La Risurrezione di Gesù
Un mistero di fede o un evento che può
essere oggetto di indagine storica?
La Risurrezione di Gesù è l’evento centrale del Nuovo Testamento, principio e fondamento della fede cristiana: «Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. Noi, però, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che Egli ha risuscitato il Cristo» ammoniva San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (15, 14 e seguenti). Il Nuovo Testamento esprime la «Risurrezione» o con il verbo «egheirein» («risvegliare» dalla morte), o con il verbo «anístemi» («levarsi», «sorgere in piedi»); Giovanni, Luca e Paolo prediligono il verbo greco «hypsoùn» («innalzare», «elevare»), unito ad immagini di ascensione verso l’alto – il Cristo risorto è lo stesso Gesù storico che rientra nel mondo divino al quale appartiene come Figlio di Dio. Se si toglie la Risurrezione come fatto reale, storico, la fede cristiana viene a cadere: il Cristianesimo diventa allora una filosofia di vita come l’Epicureismo, lo Stoicismo o il Buddhismo, e il messaggio di Gesù ha valore nella misura in cui ci convince, non in se stesso. Solo se Gesù è risorto, è accaduto qualcosa di veramente nuovo che cambia il mondo e la situazione dell’uomo: allora Egli, Gesù, diventa il criterio del quale ci possiamo fidare, poiché allora Dio si è veramente manifestato; la Risurrezione costituisce la conferma di tutto ciò che Cristo stesso ha fatto e insegnato, principio e sorgente della Risurrezione futura («Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti [...]; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo», Prima Lettera ai Corinzi 15, 20-22). Per questo, in una seria ricerca storica sulla figura di Gesù, sia che si sia credenti che non credenti, la Risurrezione diventa il punto decisivo: se la si esclude, opponendo la fede alla storia, si riduce la fede cristiana ad una specie di partito preso, un’autoconvinzione che poggia su se stessa, un dogmatismo idealista.
La tradizione cristiana considera l’evento della Risurrezione di Gesù come storico. Secondo la testimonianza concorde dei Vangeli, dopo tre giorni nel sepolcro Gesù è risorto; la differenza fra le varie tradizioni, spiegabile con redazioni diverse quanto a cronologia e zona geografica, è a favore della storicità: se i primi Cristiani avessero voluto a posteriori inventare la Risurrezione, sarebbero stati attenti a renderla credibile. I Vangeli non descrivono l’evento, che non ha avuto testimoni diretti, ma solo la testimonianza della tomba vuota e le visioni delle discepole alle quali Gesù apparve. Si tratta di una narrazione che potremmo definire «cinematografica», estremamente moderna: nonostante un «repertorio» figurativo a cui si poteva attingere (pensiamo alla visione della valle delle «ossa inaridite» nel libro di Ezechiele 37, 1-14), la Risurrezione di Gesù non viene descritta, ma ne vediamo gli effetti nel ritrovamento della tomba vuota e nell’annuncio prima di angeli, poi nel mostrarsi dello stesso Gesù; è quello che leggeremmo in un diario o in un libro di memorie.
Una delle prove che vengono addotte a favore della storicità della Risurrezione è che Gesù l’aveva predetta e non in modo generico, ma parlando del «terzo giorno» (Vangelo secondo Matteo 12, 40; 20, 19; 27, 63; Vangelo secondo Marco 8, 31; 9, 30; 10, 34; 15, 29; Vangelo secondo Luca 13, 32; 18, 33; Vangelo secondo Giovanni 2, 19; confronta anche 16, 16, 22). Il compimento di queste profezie balza evidente dall’effetto prodotto dal Risuscitato sui discepoli (le apparizioni) e dal fatto storicamente provato del sepolcro vuoto.
Che il sepolcro fosse vuoto appare infatti chiaro non solo dal racconto delle pie donne e da quello degli Apostoli (Vangelo secondo Matteo 28, 5-8; Vangelo secondo Marco 16, 1-8; Vangelo secondo Luca 24, 12; Vangelo secondo Giovanni 20, 2-10), ma anche dalla sorpresa dei Giudei che sono costretti a riconoscere il fatto, pur cercando di dissimularlo (Vangelo secondo Matteo 28, 11-15: «Mentre esse [le donne] erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: “Dite così: ‘I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo’. E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione”. Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino ad oggi»).
