traslazioni interne nella stessa chiesa di San Silvestro. Poi, tale prassi (in epoca non precisata) si estese anche alla Basilica Vaticana. Quest’ultimo fatto è attestato da un’iscrizione trasmessa in un codice della Biblioteca Apostolica Vaticana.[41]
Questa ampia diffusione di reliquie non riguardò solo Roma. Superò i confini dell’Urbe. Ad esempio, nel 1646, a Napoli, presso la chiesa di San Domenico Maggiore, è documentato il fatto che i fedeli veneravano l’intero corpo di San Tarsicio. Tale iniziativa non sembra, comunque, aver favorito un ampliamento della devozione verso il martire.
Si verificò poi un avvenimento. Nel 1855, il Cardinale Nicholas Patrick Wiseman[42] pubblicò il romanzo Fabiola, o la Chiesa delle catacombe.[43] Nel libro, il capitolo XII fu dedicato a Tarsicio e al suo martirio. Da questo lavoro, il regista Blasetti[44] ne trasse (1948) un film. La risonanza del romanzo favorì anche delle iniziative pastorali. A Roma furono dedicate a Tarsicio una cappella presso la parrocchia del Sacro Cuore al Lungotevere Prati (1894-1917) e una chiesa al IV miglio della Via Appia Nuova (1939). Al patronato del Santo vennero affidati i chierichetti (oggi: i ministranti), i paggi del Santissimo Sacramento e gli aspiranti della Gioventù Italiana dell’Azione Cattolica (GIAC).
In età tardo antica e medievale non sono individuabili opere riguardanti la figura di San Tarsicio. Nell’attuale periodo, un prototipo figurativo del martire si trova nel Museo del Louvre (Parigi). Si tratta di una statua marmorea dello scultore francese Alexandre Falguière[45] (1831-1900) che rappresenta il martire morente mentre stringe al petto le Specie eucaristiche.
Jean-Alexandre-Joseph Falguière, San Tarcisio, Museo del Louvre, Parigi (Francia)
A tale modello si sono ispirati, con delle varianti[46], i successivi autori di lavori scultorei e pittorici. Si ricordano: la statua dello scultore Enrico Del Monte (1916) nella chiesa di San Lorenzo a Faenza, la pala d’altare nella chiesa del «Corpus Domini» sulla Nomentana (Roma), alcuni quadri nelle chiese romane di San Sebastiano, di Santa Maria in Monte Santo, di San Silvestro in Capite.
In San Tarsicio, sulla base della Passio, la catechesi ecclesiale ha voluto evidenziare in modo particolare l’aspetto eucaristico. In pratica: il giovane cristiano si fa uccidere pur di non consegnare le Sacre Specie ai pagani del tempo. Chi ascoltava questo racconto poteva riflettere sul Pane consacrato, sulla fortezza cristiana, sull’esigenza di difendere la dottrina eucaristica. Tale messaggio educativo conserva a tutt’oggi un significativo valore. Per questo motivo, a chi si prepara alla Prima Comunione viene indicata anche la figura di Tarsicio. Con il trascorrere del tempo la storia della Chiesa è stata segnata (e impreziosita) da non poche testimonianze di Cristiani in fase di crescita. Ne è derivata necessariamente un’attenzione non fugace della gerarchia. Quest’ultima, in più occasioni, ha esaminato (e continua a valutare) anche le storie di piccoli e di adolescenti. In diversi casi, dopo delle attente istruttorie, si è arrivati a dichiarare Beati o Santi degli umili fedeli che, pur ancora in una fase iniziale di vita, hanno testimoniato la loro fede e hanno perfino comunicato messaggi ricevuti dalla Madonna. Si riportano, al riguardo, alcune figure di Cristiani, tenendo conto che rimangono solo degli esempi tra i molti.
