La Risurrezione di Gesù: esistono delle prove storiche?
Un dibattito mai concluso: oltre la Fede, tra le pieghe della Storia

Il dibattito sulla Risurrezione di Gesù è uno dei più vivi e accesi ancora oggi: se nessuno degli studiosi critici più razionalisti nega la storicità di Gesù detto il Cristo, figlio di un carpentiere ebreo, fino alla sepoltura, le posizioni tra credenti e non credenti si discostano dal ritrovamento del sepolcro vuoto e, soprattutto, dalla Risurrezione di Gesù. Si dice che soltanto chi ha ricevuto il dono della Fede può «accedere» al Gesù risorto, e la Fede è un dono gratuito di Dio: la Storia non ha la capacità di determinare le verità di Fede, e quindi l’indagine storica non è e non sarà mai in grado di dare certe conferme o certe smentite. Però possiamo mettere in luce alcuni punti-chiave.

Innanzitutto, i Vangeli mostrano che quella di Gesù è una Risurrezione completamente diversa da quella degli altri racconti descritti dagli Evangelisti (la figlia di Giairo, la vedova di Nain, Lazzaro). Per questi, si tratta di un ritorno alla vita temporale, soggetta nuovamente a morte. Nel caso di Gesù, invece, gli Evangelisti usano un altro linguaggio: Egli non è più soggetto a morte, appare come visione eppure mantiene una corporalità – passa attraverso le porte chiuse ma mangia con i suoi. «La morte e la Risurrezione di Gesù sono considerate un evento unico» nella Storia, ha riconosciuto lo studioso agnostico Bart D. Ehrman, Presidente del Dipartimento di Studi Religiosi dell’Università della Carolina del Nord (Did Jesus Exist?, HarperCollins Publisher 2013, pagina 228). Non esiste nulla di simile nella tradizione ebraica, che insegnava semmai una sorta di rapimento corporale in cielo (per esempio nei casi di Enoc, Elia, Esdra e Baruc). Non si capisce perché, se gli Apostoli hanno «inventato» la Risurrezione di Gesù, si siano discostati in modo così pesante dalla tradizione religiosa del Primo (o Antico) Testamento.

Un secondo aspetto da tenere a mente è che, per ogni fedele ebreo, il giudizio del Sinedrio, il supremo tribunale ebraico, rappresentava nientemeno che il giudizio di Dio, un giudizio divino: e il Sinedrio aveva stabilito che Gesù era un bestemmiatore, un miscredente, un maledetto da Dio. Eppure, un pugno di Giudei (pescatori, per lo più, gente semplice) si mette di punto in bianco a fronteggiare un tale giudizio, a predicare che quel condannato è in realtà il Salvatore che il mondo attende: sono gli stessi che poco prima scappavano impauriti, rinnegavano Gesù, si disperdevano delusi e amareggiati. L’unica risposta ragionevole per questo cambio di atteggiamento rapido e radicale è quella che loro stessi offrono: sono stati testimoni di un evento eccezionale, la Risurrezione di Gesù, l’unico motivo valido per decidere di lasciare tutto e cambiare vita, sfidando persecuzioni, vessazioni da parte della loro comunità di origine e di appartenenza, da parte dei loro familiari e amici, fino al martirio.