Interessante a questo punto menzionare la cosiddetta Iscrizione di Nazareth (o «lapide di Nazareth»), una lastra di marmo recante una iscrizione greca riportante la prescrizione della pena capitale per chi avesse asportato cadaveri dai sepolcri. Le datazioni proposte vanno dal 14 al 64 dopo Cristo. Fu acquisita dalla Collection Froehner nel 1878 a Nazareth, all’epoca sede naturale di un mercato di reperti antiquari; nel 1925 la lapide fu acquistata dalla Bibliothèque nationale de France, dove è oggi in mostra. Ecco la traduzione: «Ordinanza di Cesare. Piace a me che i sepolcri e tombe, di qualsiasi tipo, che furono fatti per la devozione per i genitori o [per la devozione] dei figli o dei familiari, questi rimangano indisturbati in perpetuo. Qualora qualcuno legalmente denuncia persone che hanno distrutto, o hanno in qualsiasi modo sottratto chi vi era sepolto, o hanno, con cattiva intenzione, spostato in altri posti, coloro che vi sono stati sepolti, commettendo un crimine contro di loro, o hanno spostato pietre sepolcrali, contro queste persone, ordino che venga istruito un giudizio, a protezione della pietà dei mortali, alla stessa stregua delle pratiche religiose rivolte alle divinità. Ancora di più perciò sarà obbligatorio onorare coloro che sono stati sepolti. Voi non dovete assolutamente permettere a nessuno di spostare [coloro che sono stati sepolti]. Ma se [qualcuno lo facesse], io ordino che [il violatore] subisca la pena capitale con l’accusa di violatore di tombe». L’iscrizione ha dato luogo a varie controversie, in particolare riguardo alla sua utilizzazione come prova della storicità di Gesù e della sua Risurrezione, qualora la si consideri il frutto della controversia sulla sparizione del corpo di Gesù dal sepolcro: se non altro, potrebbe essere la dimostrazione che, dopo la morte di Cristo, la tomba vuota aveva creato una reazione da parte dell’autorità costituita.
Una ulteriore prova è data dalle apparizioni (il verbo usato è «vedere») di Cristo ai discepoli: essi ebbero una esperienza visibile e palpabile, frequente, del Signore vivente una vita nuova, precisamente come l’ebbero del medesimo Uomo che prima della morte aveva con essi parlato e vissuto. Queste apparizioni non erano l’esperienza unica e sfuggevole di uno o due discepoli commossi o esaltati, o di una donna visionaria, né fantasie o emozioni spirituali indefinibili: erano fatti esteriori ripetutisi varie volte, avvenuti innanzi ad uomini che non attendevano per nulla la Risurrezione (la Risurrezione di Gesù non è riducibile in maniera semplice a quanto annunciato nell’Antico Testamento, né alle altre Risurrezioni operate da Gesù – quella della figlia di Giairo, del giovane di Nain, di Lazzaro, tornati alla vita ma destinati comunque a morire nuovamente, in futuro), che non avevano capito nulla delle profezie fatte al riguardo, che per di più avevano già abbandonato la causa di Gesù come una causa perduta, che erano tornati al loro antico genere di vita, e che il Risorto dovette di nuovo, lentamente e con pedagogia, raccogliere, fortificare, unire. Le donne, i discepoli e gli Apostoli non avevano alcuna fede preventiva nella Risurrezione: per raggiungere questa fede, non sarebbe bastato loro nessuno sforzo di immaginazione mistica; tutti, invece, per diventare testimoni della Risurrezione, avevano avuto le prove storiche del suo reale accadimento. Gesù non si limitò a farsi vedere, ma parlò, mangiò in loro compagnia. Troviamo, in queste apparizioni, il turbamento degli spiriti, ma mai la precipitazione della fede: Tommaso, l’«incredulo», che aveva voluto personalmente sincerarsi che il Gesù risorto fosse lo stesso Gesù che era morto in croce, è il tipo di tutti quanti i discepoli. E questa lentezza nel credere è una prova eccellente per la realtà della Risurrezione.