Nel 1333, a Bologna, una tredicenne, Imelda Lambertini[47], muore dopo aver ricevuto una grazia speciale da Dio. La ragazza desiderava ricevere la Prima Comunione. Ciò non era possibile a motivo della sua età. Ma il 12 maggio del 1333 avvenne un fatto improvviso. Si stava celebrando la Messa del monastero (ove era accolta l’adolescente). Al momento della comunione le suore si avvicinarono all’altare. Imelda rimase nel suo banco. Però, un’ostia consacrata si levò dalla pisside del celebrante. E rimase a mezz’aria davanti a Imelda. A questo punto, il sacerdote prese la particola e la diede alla piccola laica. Questa, morì subito dopo.[48] Tale fatto, oltre a essere straordinario, ha un preciso significato: davanti a dei cuori puri e innocenti il Signore Gesù «scavalca» ogni norma canonica. Malgrado la sua età, Imelda è Beata perché ha aperto il proprio animo a Cristo e ha creduto nella Sua Presenza nell’ostia consacrata.
Un altro esempio di santità tra gli adolescenti è quello del quattordicenne Domenico Savio.[49] Egli, per l’intervento del suo professore Don Cagliero, parroco di Mondonio, incontrò Don Bosco[50] a Morialdo il 2 ottobre del 1854. Questi, individuando in lui delle qualità spirituali non deboli, lo condusse con sé nella comunità salesiana di Valdocco (Torino). Nel periodo trascorso accanto al fondatore, Domenico mostrò una particolare sensibilità verso la vita sacramentale (Confessione, Eucaristia), verso la Vergine Maria (Immacolata Concezione), e verso coloro che erano stati colpiti dal colera (1856). Segnato da tubercolosi, morì nella sua casa non ancora quindicenne (1857). La sua santità venne espressa con una fedeltà nelle piccole cose, con gesti di amore, e con una particolare attenzione agli insegnamenti catechetici di Don Bosco.
Mentre Domenico Savio entrava nella gloria di Dio, una quattordicenne, Bernadette Soubirous[51], eseguiva fedelmente quello che la stessa Vergine Maria le aveva detto di riferire ai sacerdoti. Nel 1858, presso la grotta di Massabielle (Lourdes), la ragazza «vide» la Madonna 18 volte. In questi incontri accaddero più eventi: atti di penitenza della veggente, messaggi della Vergine per invitare alla conversione, per far costruire una cappella, per promuovere una processione. In particolare, rimane centrale il momento della «presentazione»: «Io sono l’Immacolata Concezione».
Bernadette si santificò applicando senza deviazioni il messaggio che proveniva dal Cielo. Dovette affrontare all’inizio le reazioni dure della madre (preoccupata perché nel paese la piccola era definita visionaria, un po’ «pazzoide»), le critiche della popolazione e delle stesse autorità. In seguito, cessate le apparizioni, Bernadette trascorse i rimanenti anni della sua vita nel monastero di Nevers. Perfino dopo la sua morte proseguirono le polemiche dei positivisti contro «i fatti di Lourdes». Durarono circa un secolo. Eppure, la veggente, pur non dotata di particolari doti culturali, fu fedele fino alla fine alla sua missione. E per le sue virtù eroiche la Chiesa la proclamò Santa.