Ancora, senza la Risurrezione rimarrebbe inspiegabile la celebrazione della domenica fin dagli albori del Cristianesimo (Atti degli Apostoli 20,7; Prima Lettera ai Corinzi 16,2; Apocalisse 1,10), mentre per gli Ebrei il giorno sacro – come stabilito dalla legge mosaica – è il sabato. Ancora un fatto di eccezionale gravità, il correggere la legge mosaica per affermare che il giorno sacro è quello in cui è risorto Gesù. Oltretutto, gli Evangelisti raccontano che le prime testimoni della Risurrezione sono delle donne, la cui testimonianza in tribunale poteva avere valore al massimo come indizio, mai come prova: «nel mondo patriarcale in cui vivevano quei Cristiani», ha commentato Ben Witherington III, docente di Nuovo Testamento presso l’Asbury Theological Seminary di Wilmore, «non è credibile che un gruppo con una tale mentalità potesse inventarsi una storia simile. Analogamente, non vi sono motivi validi per pensare che questi racconti sulle apparizioni avessero la propria origine nel Primo Testamento, che a stento menziona il concetto della Risurrezione dai morti» (B. Witherington III, Una reposiciòn de la Resurrecciòn, in P. Copan, Un sepulcro vacto. Debate en torno a la Resurecciòn de Jesùs, Voz de Papel 2005, pagine 183-184). Per José Miguel Garcia, noto esegeta del Nuovo Testamento presso l’Università Complutense di Madrid, «l’analisi delle testimonianze e degli avvenimenti può portare a concludere che senza il fatto reale della Risurrezione, molte cose rimarrebbero senza spiegazione» (Il protagonista della storia, BUR 2008, pagina 274); come ha precisato Justin W. Bass, docente di Nuovo Testamento presso il Dallas Theological Seminary, «nessuna spiegazione naturalistica è in grado di spiegare tutti i fatti. Questo è anche il motivo per cui vi è una spiegazione naturalistica diversa per ogni scettico che cerca di spiegare le origini del Cristianesimo».

Il noto filosofo analitico William Lane Craig, professore di ricerca della filosofia alla Talbot School of Theology presso l’Università Biola a La Mirada e professore di filosofia della Houston Baptist University a Houston, oltre ad ammettere che la certezza sulla Risurrezione di Gesù si basa sull’esperienza personale dell’incontro con Lui tramite il dono della Fede, ritiene che esista anche un sostegno storico che porta a guardare alla Risurrezione di Gesù come alla miglior spiegazione (una «prova indiretta») nei riguardi di quattro eventi inspiegabili nella sua storia, ritenuti storicamente attendibili dalla comunità scientifica. I quattro sono:

1) La sepoltura di Gesù: è riferita da numerose fonti indipendenti tra loro (limitandoci a quelle canoniche, abbiamo i quattro Vangeli – tra cui il materiale utilizzato da Marco che secondo Rudolf Pesch risale a sette anni dalla crocifissione di Gesù e proviene da testimonianze oculari – e diverse lettere di Paolo, scritte prima dei Vangeli e ancora più vicine ai fatti) e questo è un elemento di autenticità sulla base del criterio della molteplice attestazione. Inoltre, la sepoltura di Gesù per mezzo di Giuseppe d’Arimatea, membro del Sinedrio, risulta attendibile poiché soddisfa il cosiddetto criterio dell’imbarazzo: come ha spiegato lo studioso Raymond Edward Brown (The Death of the Messiah, 2 volumi, Garden City 1994, pagine 1.240-1.241), la sepoltura di Gesù grazie a Giuseppe d’Arimatea è «molto probabile» dal momento che risulta «inspiegabile» come dei membri della Chiesa primitiva potessero valorizzare tanto un appartenente al Sinedrio, verso cui avevano una comprensibile ostilità dato che era stato il Sinedrio a condannare a morte Gesù. Per questi e altri motivi il compianto John At Robinson dell’Università di Cambridge ha potuto affermare che la sepoltura di Gesù nella tomba è «uno dei fatti più antichi e meglio attestati su Gesù» (The Human Face of God, Westminster 1973, pagina 131).

2) La tomba trovata vuota: la domenica dopo la crocifissione, la tomba di Gesù fu trovata vuota da un gruppo di donne. Anche questo fatto soddisfa il criterio della molteplice attestazione essendo attestato da diverse fonti indipendenti tra loro (i Vangeli, gli Atti degli Apostoli 2,31 e 13,34-37; è perfino adombrato in un documento ufficiale delle autorità romane – pagane! –, la cosiddetta Iscrizione di Nazareth); poi il fatto che a ritrovare la tomba vuota siano state proprio delle donne, allora considerate prive di qualunque autorità (perfino nei tribunali, come ricordato più sopra), avvalora l’autenticità del racconto, soddisfacendo il criterio dell’imbarazzo. Pensiamo anche al comportamento delle autorità ebraiche: se il corpo di Gesù fosse stato nel sepolcro, senza dubbio lo avrebbero detto, sarebbe stato il miglior modo per screditare l’annuncio della Risurrezione; se non l’hanno fatto è perché non hanno potuto – per tutto il tempo in cui hanno cercato di impedire la diffusione del Cristianesimo, i membri del Sinedrio non hanno mai negato il dato del sepolcro vuoto, semplicemente lo hanno spiegato appellandosi alle dicerie del furto del corpo di Gesù da parte degli Apostoli.