Le prime persone a vedere il Signore risorto furono Maria Maddalena (Vangelo secondo Matteo 28, 1-10; Vangelo secondo Marco 16, 1-11; Vangelo secondo Luca 24, 1-10; Vangelo secondo Giovanni 20, 1-2; 20, 11-18) e le altre pie donne (Vangelo secondo Matteo 28, 1-10; Vangelo secondo Marco 16, 1-8; Vangelo secondo Luca 24, 1-10; Vangelo secondo Giovanni 20, 2). È interessante notare come siano state delle donne le prime testimoni della Risurrezione: a quel tempo, secondo il diritto semitico, le donne non erano abilitate a testimoniare in modo giuridico valido; se il racconto fosse stato inventato, ben difficilmente avrebbe messo in scena delle donne come testimoni. Infatti, quando esse riferirono la cosa agli Apostoli, non furono credute. Per verificare, Pietro e Giovanni corsero al sepolcro.
Duccio di Buoninsegna, Le Pie donne al Sepolcro (tergo della Maestà), 1308-1311, Museo dell'Opera del Duomo, Siena (Italia).
La pietra che chiudeva il sepolcro è messa in una posizione innaturale, quasi sospesa in parte nell'aria, per sottolineare l'eccezionalità della Risurrezione
A questo punto, però, bisogna fare una breve pausa e parlare delle usanze funerarie ebraiche: a quel tempo, i morti con effusione di sangue venivano sepolti senza essere lavati né unti; il sangue era considerato la sede del principio vitale, e quindi andava sepolto insieme al cadavere. I Vangeli ci avvertono che Giuseppe d’Arimatea, il ricco sinedrita padrone del sepolcro in cui fu posto Gesù, aveva portato per l’inumazione un rotolo di tela, mentre Nicodemo aveva portato una «mistura di mirra ed aloe di circa cento libbre», più o meno 35 chili. Dal rotolo di tela erano stati tagliati tutti i pezzi necessari a ricoprire e fasciare il corpo di Gesù: il telo più grande, con cui fu avvolto tutto il corpo insanguinato, anche per evitare che chi si occupava dell’inumazione lo toccasse con le mani nude; le fasce, abbastanza larghe, che vennero fatte girare intorno al lenzuolo, per tenerlo stretto intorno al corpo; e il sudario, un fazzoletto quadrato che fu posto sul capo di Gesù, come testimonia lo stesso Giovanni. I profumi, a cui si ricorreva per coprire il cattivo odore, erano stati versati all’interno delle fasciature e anche sulla superficie in cui era stato posto il corpo di Gesù.
Torniamo alla mattina della domenica. Nell’originale greco del Vangelo secondo Giovanni (20, 6-8), Pietro, entrando nel sepolcro, vide «tà othónia keímena», ossia le fasce distese, afflosciate, senza essere state sciolte o manomesse (il verbo greco «keîmai» significa «giacere», «essere disteso», in una posizione orizzontale)... le fasce erano rimaste immobili al loro posto, probabilmente in una nicchia scavata nella parete, tipica dell’architettura funeraria di tipo signorile, in cui era stato posto il corpo di Gesù. Ora che quel corpo non c’era più, le tele si erano afflosciate su se stesse. Giovanni, poi, usa ben 20 parole per descrivere la posizione del sudario: «Ou metà tôn othoníon keímenon» significa che il sudario non era disteso come le altre bende ma, al contrario, appariva arrotolato («entetyligménon») in una posizione unica, singolare («eis héna tópon»); il sudario, a differenza delle fasce distese, appariva sollevato, in maniera quasi innaturale, forse perché su di esso i profumi avevano avuto un effetto inamidante. Se questo fu lo spettacolo che si presentò ai due Apostoli, si può comprendere perché a quella vista il discepolo che Gesù amava poté intuire ciò che era accaduto. Non lo avevano portato via: era risorto nel suo vero corpo, come aveva promesso, con parole che nemmeno i suoi avevano capito! Era impossibile che il corpo di Gesù fosse uscito dalle fasce per una improvvisa rianimazione, o che fosse stato portato via, da amici o da nemici, senza slegare le fasce o manometterle in qualche maniera. Se le fasce erano rimaste al loro posto, afflosciate su se stesse ma ancora avvolte, era il segno che Gesù era uscito vivo dal sepolcro sottraendosi in maniera misteriosa ai panni che lo avvolgevano, fuori dalle leggi dello spostamento dei corpi. Un intervento sovrannaturale aveva sottratto quel corpo dalla nicchia nel sepolcro, lasciando tutte le cose intatte, senza manomettere i teli funerari. Giovanni, davanti al sepolcro, non fece nessun salto mistico. Nel suo Vangelo, soffermandosi così minuziosamente sulla posizione delle fasce, voleva solo descrivere la prima traccia storica della Risurrezione.
