Le persecuzioni contro i Cristiani dal I
secolo alla metà del III
Durante il dominio dei Flavi. Gli
Imperatori Antonini. Il periodo dei Severi
Nei primi decenni della sua storia, la Chiesa non è vista come una realtà sociale capace di creare problemi o pericoli per l’Impero Romano; né gli Imperatori, né i funzionari mostrano odio verso i Cristiani. Anzi, se intervengono nei conflitti tra Cristiani e Giudei è solo per ristabilire l’ordine pubblico. In genere, parteggiano per i seguaci di Cristo. Il primo Imperatore Romano che interviene direttamente è Claudio (al potere negli anni 41-54)[1], predecessore di Nerone. Da Svetonio si conosce il fatto che, verso il 50, egli espulse da Roma i Giudei e i Cristiani di origine giudea, i quali «sotto l’impulso di un certo Cresto facevano continui tumulti»[2]. Si tratta del primo provvedimento del Governo Imperiale, ma non è una vera persecuzione; infatti non ci fu spargimento di sangue e, agli occhi dell’autorità romana, Ebrei e Cristiani non erano ancora ben distinti.
Lucio Domizio Nerone (54-68)
La prima vera persecuzione anticristiana scoppiò negli anni dell’Imperatore Nerone.[3] I Cristiani della seconda generazione videro in lui l’incarnazione dell’Anticristo (confronta Apocalisse 13,11-18: la bestia che sale dalla terra). Egli però non elaborò una politica contro il Cristianesimo come tale, e neppure mostrò un’ostilità persistente verso la nuova religione: ebbe solo la volontà di scagionarsi dalle accuse di aver incendiato la città e di allontanare da sé il furore del popolo. Svetonio allude a questo fatto, scrivendo che Nerone condannò ai supplizi i Cristiani, «razza dedita a una superstizione nuova e colpevole», senza accennare all’incendio. Tacito[4] invece scrive diffusamente in una pagina:
«Poiché né per opera umana, né per elargizioni dell’Imperatore, né con offerte diminuiva la diceria che l’incendio di Roma [luglio del 64] fosse stato ordinato, Nerone per soffocarla indicò come colpevoli, punendoli con raffinati supplizi, coloro che, odiati per i loro delitti, erano chiamati dal volgo “Cristiani”. L’autore di questa setta era Cresto che, al tempo di Tiberio, fu mandato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato, ma quella esiziale superstizione, repressa un istante, rinacque non solo in Giudea, origine di questo male, ma anche a Roma dove affluiscono e prosperano tutte le cose atroci e vergognose. Dunque, presi prima quelli che confessavano e poi, per loro indizio, una ingente moltitudine, non furono tanto convinti dell’incendio di Roma quanto dell’odio verso il genere umano. Alla morte fu aggiunto lo scherno, perché parecchi, rivestiti di pelli di fiere, erano dilaniati dai cani, altri affissi alle croci o bruciati, altri accesi perché facessero da fiaccole nelle tenebre della notte. Nerone concesse i suoi giardini per questo spettacolo e, vestito da auriga, celebrava i giochi circensi in mezzo alla folla o seduto sul carro. Per questi miseri, benché colpevoli e degni di ogni più severo castigo, nasceva un sentimento di commiserazione, giacché apparivano sacrificati non per pubblica utilità, ma per la salvezza di uno solo».[5]
Tacito è uno storico informato e attendibile e, in questo caso, neutrale sulle opinioni religiose in contrasto. Al suo testo si possono fare alcune osservazioni di chiarimento:
• è da notare il termine «Cresto» – Cristiani, già presente in Svetonio, e l’allusione a Pilato;
• è attestata l’esistenza di una «moltitudine ingente» di Cristiani: segno che la comunità è organizzata e composta da persone di varia estrazione sociale. La persecuzione non ne soffocò del tutto la vita. Sembra probabile che gli Apostoli Pietro e Paolo siano sfuggiti alla morte in questa circostanza: saranno martirizzati qualche anno dopo;
• il Cristianesimo è definito «esiziale superstizione» nel senso che mette in crisi la visione pagano-romana del mondo;
• l’accusa non è quella di aver appiccato l’incendio, ma di odiare il genere umano, cioè di essere fanatici e misantropi, di vivere secondo proprie usanze, sospette e inumane, come compiere incesti, crimini contro le persone, e via dicendo;
• la persecuzione si limitò alla città di Roma;
• sottolinea la crudeltà dei supplizi e la pietà del popolo verso i martiri cristiani.