Nel periodo successivo ai «fatti di Lourdes» altre testimonianze eroiche riguardarono pure dei martiri ancora in fase di crescita. In Cina vennero uccisi, nel corso di persecuzioni anticristiane (1648-1930), 120 Cattolici (sacerdoti, religiosi e laici). Tra questi fedeli si collocano pure i martiri della regione dello Shanxi (nella parte settentrionale del Paese). Con loro ci furono anche dei piccoli. Paolo Lang Fu, di appena sette anni, fu ucciso il 16 luglio del 1900 a Lujiapo. Nato attorno al 1893 a Lu, era figlio di Lang Yangzhi (laica, coniugata, catecumena, nata attorno al 1871 a Lu). Un altro martire per la fede fu Andrea Wang Tianqing, di nove anni. Era nato attorno al 1891. Venne eliminato il 22 luglio del 1900 a Machiazhuang. È da ricordare anche Maria Zheng Xu, di 11 anni. Era nata attorno al 1889 a Kou. Trovò la morte il 28 giugno 1900 a Wangla.[52]
Mentre in Cina si cercava di eliminare la presenza cristiana, in Europa scoppiò il Primo Conflitto Mondiale. Ed è proprio in quell’ora tragica che si verificarono dei fatti straordinari in Portogallo, nella Cova («Conca», «avvallamento») d’Iria (Fatima). Il 13 maggio del 1917 la Vergine Maria apparve sei volte a Lúcia dos Santos[53] di 10 anni, Jacinta Marto[54] di 7 anni, e a Francisco Marto[55] di 9 anni, fratello di Jacinta e cugino di Lúcia.[56] Gli incontri furono anticipati da tre apparizioni di un angelo che preparò i pastorelli a diventare messaggeri della Madre di Dio. Quel 1917 segnò per i tre ragazzi l’inizio di un cammino di fede, di speranza e di carità. Dovettero affrontare le perplessità dei genitori (specie Lúcia subì punizioni), le critiche dei conterranei, i provvedimenti dell’autorità locale, gli attacchi dei laicisti del tempo, i dubbi del clero...
I veggenti di Fatima. Da sinistra a destra: Jacinta de Jesus Marto, Lúcia de Jesus Rosa dos Santos, Francisco de Jesus Marto
Malgrado ciò, trasmisero quello che aveva detto loro la Madonna. La pace nel mondo sarebbe tornata ma l’umanità doveva convertirsi a Dio. In caso contrario un’altra calamità avrebbe devastato le Nazioni. La Vergine aveva chiesto preghiere e sacrifici per la conversione dei peccatori. I veggenti ubbidirono. Francisco fu colpito dall’influenza detta «spagnola» nel dicembre del 1918. Affrontò la malattia in modo sereno e con fede. Fece in questo periodo la sua Prima Comunione. Lasciò questa terra per la Casa del Padre il 4 aprile del 1919.
Anche Jacinta offrì la propria vita per i peccatori. La sua malattia fu più lunga e dolorosa. Venne anche ricoverata, inutilmente, presso l’ospedale di Lisbona. Qui, morì il 20 febbraio 1920, senza neanche la consolazione di avere accanto la madre.
Pure Lúcia si dimostrò forte nella fede. Questa ragazza entrò in seguito tra le Suore di Santa Dorotea (1925) e poi scelse di inserirsi in una comunità di Monache Carmelitane Scalze (1948). Fino alla fine della sua vita testimoniò il messaggio della Vergine Maria.
Con il trascorrere del tempo, dopo il 1917, diverse guerre continuarono a insanguinare la vita di più Paesi. La pace, in alcune Nazioni, a tutt’oggi, non è ancora scoppiata. Malgrado ciò, tanti testimoni della fede hanno continuato a essere operatori di pace. Tra loro diversi sono gli adolescenti. In Italia, una figura rimane molto significativa: quella di Carlo Acutis.[57] Nacque da Andrea Acutis[58] e da Antonia Salzano. La coppia viveva a Londra per motivi di lavoro di Andrea. In seguito la famiglia si trasferì a Milano. Carlo frequentò la scuola elementare e media presso le Suore Marcelline. Studiò nel liceo classico «Leone XIII» diretto da Gesuiti. La sua vita di fede fu segnata da una progressiva crescita. A sette anni ricevette la Prima Comunione. Partecipò alle iniziative della chiesa parrocchiale «Santa Maria Segreta». Espresse in modo significativo un culto all’Eucaristia (che indicava come: «La mia autostrada per il Cielo»). Partecipava ogni giorno alla Messa. Devoto della Madonna, recitava il Rosario. Nella sua vita spirituale era attratto dalle figure dei Santi Francisca e Jacinta Marto, e dalle testimonianze di San Domenico Savio, di San Luigi Gonzaga e di San Tarsicio.