Vi sono altri argomenti decisivi a favore del sepolcro vuoto, ben sintetizzati da Craig: «Diverse ragioni hanno portato la maggior parte degli studiosi a questa conclusione: a) Il racconto del sepolcro vuoto fa parte del materiale più antico utilizzato da Marco. b) L’antica tradizione citata da Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi 15,3-5 implica il sepolcro vuoto. c) Il racconto è semplice e non mostra i segni di abbellimento tipici delle leggende. d) Il fatto che la testimonianza femminile non avesse molto peso nella Palestina del I secolo gioca a favore della storicità di tale informazione. e) L’iniziale accusa, da parte degli Ebrei, che i discepoli avevano trafugato il corpo di Gesù presuppone che il corpo, di fatto, non si trovava nel sepolcro» (W. L. Craig, Intervenciones iniciales, in P. Copan, Un sepulcro vacto. Debate en torno a la Resurecciòn de Jesùs, Voz de Papel 2005, pagina 30). Così lo studioso austriaco Jacob Kremer, uno dei principali biblisti del secolo scorso, ha affermato: «Di gran lunga la maggior parte degli esegeti considera affidabili le dichiarazioni bibliche relative al sepolcro vuoto» (Die Osterevangelien-Geschichten um Geschichte, Katholisches Bibelwerk, 1977, pagine 49-50).

3) Le apparizioni di Gesù dopo la morte: in diverse occasioni e in varie circostanze numerosi individui e gruppi di persone differenti dicono di aver sperimentato apparizioni di Gesù dopo la sua morte. Paolo spesso cita questi eventi nelle sue lettere: considerando che sono state scritte vicine agli eventi e tenendo conto la sua conoscenza personale con le persone coinvolte, queste apparizioni non possono essere liquidate come semplici leggende. Oltretutto esse sono presenti in diverse fonti indipendenti tra loro, soddisfacendo il criterio della molteplice attestazione (l’apparizione a Pietro è attestata da Paolo; l’apparizione agli Apostoli, e prima ancora a Maria Maddalena, è attestata dai quattro Evangelisti, e via dicendo). Il critico tedesco del Nuovo Testamento Gerd Lüdemann, uno scettico, ha concluso: «Può essere preso come storicamente certo che Pietro e i discepoli abbiano avuto esperienze dopo la morte di Gesù in cui Egli apparve loro come il Cristo risorto» (What Really Happened to Jesus?, Westminster John Knox Press 1995, pagina 8).

4) Il cambiamento radicale dell’atteggiamento dei discepoli: dopo la loro fuga impaurita al momento della crocifissione di Gesù, i discepoli hanno improvvisamente e sinceramente creduto che Egli era risorto dai morti, nonostante la loro ebraica predisposizione contraria. Tanto che improvvisamente furono disposti perfino a morire per la verità di questa convinzione. L’eminente studioso britannico N. T. Wright ha perciò affermato: «Questo è il motivo per cui, come storico, non riesco a spiegare l’ascesa del Cristianesimo primitivo a meno che Gesù sia risorto, lasciando una tomba vuota dietro di lui» («The New Unimproved Jesus», Christianity Today, 13 settembre 1993).

Il Professor Craig tiene a sottolineare che «la Risurrezione di Gesù è una spiegazione miracolosa di queste prove [...]. Nessuno di questi quattro fatti è in alcun modo [...] inaccessibile allo storico». Per questo egli afferma che la migliore spiegazione di questi fatti è che Gesù sia risorto dai morti, la stessa spiegazione che i testimoni oculari hanno dato: nessuna spiegazione naturalistica riesce a fornire un chiarimento davvero plausibile dei fatti, tenendo in conto tutti gli elementi.