In conclusione, fu una tragedia, feroce e improvvisa, che segnò duramente la comunità di Roma.[6]
La Lettera ai Corinzi di Clemente I (95 dopo Cristo circa)
Un’altra testimonianza della persecuzione neroniana dell’anno 64 è contenuta nella Lettera ai Corinzi del Papa Clemente I[7], scritta verso l’anno 95. Nel testo si fa memoria delle «colonne più grandi e più giuste» che lottarono fino alla morte (evidente allusione ai Santi Pietro e Paolo). Scrive questo Pontefice da Roma:
«Veniamo agli atleti vicini a noi […]. Mettiamoci davanti agli occhi i buoni Apostoli: Pietro, che per una ingiusta gelosia sopportò non una o due, ma molte sofferenze […]. A causa di gelosie e discordie, Paolo mostrò come si consegue il premio della sofferenza. Sette volte caricato di catene, esiliato, lapidato; divenuto araldo in Oriente e in Occidente, ottenne un’eccellente fama della sua fede. Giunto ai confini dell’Occidente [allusione al viaggio in Spagna che aveva progettato?] e resa la sua testimonianza davanti ai governanti, lasciò questo mondo e raggiunse il luogo santo, diventando un grandissimo modello di sopportazione della sofferenza. A questi uomini che vissero santamente si aggiunse una grande moltitudine di eletti, i quali, soffrendo per gelosia molti oltraggi e tormenti [allusione ai Protomartiri Romani], furono tra noi un esempio veramente splendido».[8]
Ireneo, Vescovo di Lione[9], verso la fine del II secolo, accenna a Clemente Vescovo di Roma «al terzo posto a partire dagli Apostoli», il quale «aveva visto gli Apostoli stessi e si era incontrato con loro, aveva ancora nelle orecchie la loro predicazione e davanti agli occhi la loro tradizione».[10]
Tito Flavio Domiziano (81-96)
La seconda persecuzione fu quella di Domiziano.[11] Per circa trent’anni, nel periodo degli Imperatori Vespasiano[12] e Tito[13], i Cristiani erano stati lasciati in pace, perché l’attenzione delle autorità romane era assorbita dalla rivolta giudaica in Palestina.
Negli ultimi anni del suo Regno, Domiziano accentuò l’assolutismo e il culto divino alla persona dell’Imperatore. Si fece chiamare «Dominus et Deus» e volle abbattere ogni resistenza nell’aristocrazia e tra gli intellettuali, i quali erano alla ricerca di una religione più pura e di un conforto contro gli arbitrii del Sovrano.
Nel 95 fu giustiziato Flavio Clemente, cugino di Tito e dello stesso Domiziano, con l’accusa di «ateismo» e di «deviazione verso i costumi dei Giudei» (da leggere: «dei Cristiani»). Sua moglie Flavia Domitilla venne esiliata nell’isola di Ponza l’anno seguente: probabilmente è lei la proprietaria del cimitero che ancora oggi viene identificato con questo nome. Un altro personaggio di rilievo fu il console Manio Acilio Glabrione, anch’egli ucciso (nel 95) perché accusato di «ateismo» e di innovazioni proibite.[14] Nell’Epistola ai Corinzi di Clemente, Vescovo di Roma e liberto di Flavio Clemente (Clemente Romano, Papa), si accenna a «disgrazie e tribolazioni che inopinatamente avevano afflitto la Chiesa di Roma» (1,1). Secondo lo scrittore Egesippo[15], Domiziano avrebbe convocato a Roma «i parenti del Signore», Simeone e Giuda, cugini di Gesù, denunciati come discendenti di Davide: li rimandò in patria non avendoli trovati colpevoli.[16]
Lattanzio lasciò scritto: «Domiziano diede prova di efferata crudeltà: a Roma fece uccidere senza giudizio una folla tutt’altro che piccola di nobili e di persone ragguardevoli; condannò ingiustamente un grande numero di uomini illustri alla confisca dei beni e all’esilio…».[17]
Secondo alcuni autori moderni, non ci sarebbe stata una vera persecuzione, ma si verificarono solo delle «vessazioni di polizia», soprattutto per aumentare le entrate del fisco con nuove tasse sugli Ebrei. Aumentarono denunce anonime e delazioni interessate, tanto che fu necessario intervenire.