Attento alle esigenze dei più svantaggiati, sapeva utilizzare anche il sistema informatico. Attraverso siti web testimoniò la propria fede. Promosse una mostra sui miracoli eucaristici nel mondo con il supporto dell’Istituto San Clemente I Papa e Martire. Tale mostra, accolta nelle parrocchie e presente anche online, ha «girato» i cinque continenti.[59]
Nel 2006 Carlo fu colpito da una forma di leucemia fulminante. Il suo transito dalla terra al Cielo avvenne il 12 ottobre. I giorni di degenza presso l’ospedale «San Gerardo» di Monza furono solo tre. Prima di morire offrì le sue sofferenze per il Papa e per la Chiesa. Secondo il suo desiderio, fu sepolto nel cimitero di Assisi. In seguito, le sue spoglie vennero trasferite (6 aprile 2019) nel Santuario della Spogliazione (Assisi).[60]
I riferimenti agli adolescenti sono significativi perché attestano un dato. Non si può delineare un concetto di santità secondo schemi generici e immutabili. La vita in Dio, infatti, è un qualcosa di dinamico, che coinvolge l’impegno religioso del fedele in proporzione alle sue capacità. In tal senso, quello che più colpisce in laici ancora in fase di crescita è una fedeltà al Signore Gesù espressa in modo semplice e sincero. Nelle figure ricordate in precedenza c’è una immediatezza di adesione e di testimonianza che desta ammirazione. In molti cercarono di «modificare» la loro fisionomia. Gli stessi veggenti subirono anche interventi «estetici» con fotografi chiamati a «migliorare» i volti di Bernadette, di Lucia, di Giacinta... Eppure, pur pressati da oggettivi condizionamenti, questi adolescenti non modificarono di una virgola i messaggi celesti ricevuti, e accettarono di offrire sofferenze e agonie per il Papa e la Chiesa.
AA.VV., Nel mondo dei primi Cristiani, in «Archeo», fascicolo monografico, numero 28, dicembre 2018-gennaio 2019
J. Borer, M. Tagliaferri, Santi e Beati giovani, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017
C. Carletti, Tarsicio e i cani rabbiosi. La memoria del martire romano da Papa Damaso al Cardinale Wiseman, in: «L’Osservatore Romano», 15 agosto 2009
G. Del Guercio, Bambini, adolescenti, ragazzi: come si fa a diventare Santi se si è così giovani?, in: «Aleteia» (sito online), 27 febbraio 2018
Epigrammata Damasiana recensuit et adnotavit Antonius Ferrua. Imprint. Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, in «Civitate Vaticana» 1942
A. Ferrua, C. Carletti [Publ.], Damaso e i martiri di Roma (anno Damasi saeculari XVI), Città del Vaticano 1985
P. L. Guiducci, A. M. Erba, La Chiesa nella storia, primo volume, «L’epoca antica», Elledici, Torino 2008, ebook
C. Signorelli, Il chicco di grano. Storie di «Santi Giovani» in mezzo a noi, Monza, Edizioni Omni Die, Monza 2018
L. Spera, I santuari di Roma dall’antichità all’Alto Medioevo. Morfologie, caratteri dislocativi, riflessi della devozione, in: S. Boesch Gaiano, T. Caliò, F. Scorza Barcellona, L. Spera (a cura di), «I santuari di Roma», De Luca Editori d’Arte, Roma 2012, pagine 32-58
L. Spera, Il complesso di Pretestato sulla Via Appia. Storia topografica e monumentale di un insediamento funerario paleocristiano nel suburbio di Roma, LEV, Città del Vaticano 2004
«Tarsicio (san)», in: AA.VV., Bibliotheca sanctorum, Istituto Giovanni XXIII (Pontificia Università Lateranense) – Città Nuova, volume 12, Roma 1969.