Ci sono state, è ovvio, delle obiezioni a queste conclusioni. Lo storico Bart D. Ehrman, già ricordato più sopra, le basa su tre punti. La prima obiezione è che i Vangeli, i principali «testimoni» della Risurrezione, non sono così solidi come fonti storiche, dato che sono stati composti dai 35 ai 65 anni dopo la morte di Gesù. Un’affermazione del 2006 che confuterà in seguito quando scriverà nel volume Did Jesus Exist?: «Indipendentemente dal fatto che siano ritenuti o meno scritture ispirate, i Vangeli possono essere considerati e utilizzati come fonti storiche importanti» (Did Jesus Exist?, HarperCollins Publisher 2013, pagina 75). Monsignor Gianfranco Ravasi ha puntualizzato che, per quanto riguarda la stesura dei Vangeli, «si parte dal Gesù storico dei primi ricordi, basati sulla memoria, cardine delle culture orientali; si passa per la tradizione, la predicazione della Chiesa delle origini; e si arriva, infine, al Vangelo scritto. Va ricordato che la Risurrezione ha illuminato tutti i fatti visti e raccontati in precedenza da discepoli e Apostoli. È la rivisitazione alla luce dell’evento pasquale a sollevare quei ricordi dal piano del racconto storico alla dimensione trascendente». Vittorio Messori, giornalista della «Stampa», in un’intervista rilasciata a «Il Sabato» sul suo saggio Patì sotto Ponzio Pilato? dice: «La vera scienza torna oggi a confermare ciò che la Tradizione ci ha sempre detto sul valore storico dei Vangeli, testimonianze come quelle di Papia, Ireneo, Eusebio di Cesarea, che erano state buttate alle ortiche da secoli. […] Gli Evangelisti […] ci dicono chiaro che vogliono raccontarci una storia davvero accaduta. […] Noi abbiamo un Vangelo [quello di Marco] nella stesura definitiva già a ridosso degli avvenimenti [forse intorno al 50 dopo Cristo, come sembra suggerire, tra gli altri, lo studioso di papiri Carsten Thiede, che data i tre piccoli frammenti in greco del Vangelo di San Matteo – il secondo – conservati al Magdalen College di Oxford attorno al 60-66 dopo Cristo, ma trattandosi di una copia l’originale sarebbe stato scritto anni prima]. Perché è così importante? Perché nel 70 c’è la catastrofe che spazza via tutti coloro che avrebbero potuto testimoniare pro o contro. La famiglia di Caifa, dei sadducei collaborazionisti, si estingue solo con l’assedio del 70, fino ad allora conserva un potere occhiuto e continua la sua persecuzione del Cristianesimo nascente. Se il Vangelo è stato annunciato in Israele – scritto in lingua semitica – in quegli anni in cui ancora tutti i nemici di Gesù vivevano, è chiaro che fantasie mitologiche sarebbero state immediatamente svergognate. […] Il Talmud babilonese porta echi di una polemica ebraica con gli Apostoli, ma non li ridicolizza affatto come dei visionari. Se la redazione dei Vangeli avviene prima di quella catastrofe che spazza via la casta dominante che elimina Gesù, la storicità ne segue come una conseguenza logica. […] [Il criterio di discontinuità – uno dei criteri di storicità della scuola moderna –] dice: deve risalire a un fatto vero ciò che è in contrasto con l’attesa messianica di Israele e con gli interessi della comunità nascente. Se si applica questo criterio ai fatti della Passione si deve concludere allora che tutto è vero e reale. Pietro si comporta in un modo vergognoso. Tutti gli altri se la danno a gambe levate. E il traditore? Se ci fosse stato bisogno di inventarselo, perché proprio uno di quelli scelti da Gesù stesso? È una discontinuità drammatica. Tutti i primi Cristiani ne escono a pezzi. E il fatto che il Figlio di Dio finisca in croce come un volgare schiavo? E per la Risurrezione la