Con maggiore certezza storica è documentata la persecuzione nelle Chiese dell’Asia Minore. Il libro dell’Apocalisse[18] offre dati importanti e, nel suo genere letterario, appare un messaggio di speranza ai fedeli nella prova, cioè soggetti alla persecuzione.[19] Giovanni è esiliato da Efeso a Patmos (1,9); la Chiesa di Efeso ha sofferto «per il nome di Cristo» (2,3); a Pergamo è ucciso Antipa a causa del «trono di Satana» (forse il tempio di Roma, cioè il culto all’Imperatore) (2,13); molti membri della Chiesa di Smirne saranno incarcerati (2,10).
Alla fine del I secolo, gli Imperatori della casa Antonina dettero inizio a un periodo di distensione nei riguardi dei Cristiani. Il mite Marco Cocceio Nerva[20] (al potere nel 96-98) vietò addirittura le accuse contro di loro e la Chiesa Romana poté svolgere in pace la sua missione. Per tutto il II secolo la situazione rimase caratterizzata, più che dalla persecuzione, da un clima di paura e di precarietà: i Cristiani vivevano nel timore di denunce e di torture. Le loro preoccupazioni non derivavano tanto dalla crudeltà degli Imperatori pagani, quanto dall’ostilità delle popolazioni pagane o giudaiche.
Marco Ulpio Traiano
Negli anni dell’Imperatore Marco Ulpio Traiano[21] (98-117) si registra invece una specie di persecuzione o, meglio, si attuano dei provvedimenti anticristiani. Un documento di fondamentale importanza per capire le relazioni tra Cristianesimo e Impero, per comprendere l’atteggiamento delle autorità romane verso i Cristiani, per conoscere la storia e le caratteristiche delle prime persecuzioni, è la Lettera dello scrittore Plinio il Giovane al suo amico e Sovrano Traiano, inviata a Roma nel 112 dalla Bitinia, dove egli si trovava come governatore. Essa ci offre pure notizie sulla vita, l’organizzazione, il culto nella Chiesa primitiva, che in questa sede non interessano. Alla lettera di Plinio è da aggiungere la risposta di Traiano, breve e sibillina.
Plinio, dunque, dopo aver condannato a morte alcuni Cristiani, e averne indotto altri a rinnegare la fede, impressionato dal numero di quanti si ostinavano nel voler professare questa «prava e sfrenata superstizione», chiede all’Imperatore istruzioni per i processi:
«Io non fui mai presente a processi fatti contro i Cristiani e perciò ignoro in che cosa e fin dove si è soliti inquisirli e punirli. Sono anche incerto se si debba fare differenza tra le diverse età e se i fanciulli, per quanto ancora teneri, debbano essere trattati come i più grandi. Inoltre, se si debba perdonare a chi si pente, oppure se nulla giovi a chi fu realmente cristiano il non esserlo più. Infine se si punisca il solo nome, anche se non vi siano delitti specifici, oppure se siano soggetti al castigo alcuni delitti che sono inseparabili da quel nome...».
Dopo tale premessa, egli narra come si è comportato nel frattempo con quelli che furono denunciati come Cristiani:
«Li interrogai e, se confessavano che erano Cristiani, facevo loro due o tre volte la stessa richiesta, minacciandoli di castigo; se persistevano li condannavo perché non dubitavo che, prescindendo da qualsiasi altra valutazione, era senz’altro da punire almeno la loro caparbietà e l’invincibile ostinazione nel voler restare Cristiani».
Plinio passa poi a esporre «vari casi speciali» derivati dalla «diffusione di questa colpa»: era una situazione nuova e strana che lo lasciava perplesso e che causava contrasto tra la sua coscienza di uomo e il suo dovere di funzionario.