1 Interazione pacifica e di «amicizia» tra i mortali («cives») e gli immortali (le varie divinità).
2 Culto riservato agli dèi, culto dell’Imperatore.
3 Imperatore Gaio Messio Quinto Traiano Decio (201-251). Al potere dal 249 fino alla morte.
4 Imperatore Publio Licinio Valeriano (200 circa-muore dopo il 260). Al potere dal 253 al 260.
5 Imperatore Publio Licinio Egnazio Gallieno (218-268). Al potere dal 253 al 268.
6 Imperatore Gaio Aurelio Valerio Diocleziano (244-313 ). Al potere dal 284 al 305.
7 Caio Galerio Valerio Maximiano, detto Galerio, nacque nel 250. Nel 293 fu nominato Cesare dell’Augusto Diocleziano, come governatore delle province illiriche.
8 Imperatore Galerio: periodo della tetrarchia. Al potere: dal 293 fino alla sua morte nel 311.
9 Flavio Valerio Aurelio Costantino (274-337). Divenne Imperatore nel 306 (Costantino I). Rimase al potere fino alla sua morte.
10 Publio Flavio Galerio Valerio Liciniano Licinio (265 circa-325). Divenne Imperatore nel 308. Rimase al potere fino al 324.
11 Papa Fabiano (Santo): il suo Pontificato ebbe inizio il 10 gennaio del 236.
12 Giovanni Battista de Rossi (1822-1894).
13 Imperatore Publio Licinio Valeriano (200 circa-morto dopo il 260). Al potere dal 253 al 260.
14 Papa Sisto II (Santo) fu Pontefice dal 30 agosto 257 al 6 agosto 258 (data della sua morte).
15 Papa Damaso I (305 circa-384; Santo). Fu Pontefice dal 1° ottobre 366 alla sua morte.
16 Tascio Cecilio Cipriano (210-258; Santo martire). Vescovo di Cartagine. È uno dei «Padri della Chiesa».
17 Diaconi Gennaro, Magno, Stefano e Vincenzo.
18 Data del martirio: «octavo iduum augustarum», 8 giorni prima delle idi di agosto (che sono il 13), cioè il 6 agosto.
19 San Cipriano, Epistola LXXX.
20 Giustino (100-163/167; Santo martire). Confronta Prima Apologia 65.
21 Cipriano. Confronta De lapsis 13.
22 Non è nota la data di nascita. Il «dies natalis» di Tarsicio, assente nel più antico calendario liturgico della Chiesa Romana (la Depositio martyrum anteriore al 354), come pure nel martirologio geronimiano, è documentato per la prima volta nella rubrica del 15 agosto nei tardi martirologi di Adone (IX secolo) e Usuardo (IX secolo), e di qui nel martirologio romano (Acta Sanctorum. Decembris, Bruxellis 1940, pagina 340 numero 2).
23 Stefano (non si conosce la data di nascita-morto martire a Gerusalemme nel 36; Santo). Era un diacono che aiutava gli Apostoli. Morì per lapidazione. Confronta: Atti degli Apostoli 6, 8-10; 7, 54-59.
24 Inscriptiones Christianae Urbis Romae Septimo Saeculo Antiquiores, Edidit Ioannes Bapt. De Rossi Romanus, Romae 1857-1861, IV, 11.078.
25 A. Ferrua, Epigrammata Damasiana, Città del Vaticano 1942, pagine 117-119.
26 Agnese (Roma, 290/293-Roma, 21 gennaio 305; Santa). Secondo la tradizione fu una nobile della «gens Clodia» che subì il martirio durante la persecuzione dei Cristiani negli anni di Diocleziano all’età di 12 anni.
27 Bibliotheca Hagiographica Latina II, pagina 1.136 numero 7.845. La Passio è del VI secolo dopo Cristo.
28 Papa Gregorio I (540 circa-12 marzo 604; Santo). Il suo Pontificato durò dal 3 settembre 590 fino alla sua morte.
29 Teodolinda (570-628 dopo Cristo). Regina dei Longobardi.
30 Corpus Christianorum, CLXXV, pagina 290.
31 O. Marucchi, Le Catacombe romane, II edizione, a cura di E. Josi, Roma 1933.
32 Il Pontificato di Onorio I durò dal 625 al 638.
33 Il Pontificato di Teodoro I durò dal 642 al 649.
34 Il Pontificato di Papa Zefirino durò dal 199 al 217.
35 Corpus Christianorum, CLXXV, pagine 308 e 317.
36 Questi scavi sono stati promossi dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, e diretti dal Padre Umberto Maria Fasola.
