Germi di pensiero democratico nella poetica
stilnovista
Alcuni versi di Guido Guinizzelli spiegano
chi sono i veri nobili, a cui affidare il governo dei Comuni
Quando si parla del Dolce Stil Novo si è soliti distinguerlo dalle opere dei seguaci di Guittone d’Arezzo per l’assenza di tematiche politiche nei canzonieri dei diversi autori. Mentre Guittone e compagni trattavano delle lotte fra guelfi e ghibellini e fra magnati e popolo grasso all’interno dei Comuni Toscani, gli stilnovisti si sarebbero concentrati unicamente sulla trattazione alta e filosofica del tema dell’amore.
Questo è vero, ma solo in parte. Se gli argomenti politici non emergono in maniera chiara ed evidente e mancano cenni agli eventi drammatici dell’epoca, in uno dei pilastri della poetica stilnovista non mancano comunque riferimenti, seppure indiretti, alle idee politiche che hanno guidato le lotta dei popolani contro i magnati, i nobili emigrati dalla campagna nelle città, delle quali volevano gestire il potere.
Stiamo parlando della nuova idea di nobiltà che emerge dalle liriche stilnoviste e che viene sancita nella canzone ritenuta manifesto del Dolce Stil Novo, Al cor gentil rempaira sempre amore del caposcuola bolognese Guido Gunizzelli.
Un passaggio della bellissima e celebre lirica è davvero illuminante:
«Fere lo sol lo fango tutto ‘l giorno
vile reman, né ‘l sol perde calore;
dis’ omo alter: “Gentil per sclatta torno”;
lui semblo al fango, al sol gentil valore:
ché non dé dam om fé
che gentilezza sia fòr di coraggio
in degnità d’ere’
sed a vertute non ha gentil core,
com’aigua porta raggio
e ‘l ciel riten le stelle e lo splendore» (versi 31-40).
(«Il sole colpisce il fango per tutta la durata del giorno:
ma il fango resta vile e il sole non perde calore;
dice un uomo superbo: “Io sono nobile per schiatta”;
lui lo paragono al fango, la nobiltà del cuore al sole:
perché non si deve credere
che la nobiltà risieda, senza il valore dell’animo,
soltanto nella dignità dell’erede
se non ha un cuore nobile disposto verso la virtù,
come l’acqua conduce la luce
e il cielo contiene le stelle e la luce»).
Il significato dei versi è chiaro: la nobiltà vera risiede, secondo il poeta, nella gentilezza d’animo e non nella discendenza della stirpe. Non si è, quindi, nobili per sangue, bensì per natura. Anche fra il popolo, perciò, può risiedere la nobiltà, non solo fra i magnati. L’idea è politica, anzi democratica «ante litteram», ed è un modo per sostenere le idee del popolo grasso dei mercanti e dei notabili, antenati dei borghesi, che si battevano per salire al governo dei Comuni al posto dei nobili. Se una persona è nobile di sangue ma non nell’animo è come il fango che neppure il sole riesce a «nobilitare». La nostra stella dona la vita agli esseri viventi, piante ed animali, ma le sostanze ignobili non ne traggono beneficio. La metafora è illuminante e perfino provocatoria e vi si nota un certo astio ed un certo risentimento verso chi sostiene di essere nobile per semplice discendenza. Insomma negli stilnovisti risiedono insospettati i «germi» della democrazia. I poeti d’amore non erano altro che i nuovi nobili, perché solo nel cuore gentile amore trovava il suo rifugio naturale. La nuova nobiltà, oltretutto, portava con sé un ingegno capace di dedicarsi in maniera alta all’opera poetica, quindi anche fra amore e poesia stilnovista viene a crearsi una magnifica corrispondenza.