Memorie dall’Alto Medioevo. I Cristiani
Stiliti
Da San Simeone Stilita all’ultimo
anacoreta sulla colonna
L’origine storica degli Stiliti risale all’antica Grecia, con particolare riguardo all’uso ateniese di scolpire sulla pietra di una colonna i nomi di coloro che dovevano essere additati al pubblico ludibrio per avere agito in senso contrario agli interessi della comunità, specialmente col tradimento. Nondimeno, il termine divenne d’uso comune dopo parecchio tempo, in epoca cristiana, quale semantica destinata a descrivere un ben diverso referente: quello di nuove ed originali professioni di fede.
Nel terzo e quarto secolo, furono proprio i Cristiani che proposero al mondo un diverso modulo di approccio alla preghiera nel significato originario di elevazione dell’anima, e nello stesso tempo, al ravvedimento ed alla meditazione. In tale ambito, ebbe momenti di significativa diffusione e di generale apprezzamento l’esempio degli Stiliti, così chiamati alla luce di una singolare esperienza di forte richiamo nella sensibilità media dell’epoca (assai vicina alla prassi degli anacoreti e degli eremiti): quella di ritirarsi sulla sommità di una colonna (in greco: «stilos»), per condurvi una vita di penitenza e di stretto rapporto con Dio. Nel caso di specie, la pietra fu protagonista, quale mezzo indispensabile a realizzare il disegno di santità a cui gli Stiliti vollero ispirarsi.
San Simeone Stilita, che diede particolare visibilità al fenomeno, visse gli ultimi 37 anni di una lunga vita di pensiero e di sacrificio (conclusasi nel 459) in cima alla sua colonna, che col passare del tempo sarebbe stata caratterizzata da altezze crescenti: all’inizio, nell’ordine dei quattro metri, e più tardi, di quindici. Al vertice, esisteva una piattaforma, anch’essa di pietra, che secondo le cronache aveva una superficie di soli quattro metri quadrati, nel cui breve ambito il Santo viveva e pregava, ma senza sottrarsi al dialogo con turbe di fedeli che accorrevano da ogni dove per chiedere grazie ed intercessioni.
Icona di San Simeone Stilita, XVI secolo, Museo Storico a Sanok (Polonia)
Stare in cima alle colonne richiedeva doti non comuni di spiritualità, e nello stesso tempo di sopportazione fisica: i contatti col terreno sottostante erano assicurati da un semplice sistema di carrucole, necessario per garantire agli Stiliti il modesto cibo necessario alla sopravvivenza e gli abiti altrettanto modesti per resistere alle intemperie. Oggi, è arduo immaginare la loro capacità di sublimarsi nel colloquio con Dio fino a livelli impensabili di sacrificio, ma la storia del Cristianesimo propone, come tutti sanno, esempi di martirio anche più alto e totale, come quello della vita; nondimeno, resta il fatto che, quanto a durata, quella degli Stiliti assomigliava, con le dovute differenze, ad una vera e propria clausura.
I reperti lapidei della colonna di Simeone – il cui nome significa non a caso che «Dio ha esaudito» – e del tempio successivamente eretto in onore del Santo sono stati lungamente visitabili in Siria, a Nord-Ovest di Aleppo. Non è dato sapere se, alla luce delle recenti vicende occorse in quella terra martoriata, potranno essere salvate dalla nuova furia iconoclastica: in ogni caso, continueranno a vivere nel cuore degli uomini liberi.
Rovine della chiesa di San Simeone con i resti della sua colonna
Lo Stilita scendeva raramente dal suo piedistallo: lo stesso Simeone, secondo la tradizione, lo avrebbe fatto soltanto per esprimere la virtù dell’obbedienza e dimostrare, in primo luogo a se stesso, che il ritiro sulla colonna non costituiva un atto di egocentrismo né tanto meno di orgoglio. Un esempio, sia detto fra parentesi, di attualità permanente: la storia può essere sempre interpretata in funzione contemporanea, secondo l’insegnamento sempre valido di Benedetto Croce e di Friedrich Meinecke.
Il periodo in parola vide una significativa proliferazione degli Stiliti. Tra i più noti, si ricorda anche San Simeone il Giovane (così chiamato per distinguerlo dal predecessore vissuto circa un secolo prima), che diversamente da altri non fu alieno dal viaggiare e dal portare questo esempio di fede in località diverse, dove si ritirava in preghiera ed in penitenza sulla sommità di nuove colonne. Fu così che la pietra ebbe un ulteriore riconoscimento quale materia prima idonea a costituire uno strumento di santità.
L’esperienza stilita si sarebbe esaurita relativamente presto, assieme agli ultimi sussulti della romanità classica, a favore di nuove esperienze e di un nuovo impegno del monachesimo nella vita sociale e nel lavoro: basti pensare alla Regola Benedettina ed al suo impatto «rivoluzionario» nella filosofia e nell’etica di quella suggestiva stagione spirituale, con l’avvento dell’azione accanto alla contemplazione («ora et labora»). Tuttavia, il ricordo degli Stiliti sarebbe rimasto imperituro, quale testimonianza di una fede che non è azzardato definire granitica e che veniva simboleggiata, appunto, dalla pietra su cui veniva costruita.
La fama di questi singolari monaci si è tradotta in saltuarie imitazioni che si sono protratte fino all’epoca contemporanea: nel nuovo millennio esiste un anacoreta di religione ortodossa, Padre Massimo Qavtaradze, il quale vive da oltre un ventennio in cima ad un pinnacolo naturale situato in Georgia ed alto circa 40 metri; lassù, il novello Stilita dispone di 150 metri quadrati su cui ha costruito un piccolo ricovero, e donde scende brevemente due volte a settimana per partecipare alle funzioni della sua Comunità sottostante: ciò, utilizzando una perigliosa scala di corda in un percorso di almeno venti minuti. Padre Massimo è solito affermare che la propria scelta di vita consente un rapporto assai profondo con Dio e costituisce un ottimo antidoto ai mali del mondo.
L’esempio di questo «ultimo» Stilita dimostra che la memoria storica dei suoi lontani predecessori continua a vivere ed a produrre imitazioni tanto più sorprendenti in un mondo come quello contemporaneo, governato dal pragmatismo e dal relativismo. È la conferma, se per caso ve ne fosse bisogno, che corsi e ricorsi appartengono alla realtà umana, nella cui evoluzione etica e civile nulla è davvero definitivo.