In seguito Gesù apparve ai due discepoli di Emmaus (Vangelo secondo Marco 16, 12-13; Vangelo secondo Luca 24, 13-35), a Pietro (Vangelo secondo Luca 24, 34; Prima Lettera ai Corinzi 15, 5); a tutti gli Apostoli eccetto Tommaso (Vangelo secondo Luca 24, 36-43; Vangelo secondo Giovanni 20, 19-23), a tutti gli Apostoli (Vangelo secondo Giovanni 20, 24-29); a molti discepoli sul lago di Genezareth (Vangelo secondo Giovanni 21, 1-14), agli Apostoli sulla montagna di Galilea (Vangelo secondo Matteo 28, 18-20), a più di 500 discepoli in Galilea (Prima Lettera ai Corinzi 15, 6); a Giacomo il Minore (Prima Lettera ai Corinzi 15, 7), agli Apostoli al momento dell’Ascensione (Vangelo secondo Matteo 28, 18-20; Vangelo secondo Marco 16, 14-18; Vangelo secondo Luca 14, 44-49; Atti degli Apostoli 1, 4-5).
Le correnti di esegesi liberale e di anti-Cristianesimo leggono la Risurrezione come un fatto non storico, ovvero come una frode, un’allucinazione o una leggenda successiva; vengono considerati non veridici gli elementi soprannaturali: terremoto, angeli, apparizioni.
Vediamo quali sono i tentativi dei razionalisti per spiegare la Risurrezione. Vi sono varie ipotesi:
1) ipotesi della frode: si basa sul tentativo, già segnalato dalla Scrittura e rinnovato dai frammentisti di Wolfenbüttel (Lessing), di supporre il furto di cadavere e di farlo credere; così anche Reimarus e Renan. I discepoli avrebbero rubato il cadavere di Gesù e ne avrebbero sostenuto falsamente e coscientemente la Risurrezione; tale tesi riprende quanto sostenuto già in epoca apostolica dagli Ebrei (il già citato Vangelo secondo Matteo 28, 11-15).
Martin Dibelius osserva però che prima della Risurrezione gli Apostoli e i discepoli se ne stavano nascosti e impauriti, mentre dopo le apparizioni di Gesù Risorto diventarono audaci. Una truffa volontaria o un’allucinazione non può aver spinto i primi Cristiani a rischiare la vita e a morire per una menzogna. La Risurrezione è stata la causa di questo radicale cambiamento;
2) ipotesi della visione: proposta da David Friedrich Strauss, Renan, Schenkel, si trova già in Celso. Gli Apostoli, delusi per il fallimento di Gesù, sarebbero rimasti vittima della loro tendenza visionaria e del loro stato di allucinazione: si sarebbero auto-illusi che Gesù fosse ancora vivo e di averlo visto; il resoconto della tomba vuota non sarebbe quindi storico.
Di fatto però i dati dei racconti evangelici mettono in evidenza come sia stato difficile da parte del Risorto convincere i suoi discepoli della sua Risurrezione: la Scrittura presenta gli Apostoli come gente fredda, riservata, incline al dubbio; del resto sarebbe loro bastato il viaggio al sepolcro per guarirli da ogni allucinazione, e non vi ha dubbio che essi avrebbero rischiato questo viaggio. Tale interpretazione non può sostenersi senza mettere tra parentesi i racconti evangelici, cioè supponendo che i resoconti dei Vangeli vadano riveduti e corretti (una supposizione non suffragata da alcuna prova, quindi gratuita e storicamente infondata);
3) per Rudolf Bultmann la Risurrezione è una verità di fede storicizzata («La Risurrezione non è un evento della storia passata […] suscettibile di verifica storica», ma «una realtà che concerne la nostra esistenza» qui ed ora). La fede dei primi Cristiani vedeva in Gesù il Salvatore atteso che liberava l’umanità dal male, dal peccato e dalla morte. Questa convinzione sarebbe stata storicizzata nella credenza della Risurrezione.