«Mi fu consegnato un libello anonimo dove erano scritti i nomi di molti, i quali invece negarono di essere o di essere stati Cristiani; anzi, seguendo il mio esempio, invocarono gli dèi, offrirono il vino e l’incenso alla tua statua, che avevo fatto portare insieme ai simulacri dei numi, e inoltre maledissero Cristo: tutte cose alle quali non possono essere piegati quelli che sono Cristiani davvero. Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere Cristiani, poi lo negarono; alcuni riconobbero di esserlo stati ma di non esserlo più, chi da tre e chi da parecchi anni: anche tutti costoro adorarono la tua immagine e le statue degli dèi. Stimai necessario, anche per mezzo della tortura, di ricercare che cosa vi fosse di vero, ma non trovai altro che una prava e sfrenata superstizione. Pertanto, sospeso il processo, ricorro a te per consiglio, dato che la cosa mi parve degna di consulto, specie per il gran numero di accusati: ve ne sono infatti molti, di ogni età, ordine e sesso, che andrebbero chiamati in giudizio; non solo nelle città ma anche nelle borgate e in campagna si è diffuso il contagio di questa superstizione, che non mi pare si possa facilmente arrestare o correggere».[22]
Ed ecco la sintetica e oscillante risposta di Traiano: «Tu hai agito come dovevi nell’esaminare le cause di quelli che ti sono stati denunciati come Cristiani giacché non è possibile stabilire una norma universale e, direi, quasi immutabile. Tuttavia ti suggerisco di fare così: i Cristiani non devono essere ricercati, ma se vengono accusati e sono convinti di colpa, bisogna punirli, in modo però che, se qualcuno di loro nega di essere cristiano e lo dimostra di fatto adorando i nostri dèi, benché sia sospetto di esserlo stato nel passato, ottenga il perdono a causa del pentimento. Quanto poi ai libelli anonimi, non devono essere accolti per qualsiasi specie di accusa, perché ciò è di pessimo esempio e indegno del nostro tempo».[23]
Alcune considerazioni
Dai due testi citati si possono ricavare alcune considerazioni:
• non esiste una legge esplicita contro la professione della fede cristiana, in considerazione del fatto che il governatore Plinio la ignora e l’Imperatore Traiano non la richiama;
• non si parla di persecuzione in massa da parte del potere centrale;
• il capo di accusa è il solo nome di Cristiano, non altri crimini, come si è visto in precedenza; Plinio ha come linea di condotta la condanna di chi rifiuta di abiurare dopo vari interrogatori, ma ha scrupoli di coscienza e chiede consiglio al suo Imperatore. Traiano risponde dando norme empiriche, ma si pronuncia in maniera contraddittoria[24] e giuridicamente non ben definita: non ricercare d’ufficio i Cristiani, ma, se denunciati e trovati colpevoli, devi punirli («Conquirendi non sunt, sed si deferantur et arguantur, puniendi sunt»). Ma chi rinnega la fede, e lo dimostra con i fatti, benché sospetto per il passato, «veniam ex poenitentia impetret». Infine non si devono accettare libelli anonimi, perché le denunce vanno sottoposte alla magistratura romana. Da tale posizione derivano una serie di fatti:
• uomini di cultura e politici moderati come Plinio e Traiano mostrano completa incomprensione del Cristianesimo come tale, e non esitano a ricorrere alla tortura e alle condanne più severe senza distinzioni;
• Plinio nota che i Cristiani sono molto numerosi e constata che è impossibile costringerli ad abiurare;
• parla tuttavia di frequenti apostasie e di alcuni che sono pronti a «maledire Cristo» pur di salvare la vita («Hi quoque omnes et imaginem tuam deorumque simulacra venerati sunt et Christo maledixerunt»). Quest’ultimo aspetto non si concilia con la pittura rosea che spesso si fa dei primi Cristiani: se vi furono martiri ferventi, non mancarono i traditori. È la realtà umana di ogni tempo. Il problema delle persecuzioni non si esaurisce quindi nella lotta contrapposta tra i persecutori colpevoli e le vittime innocenti, ma va considerato come il «travaglio di un’epoca e di una trasformazione della mentalità corrente».[25]
Il martirio dei Vescovi Simeone e Ignazio
Per tutto il secolo II, il rescritto di Traiano servirà come testo-base contro i Cristiani, anche se le norme non sono chiare e non vincolano i successivi Imperatori. Contro questa giurisprudenza lotteranno aspramente molti apologisti. Si può concludere sottolineando che la procedura seguita da Plinio fu certamente illegale, né meglio si comportò Traiano, che pure doveva tutelare la legge. Infatti, il diritto penale romano non concepiva che si potesse perdonare ai rei confessi o che non si dovessero cercare i colpevoli. Traiano non diede dunque una valida norma generale, né suggerì un buon rimedio pratico; neppure fece un gesto di benevola tolleranza, anche se di fatto essa si verificò in seguito. Il suo rescritto nasce invece dalla disistima verso i seguaci della nuova fede e dalla persuasione che l’essere Cristiani era un delitto.