testimonianza è addirittura affidata a delle donne. Sarebbe una follia essersi inventati tutto perché nel mondo ebraico ciò che diceva una donna non aveva nessun valore (una donna fra l’altro sospetta come la Maddalena). Vanno in pezzi decenni di esegesi basata sul dogma di una comunità creatrice che del Gesù della Storia avrebbe fatto quel che voleva. Quella gente ben lungi dal fantasticare si sentiva tenuta a riferire anche ciò che era per essa molto scomodo e doloroso, ovvero gran parte di quegli avvenimenti». Sulla Risurrezione afferma che «non si potrà provare in termini anatomici la Risurrezione, ma lo storico può tuttavia cogliere gli effetti della Risurrezione. Ci troviamo di fronte a una comunità di scalcagnati, depressi, impauriti, terrorizzati, delusi. I discepoli di Emmaus dicono, all’imperfetto, quel terribile “noi speravamo…”. La comunità del venerdì sera è ormai inesistente, questa gente sta per sciogliersi, sta per tornare ognuno a casa sua. Se nel giro di poche ore avviene un capovolgimento incredibile, deve essere accaduto qualcosa di enorme e la sola spiegazione ragionevole sono i fatti riferiti dai Vangeli. Questa gente aveva ormai perduto ogni fiducia, si considerava in fondo presa in giro da quel Gesù. Umanamente non aveva nessuna possibilità di riprendersi. E, di colpo, eccola pronta a sfidare il mondo e a rischiare la vita. Un ribaltamento del genere non accade certo per “delle favole artificiosamente inventate”. […] Io voglio mostrare la profonda ragionevolezza della Fede cattolica. […] Leggo, per esempio, che i soldati non si spartiscono la veste di Gesù perché era tessuta di un solo pezzo e poi scopro un documento antico e dimenticato che ci dice che in Galilea un prodotto pregiato dell’artigianato di quegli anni erano le tuniche di un solo pezzo, io mi emoziono. Ci sono cose folgoranti: per esempio quando Giovanni e Pietro entrano nella casa dei sacerdoti, il Vangelo parla della “ragazzina che faceva da portinaia”. Perché la “ragazzina”? Sono segni nascosti, ma commoventi di storicità. Come il “titulus” attaccato alla croce: tutti i Vangeli dicono “epì”, sopra la testa, come voleva il diritto romano. Un altro indizio. Insomma ciò che davvero accadde ha lasciato delle impronte nei Vangeli fin nei particolari minuti. Lo storico è come Sherlock Holmes: va a caccia di indizi e arriva a conclusioni ragionevoli». Padre Julian Carron, docente di Sacra Scrittura della Pontificia Università di Madrid, in un’intervista pubblicata sul «Corriere della Sera» il 30 maggio 1996, afferma che «non può essere irrilevante stabilire se la Fede cristiana ha inizio in un particolare momento della storia, e come. Oggi nessuno mette in discussione che esistano testi scritti da Giudei del I secolo nei quali si afferma che un uomo è figlio di Dio. Come spiegare la nascita di queste testimonianze? Nella cultura giudaica sarebbe stato inverosimile concepire un uomo-Dio e in quella ellenistica si sarebbe pensato ad attributi divini simili a quelli degli Imperatori. Resta dunque il mistero. Comunque […] dovrebbero bastare le lettere di San Paolo, datate anni Cinquanta, in cui tutta la cristologia è data per conosciuta. Lui non la spiega perché è già stata spiegata, le comunità ne sono già venute a conoscenza, da quando le ha fondate nei suoi viaggi missionari. Insomma per costoro tutta la cristologia era chiara fin dagli anni Quaranta» (ricordiamo che le prime comunità cristiane sono storicamente documentate in varie città già negli anni Trenta del I secolo, e che a Milano un altare dedicato a Gesù esisteva – a poche centinaia di metri dall’attuale Piazza del Duomo – nell’anno 46).