Questa interpretazione, al pari della precedente, cozza contro la sostanza e il tono delle affermazioni del Nuovo Testamento, le quali suppongono sempre che la Risurrezione di Gesù sia un fatto reale;
4) l’esperienza interna: è stata escogitata da Harnack.
La Scrittura conosce soltanto un’esperienza esterna: l’esperienza puramente interna è un’allucinazione interna che suppone un’allucinazione esterna;
5) Risurrezione simbolica: alcuni teologi protestanti leggono la Risurrezione come un avvenimento esclusivamente spirituale o allegorico.
Però i Vangeli sono categorici sul fatto che Gesù è realmente risorto, in anima e corpo;
6) James George Frazer la legge come la storicizzazione di un mito: la Risurrezione di Gesù sarebbe la storicizzazione del mito della divinità che muore e risorge, in analogia con i miti di Osiride, Mitra, Dioniso, Attis. Tali obiezioni furono presentate già nei primi secoli da Celso, e abbiamo testimonianza di ciò nei Padri Apologeti.
In realtà un’ipotesi come questa suppone che chi ha storicizzato il mito conoscesse i miti pagani, dal momento che non si può storicizzare ciò che non si conosce; ora tale conoscenza da parte degli Apostoli non è dimostrabile in alcuna maniera, e l’ipotesi rimane quindi nel campo dell’immaginario; suppone poi che ci sia effettivamente un parallelismo tra Gesù e qualcuna delle divinità mitiche, il che è altrettanto insostenibile (confronta il Vangelo secondo Luca 24, 39 e il Vangelo secondo Giovanni 20, 27 dove Gesù invita gli Apostoli a toccarlo per rassicurarli che si tratta di Lui, in carne ed ossa, e non di un fantasma);
7) ipotesi della morte apparente: escogitata dal professore Paulus di Heidelberg, essa è il rifugio della maggior parte dei razionalisti. Come se, dopo tante sofferenze, dopo il colpo di lancia, e dopo l’imbalsamazione, un uomo potesse essere «apparentemente morto», senza parlare dei racconti evangelici che sono categorici sulla realtà della morte. E come se tale illusione potesse spiegare il contegno posteriore degli Apostoli.
Durante l’Ultima Cena – secondo questa ricostruzione – Gesù assunse dei funghi od altre sostanze che provocano una morte apparente. Quando fu crocifisso, queste sostanze lo fecero cadere in catalessi. A questo punto, però, accadde l’imprevisto: un soldato romano colpì Gesù al costato, provocandogli un’emorragia interna. Risvegliatosi nel sepolcro, Gesù ebbe il tempo di uscire e allontanarsi prima che l’emorragia in corso lo portasse alla morte. Però dovremmo supporre (prove non ce ne sono) che Gesù conoscesse queste sostanze e i loro effetti; che potesse procurarsele; che NON sapesse che i Romani spezzavano le gambe ai condannati alla crocifissione per sincerarsi della loro morte; che un uomo con una ferita di lancia al costato possa avere solo un’emorragia interna e non anche esterna e dopo qualche ora avere persino la forza di alzarsi, spostare un pesante macigno, allontanarsi ed andare a zonzo per la campagna senza lasciare impronte od altre tracce del suo passaggio, senza essere visto da alcuno, ed infine andare a morire chissà dove, rendendo irrecuperabili le proprie spoglie... A meno che, a questo punto, non si supponga pure che gli Apostoli sapevano tutto e ne abbiano fatto sparire il corpo, ma a questo punto si tornerebbe all’ipotesi della frode. Beh, ci sono troppe supposizioni e nessuna prova che le possa appoggiare, neppure in minima parte.
Si dice che la filosofia e la storiografia non possono appropriarsi delle vie della grazia e della fede: esse devono fermarsi al Sabato Santo, al capezzale di un morto, a vegliare un giacente; non devono testimoniare la Gloria, oltrepassare la frontiera del mondo sensibile... però, come diceva Monsignor Francesco Ravasi, nulla impedisce loro di gettare un sia pur fuggevole sguardo oltre quella frontiera!