Circa l’estensione della persecuzione traianea, oltre che in Bitinia, si sa che in Palestina venne crocifisso Simeone, secondo Vescovo di Gerusalemme, e che a Roma fu dato in pasto alle belve Ignazio, Vescovo di Antiochia.[26]
Dopo Traiano
I due successori di Traiano, Adriano e Antonino Pio, si mostrano ben disposti verso i Cristiani e ordinano ai loro funzionari di regolarsi con moderazione e buon senso, di contrastare il fanatismo popolare, specie in Grecia e in Asia Minore, e di salvaguardare la tranquillità dello Stato. Sono severi contro i calunniatori.
Publio Elio Adriano[27] (al potere nel 117-138), in un rescritto del 128 al proconsole dell’Asia Minucio Fundano, esige una regolare procedura nei processi «davanti ai tribunali, e non con petizioni e schiamazzi».
«Se l’accusatore riesce a provare che i Cristiani fanno realmente qualche cosa contro la legge, tu punisci secondo la gravità del delitto. Che se qualcuno prende questo pretesto per calunniare, non lasciarti sfuggire tale colpa e punisci a dovere».[28]
A sua volta, Antonino Pio[29] (al potere nel 138-161) rinnova le medesime istruzioni in una lettera all’assemblea federale dell’Asia, vietando in particolare di incolpare i Cristiani di ateismo.
«Se qualcuno si ostinerà a dare molestia a chiunque dei Cristiani solo per quello che sono, l’accusato sia libero da ogni imputazione, anche se risulta essere tale; l’accusatore invece sia soggetto a punizione».[30]
Secondo alcuni, questo documento non è autentico, perché troppo favorevole ai Cristiani, al punto che, in base a esso, nessun Cristiano poteva essere perseguitato, invece… È certo che una legge precisa e unica contro i Cristiani non esisteva: molto era lasciato all’arbitrio dei singoli funzionari statali e all’umore delle folle. Si hanno perciò i casi più disparati ed episodi antitetici, nello stesso periodo, secondo i diversi luoghi.
A Roma viene martirizzato, nel 137, il Papa Telesforo, e poco dopo Tolomeo con due Cristiani[31], mentre senatori, matrone e impiegati civili possono professare la fede cristiana. A Smirne, nel 155, il furore popolare uccide il Vescovo Policarpo di 86 anni, discepolo dell’Apostolo Giovanni.
Altrove, alcuni giudici cercano di salvare i Cristiani, accontentandosi di qualche gesto formale di adesione al culto degli dèi; oppure desiderano conoscere la nuova religione.
Un’altra persecuzione (la quarta?) si sviluppò al tempo di Marco Aurelio Antonino[32] (161-180), filosofo stoico. All’inizio del suo Governo scoppiano la carestia e la peste, i barbari minacciano i confini dell’Impero. La plebe accusa i Cristiani di essere gli autori di quelle calamità; gli intellettuali li ritengono pericolosi per i loro poteri magici e da disprezzare per le loro equivoche usanze; lo stesso Imperatore li giudica gente irragionevole e stolti visionari.[33]
Il retore Frontone, maestro di Antonino Pio e di Marco Aurelio, afferma che i Cristiani sono rei di adorare una testa d’asino, di immolare un bambino nelle cerimonie e di mangiarne le carni, di unioni incestuose nei giorni festivi.[34]
Quanto fosse grave la persecuzione è provato dalle apologie indirizzate a Marco Aurelio da Atenagora, Melitone, Apollinare e Milziade. Tuttavia l’Imperatore non emanò alcun editto speciale: al proconsole della Gallia si limitò a confermare le direttive di Traiano.
I martiri principali furono: a Roma, il filosofo e apologista Giustino[35] con sei compagni; a Lione, nel 177, una cinquantina di vittime, tra le quali il Vescovo ultranovantenne Fotino e la giovane schiava Blandina;[36] in Oriente, i Vescovi di Atene e Laodicea.
L’ultimo degli Antonini, Marco Aurelio Commodo[37] (al potere nel 180-192), recò dei giorni più tranquilli «a tutte le Chiese dell’orbe: moltissimi uomini di ogni grado erano attirati al culto del sommo Dio», specie a Roma.[38]
Si ebbero tuttavia dei martiri isolati, i più noti dei quali furono quelli del gruppo dei «martiri scillitani», tre uomini e tre donne uccisi a Scilli (Scillum), in Nord Africa (Numidia), il 17 luglio 180.