La seconda obiezione del Professor Ehrman è che vi sono delle contraddizioni tra i diversi Vangeli su come si sono svolti i quattro fatti citati dal Professor Craig (l’ora e il giorno della morte di Gesù, il numero di donne che ha trovato il sepolcro vuoto eccetera). È un argomento forte del suo ragionamento. Ma bisogna far notare che i Vangeli sono tutti concordi sui quattro fatti al centro del dibattito, anche se possono variare nei particolari secondari che non compromettono il racconto: è quello che succederebbe se chiedessimo a delle persone di raccontare un evento accaduto anni prima. I Vangeli venivano copiati e diffusi subito dopo essere stati scritti e approvati dalla comunità degli Apostoli: se si fosse trattato di opere inventate, si sarebbe di certo provveduto a eliminare tutte le discrepanze; il fatto che questo non sia avvenuto, è un altro indizio della loro veridicità e storicità. Inoltre i Vangeli, gli Atti degli Apostoli e le Lettere Apostoliche sono concordi su tutti i fatti principali.

La terza obiezione del Professor Ehrman è che la Risurrezione dai morti di Gesù da parte di Dio è un’affermazione teologica e non può essere storica, poiché «gli storici possono stabilire solo quello che probabilmente è accaduto in passato e, per definizione, un miracolo è l’evento meno probabile. E così, per la natura stessa dei canoni della ricerca storica, non possiamo affermare storicamente che un miracolo probabilmente è accaduto. Per definizione, probabilmente non è accaduto». Il Professor Craig ha replicato spiegando che si sta valutando l’ipotesi che Gesù sia risorto dai morti in modo soprannaturale, non in modo naturale (il che sarebbe stato, questo sì, altamente improbabile): «Non vedo alcun motivo per pensare che sia improbabile che Dio abbia risuscitato Gesù dai morti». Infatti, «al fine di dimostrare che tale ipotesi è improbabile, bisognerebbe dimostrare che l’esistenza di Dio è improbabile. Ma il Professor Ehrman dice che lo storico non può dire nulla su Dio. Pertanto, non può dire che l’esistenza di Dio è improbabile. Ma, se non si può dire questo, allora non si può nemmeno affermare che la Risurrezione di Gesù è improbabile. Quindi la posizione del Professor Ehrman è letteralmente auto-confutante». Inoltre, ha ricordato ancora il Professor Craig, si parla della probabilità della Risurrezione in seguito a una serie di fatti – quelli sopra citati – che richiedono essa come spiegazione migliore, non la probabilità della Risurrezione dai morti senza alcun elemento di prova.

Che conclusione possiamo trarre da tutto quello che abbiamo detto? A chi scrive sembra che la Risurrezione di Gesù sia l’elemento che illumina diversi fatti ed eventi storici che altrimenti rimarrebbero senza alcuna ragionevole spiegazione. Alcuni di questi fatti, che abbiamo ricordato, sono stati elencati anche da Justin W. Bass, docente di Nuovo Testamento presso il Dallas Theological Seminary: «La tomba vuota, le apparizioni a Pietro e Paolo (che sappiamo anche essere andati incontro alla morte per questa convinzione), la conversione improvvisa del persecutore dei Cristiani Paolo di Tarso, l’esplosione incredibile di questa setta ebraica che adorava come Dio un uomo crocifisso e risorto di nome Gesù, la trasformazione di secolari usanze ebraiche, come la circoncisione e la Pasqua, e così via. Come si spiega questo esplosivo movimento a Gerusalemme nel I secolo, basato su queste inedite convinzioni in un falegname crocifisso e risorto di nome Gesù? La sua Risurrezione è l’unica spiegazione che rappresenta tutti i dati e ogni spiegazione alternativa naturale è morta un migliaio di volte nel corso degli ultimi 200 anni».

Ci sarà sempre chi dissentirà su queste conclusioni, ed è giusto che sia così, perché l’uomo è libero di credere o non credere; del resto, come ha ricordato Craig A. Evans, docente di Nuovo Testamento e direttore del programma di specializzazione presso l’Acadia Divinity College, «l’argomentazione storica non può da sola forzare a credere che Gesù sia risorto dai morti; essa è tuttavia utilissima a spazzar via la sterpaglia sotto la quale vari tipi di scetticismo sono andati a nascondersi. La proposta che Gesù è risorto corporalmente dai morti possiede un’ineguagliabile capacità di spiegare i dati che sono al cuore stesso del primo Cristianesimo» (Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, pagina 114).

Il dibattito non è concluso: siamo quasi certi che continuerà a lungo, e non potrà essere altro che proficuo se sarà condotto con retta coscienza (anche verso se stessi), senza astio contro chi ha idee diverse e con la predisposizione al dialogo e al rispetto reciproco.

(aprile 2021)

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