37 Basilica circiforme: cimiteriale; a tre navate; con terminazione semicircolare, detta «a deambulatorio» (dal latino «deambulare» = «camminare») o «circiforme», cioè di forma rettangolare con semicerchio in uno dei lati corti, analogo alla planimetria del «circus» ove avvenivano le gare con le bighe e le quadrighe.
38 Inscriptiones Christianae Urbis Romae I, 2.419.
39 Papa Paolo I. Il suo Pontificato durò dal 757 al 767.
40 Monumenta Epigraphica Christiana, I: tavola XXXVII, numero 1.
41 Vaticano Barberiniano Latino, 2.733, foglio 238.
42 Cardinale Nicholas Patrick Stephen Wiseman (1802-1865).
43 Nicholas Patrick Stephen Wiseman, Fabiola, o la Chiesa delle catacombe, Londra 1854.
44 Alessandro Blasetti (1900-1987).
45 Jean-Alexandre-Joseph Falguière (1831-1900).
46 Ad esempio: il Santo in posizione eretta che reca una pisside.
47 Imelda Lambertini (al secolo Maria Maddalena; Bologna 1320-Bologna 12 maggio 1333; Beata). Venne accolta giovanissima nel monastero domenicano di Santa Maria Maddalena in Val di Pietra.
48 T. Centi, La beata Imelda Lambertini vergine domenicana: con studio critico e documenti inediti, Edizioni Il Rosario, Firenze 1955. P. Nicoli Aldini, La vita della Beata Imelda Lambertini: una nuova prospettiva cronologica, in: «I Quaderni del MAES», X, 2007, pagine 21-32.
49 Domenico Savio (San Giovanni di Riva presso Chieri, 2 aprile 1842-Mondonio di Castelnuovo d’Asti, 9 marzo 1857). Confronta anche: G. Bosco, Vita di san Domenico Savio. Trascrizione in lingua corrente del testo di Don Bosco con fatti e notizie nuove, Elledici, Torino 2015.
50 Sacerdote Giovanni Melchiorre Bosco (Castelnuovo d’Asti, 16 agosto 1815-Torino, 31 gennaio 1888; Santo). Fondatore delle Congregazioni dei Salesiani (Società di San Francesco di Sales) e delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
51 Marie-Bernarde Soubirous, detta Bernadette (Lourdes, 7 gennaio 1844-Nevers, 16 aprile 1879; Santa). Confronta anche: R. Laurentin, Bernardetta vi parla. La vita dalle sue parole, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993.
52 G. Guerra, Cina cristiana. Giovani e vecchi cinesi, martiri dei Boxeurs (1900), San Paolo, Cinisello Balsamo 2015.
53 Lúcia de Jesus Rosa dos Santos (Aljustrel, 28 marzo 1907-Coimbra, 13 febbraio 2005; Serva di Dio).
54 Jacinta de Jesus Marto (Aljustrel, 5 marzo 1910-Lisbona, 20 febbraio 1920; Santa).
55 Francisco de Jesus Marto (Aljustrel, 11 giugno 1908-Fátima, 4 aprile 1919; Santo).
56 Confronta anche: M. Carraro, I pastorelli di Fatima. Apparizioni della Madonna a Lucia, Giacinta e Francesco, Edizioni Messaggero, Padova 2008.
57 Carlo Acutis (Londra, 3 maggio 1991-Monza, 12 ottobre 2006; Beato).
58 Esponente dell’alta borghesia di Torino.
59 Solo in USA la mostra ha «girato» quasi 10.000 parrocchie. È stata richiesta da molti Paesi e ha sostato nei santuari mariani: Fatima, Lourdes, Guadalupe.
60 L. F. Ruffato, Carlo Acutis. Adolescente innamorato di Dio, Edizioni Messaggero, Padova 2018.