L’Africano Settimio Severo[39] (al potere nel 193-211) si rivelò un amministratore che intese ristabilire l’ordine nell’Impero. Il matrimonio con la figlia del sommo sacerdote del dio Sole di Emesa lo aprì alle religioni orientali e al sincretismo filosofico-religioso, che egli intese collocare a fondamento dell’assolutismo statale.
All’inizio fu quindi assai benevolo verso i Cristiani e li tollerò anche a Corte.[40] In seguito emanò un editto che proibiva – con gravi punizioni in caso di non ubbidienza – il passaggio al Giudaismo e al Cristianesimo,[41] colpendo soprattutto i catecumeni e i neo-battezzati.
È il primo atto giuridico rivolto direttamente contro i Cristiani. Si tratta di un provvedimento generale che tentò di impedire il progresso del Cristianesimo. Tutte le decisioni anteriori, raccolte dal giureconsulto Ulpiano[42], avevano un significato negativo, cioè non riconoscevano alla nuova religione il diritto di esistenza legale, ma non si opponevano alla sua esistenza e diffusione.
La persecuzione di Settimio Severo non durò a lungo. Non mancarono comunque i martiri. Ad Alessandria d’Egitto vennero decapitati Leonida e diversi catecumeni di suo figlio Origene, nel 202. Fu bruciata con la pece bollente «la celeberrima Potamiena, della quale ancora oggi risuona la fama tra i suoi conterranei», mentre sua madre Marcella subì il supplizio del rogo.[43] A Cartagine affrontarono impavide il martirio nell’anfiteatro le Sante Perpetua e Felicita con altri quattro catecumeni. I loro Atti risalgono probabilmente a Tertulliano. In Gallia venne eliminato il Vescovo Ireneo, il più importante teologo del II secolo; in Cappadocia, il Vescovo Alessandro subì il carcere…
Con Marco Aurelio Antonino Caracalla[44] (211-217) i Cristiani godettero di una relativa pace perché l’Imperatore era «lacte cristiano educatus».[45] Ma fu sempre possibile qualche persecuzione locale, come a Cartagine nel 212, dove il proconsole Scapula infierì contro i Cristiani, suscitando le accese proteste di Tertulliano.
Il successore, Alessandro Severo[46] (al potere nel 225-235) si può considerare il più favorevole degli Imperatori: infatti rese libera la professione della fede («Christianos esse passus est»).[47]
«Faceva sacrifici nella cappella privata, dove teneva le immagini dei principi virtuosi e delle anime più sante, tra cui vi erano Apollonio, Cristo, Abramo, Orfeo e altri dèi di tal genere»; «voleva innalzare un tempio a Cristo; ammetterlo tra gli dèi»; assegnò ai Cristiani un terreno a scopo di culto durante una lite con tavernieri pagani; fece scrivere nel palazzo imperiale e sugli edifici pubblici la massima evangelica: «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te» (Vangelo secondo Matteo 7,2). La madre di Alessandro Severo, Giulia Mammea, si accostò molto al Cristianesimo e fu in relazione con Origene e Ippolito. Mai la Chiesa sembrò tanto vicina a un riconoscimento ufficiale.[48]
Invece Massimino il Trace[49] (235-238), il «primo barbaro sul trono dei Cesari», per odio contro i Severi che avevano protetto i Cristiani, «suscitò una persecuzione, ordinando di uccidere solo i capi della Chiesa, perché su di essi posava la responsabilità della predicazione del Vangelo».[50]
La persecuzione si accentuò soprattutto nelle province della Cappadocia e del Ponto per il solito fanatismo popolare. Il Papa Ponziano[51] fu esiliato in Sardegna, ove morì. Ma l’ostilità durò pochi anni.
Sempre nella prima metà del III secolo, l’Imperatore Filippo l’Arabo[52] passò addirittura come Cristiano.[53] Probabilmente questa tradizione è leggendaria, ma sta a significare la grande importanza storica assunta dal Cristianesimo in quell’età, essendo ormai penetrato in ogni strato sociale, influenzando il pensiero contemporaneo con la sua dottrina.
Dalla morte di Marco Aurelio all’avvento di Decio
Nel settantennio che va dal 180 al 250 (dalla morte di Marco Aurelio all’avvento di Decio), il Cristianesimo poté godere di un sostanziale periodo di pace, nonostante taluni avvenimenti ed episodi di persecuzione. Accanto ai martiri conosciuti e celebrati, che si immolarono per la fedeltà a Cristo e per la conversione dei pagani, va storicamente ricordata la massa dei Cristiani anonimi che svolsero in silenzio un efficace apostolato e che diedero una significativa testimonianza al Vangelo.
Naturalmente si venne instaurando tra pagani e Cristiani un «modus vivendi» nella società e nella vita quotidiana, con tutte le difficoltà di un’epoca di trapasso. Cominciano i lamenti dei pastori e dei moralisti sulla decadenza del costume religioso cristiano. Alla vigilia della terribile prova, Cipriano[54] – scrittore contemporaneo attendibile e protagonista delle vicende che stanno per esplodere – descrive le tristi condizioni morali durante «la lunga pace che aveva corrotto la disciplina»: «Ognuno attendeva ad aumentare le proprie sostanze […] con insaziato ardore di cupidigia […]; non splendeva la pietà religiosa dei sacerdoti […] si componevano matrimoni con i pagani».[55]
A parte le esagerazioni polemiche, occorre dire che non mancarono i Cristiani deboli: ma il numero dei martiri attesta l’alto livello di spiritualità e di fede raggiunto nei primi due secoli di storia e di vita cristiana.
In questo periodo, inoltre, la Chiesa non solo poté tranquillamente espandersi, ma riuscì a conquistare gli aristocratici e i funzionari dello Stato e a consolidare la sua struttura gerarchica. Cambia perciò la composizione sociale delle comunità cristiane: sull’elemento greco ed ebraico prevale ormai quello latino. Tutto ciò favorisce una progressiva mondanizzazione dell’ambiente ecclesiastico, fa aumentare il peso politico del Cristianesimo nel mondo imperiale, attirandosi l’ostilità del potere che teme sempre più l’avanzare della nuova religione.
K. Bihlmeyer-H. Tuechle, Le persecuzioni dei Cristiani da Nerone alla metà del III secolo, in: «Storia della Chiesa», volume I, L’antichità, Morcelliana, Brescia 1960
A. R. Birley, Marco Aurelio, Rusconi, Milano 1990
E. dal Covolo, La politica religiosa di Alessandro Severo, in «Salesianum», volume 49, 1987
M. Grant, Gli Imperatori Romani, Newton Compton Editori, Roma 2012
P. L. Guiducci, Nell’ora della prova. La testimonianza dei martiri cristiani a Roma dal I al IV secolo, Àlbatros, Roma 2017
A. G. Hamman, I Cristiani del secondo secolo, il Saggiatore, Milano 1973
M. A. Levi, Nerone e i suoi tempi, BUR, Milano 1995
J. Malitz, Nerone, il Mulino, 2003.
1 Tiberius Claudius Drusus Nero Germanicus (37 dopo Cristo-68 dopo Cristo). Regnò per 14 anni, dal 54 alla morte. È l’ultimo rappresentante della dinastia giulio-claudia.
2 Svetonio, Vita di Claudio, 25. Una migliore traduzione del passo: «A motivo di un certo Cresto facevano continui tumulti».
3 E. Champlin, Nerone, Laterza, Bari-Roma 2010. M. A. Levi, Nerone e i suoi tempi, BUR, Milano 1995.
4 Cornelio Tacito (56/57 circa-120 circa): storico, di famiglia equestre, visse a Roma e acquisì fama come oratore; genero di Agricola, fu questore (81-82), pretore (86), console (97) e proconsole d’Asia (112 circa). Le sue opere sono pervenute tutte, anche se in forma lacunosa: Dialogus de oratoribus; De vita et moribus Iulii Agricolae; De origine et situ Germanorum. Le due grandi opere storiche, costituenti un unico «corpus», sono tradizionalmente divise in Historiae (14 libri) sugli avvenimenti dal 69 al 96 (da Galba a Domiziano), e Annales (16 libri) dal 14 al 68 (dalla morte di Augusto a quella di Nerone).
5 Tacito, Annali, 15, 44.
6 A. M. Erba, I Protomartiri Romani, Quaderni del «Collegium cultorum martyrum», 2, Roma 1983. P. L. Guiducci, Nell’ora della prova. La testimonianza dei martiri cristiani a Roma dal I al IV secolo, Àlbatros, Roma 2017.
7 Clemente I (Santo; martire; chiamato anche Clemente Romano) nacque a Roma (non si conosce la data). Fu Pontefice dal 92 al 97. Padre della Chiesa. Morì intorno al 100 dopo Cristo.
8 San Clemente I, Lettera ai Corinzi, 5,1-6,1. Periodo del Pontificato: 88-97.
9 Ireneo (Santo) nacque a Smirne nel 130. Dal 177 fu Vescovo di Lione. Morì in questa città nel 202. È uno dei Padri della Chiesa.
10 Ireneo di Lione, Contro le eresie, III, 3,2.
11 Tito Flavio Domiziano nacque nel 51 dopo Cristo. Imperatore dall’81 al 96 (anno della sua morte). Ultimo esponente della dinastia Flavia.
12 Cesare Vespasiano Augusto nacque il 9 dopo Cristo. Imperatore dal 69 dopo Cristo al 79.
13 Tito Flavio Cesare Vespasiano Augusto nacque nel 39 dopo Cristo. Imperatore dal 79 all’81.
14 Glabrione fu obbligato a combattere contro le fiere nel circo, venne poi esiliato e messo a morte.
15 Egesippo (110 circa-180 circa): scrittore cristiano del II secolo.
16 Confronta Eusebio, Historia ecclesiastica, III, 20, 1-6.
17 Lattanzio, De mortibus persecutorum, 3.
18 C. Doglio, Apocalisse. Introduzione, traduzione, commento, San Paolo, Cinisello Balsamo 2012.
19 Confronta anche: F. Vitali, Piccolo dizionario dell’Apocalisse, TAU Editrice, Todi 2008.
20 Marco Cocceio Nerva nacque nel 26 dopo Cristo.
21 Marco Ulpio Traiano nacque nella città di Italica, colonia di Italici nella provincia dell’Hispania Baetica.
22 Plinio, Lettere, 10, 96-97.
23 Ivi, 10, 98.
24 Tertulliano, Apologeticum, 2, 8.
25 P. Brezzi, Cristianesimo e Impero Romano, AVE, Roma 1944.
26 Eusebio, Historia Ecclesiastica, III, 32.
27 Publio Elio Traiano Adriano nacque nel 76 dopo Cristo.
28 Giustino, Apologia, I, 68, 6-10.
29 Antonino Pio nacque nell’86 dopo Cristo.
30 Eusebio, Historia Ecclesiastica, IV, 13,7.
31 Ireneo, Adversus haereses, 3, 34.
32 Marco Aurelio Antonino nacque nel 121 dopo Cristo.
33 Marco Aurelio, Ricordi, 11, 3.
34 Minucio Felice, Ottavio, 9,5; 31,1-2.
35 Giustino (Santo) nacque a Flavia Neapolis (Nablus) nel 100 circa e morì martire a Roma nel 163/167. Filosofo e apologeta di lingua greca e latina. Autore dell’opera Dialogo con Trifone, della I e della II Apologia dei Cristiani. Nei suoi scritti si trova anche la più antica descrizione del rito eucaristico. Giustino è uno dei Padri della Chiesa.
36 Eusebio, Historia Ecclesiastica, V, 1-2.
37 Commodo nacque nel 161 dopo Cristo.
38 Ivi, V, 21.
39 Settimio Severo nacque nel 146 dopo Cristo.
40 Tertulliano, Ad Scapulum, 4.
41 Sparziano, Vita Severi, 17.
42 Domizio Ulpiano nacque a Tiro (170 circa), nel Libano. Divenne un politico e un giurista. Morì nel 228. È considerato uno dei maggiori esponenti della dottrina giuridica romana.
43 Eusebio, Historia Ecclesiastica, VI, 1-6.
44 Marco Aurelio Antonino Caracalla nacque nel 188 dopo Cristo.
45 Tertulliano, Ad Scapulum, 4.
46 Alessandro Severo nacque nel 208 dopo Cristo.
47 E. dal Covolo, La politica religiosa di Alessandro Severo, in «Salesianum», volume 49, 1987.
48 Elio Lampridio (IV secolo dopo Cristo), Vita di Alessandro Severo.
49 Massimino il Trace nacque intorno al 173 dopo Cristo.
50 Eusebio, Historia Ecclesiastica, VI, 28.
51 Fu Pontefice dal 21 luglio 230 al 28 settembre 235.
52 Marco Giulio Filippo Augusto, noto come Filippo l’Arabo, nacque intorno al 204 circa. Imperatore per cinque anni: dal 244 alla sua morte (249).
53 Eusebio, Historia Ecclesiastica, VI, 34.
54 Tascio Cecilio Cipriano (Santo; 210-258) fu Vescovo di Cartagine dal 248/249. Martire. Padre della Chiesa.
55 Cipriano, De lapsis, 5-6.