L’UFO di Mussolini
La storia del primo contatto documentato
con un velivolo proveniente, forse, dall’«ignoto»
Se chiedessi qual è il primo contatto (quasi) sicuramente avvenuto tra gli uomini e ipotetici visitatori dallo spazio, molti penserebbero agli Stati Uniti del 1947. Pochi sanno che, in realtà, è stato in Italia che è precipitato un UFO (nell’accezione letterale del termine: un «Unidentified Flying Object», ossia un «Oggetto Volante Non Identificato») nel 1933… con tanto di piloti. Proveniente da un altro pianeta?
Prima di proseguire, ritengo opportuno precisare le mie idee al riguardo degli alieni: che la vita esista anche su altri pianeti, non solo sulla Terra (almeno a livello microscopico, di virus e batteri), è cosa ammessa dalla maggior parte degli scienziati, e personalmente lo sottoscriverei anch’io; che queste forme di vita semplicissime si siano potute evolvere fino a una razza e una civiltà tecnologica simile o addirittura superiore alla nostra, è una possibilità che reputo assai remota (soprattutto se pensiamo alla catena di cause uniche che hanno permesso lo sviluppo della vita sul nostro pianeta) ma non del tutto impossibile. Che ci siano però stati dei contatti tra noi e questi presunti alieni sostenuti da prove certe e indiscutibili, questo lo nego: non vi sono prove e neppure indizi che possano far pensare che eventuali alieni siano mai giunti fino a noi o siano in contatto con il nostro pianeta.
Ma dunque, che cosa è avvenuto nel 1933?
La vicenda è stata ricostruita con ricerche minuziose e ricche di particolari: ne hanno parlato giornali dell’epoca, ovviamente, ma sono uscite anche opere a stampa – persino edite da case editrici di prestigio – oltre a una folta messe di articoli su internet, da prendere con le pinze, e trasmissioni televisive. Le ricerche, del resto, stanno proseguendo. Cerchiamo di focalizzare i punti fondamentali.
Il 13 giugno di quell’anno, a Magenta, a pochi chilometri da Milano, precipitò un non meglio identificato «velivolo non convenzionale» lungo dai 10 ai 12 metri e a forma di campana o di ghianda, con una strozzatura poco prima del fondo e oblò sulla fiancata da cui uscivano luci bianche e rosse: insomma, l’immagine classica di un UFO. A terra rimasero anche i corpi senza vita dei due piloti: erano alti un metro e 80 centimetri, con capelli e occhi chiari, la pelle diafana.
Sul posto, oltre ai curiosi attirati da un bagliore nel cielo seguito dal boato dello schianto e ai soldati della milizia fascista, si aggiravano anche individui dall’aspetto poco rassicurante, in borghese, con le sigarette che pendevano agli angoli delle labbra: erano agenti dell’O.V.R.A., la temuta polizia segreta del regime fascista.
La notizia del ritrovamento fu subito comunicata a Mussolini. Questi non credette che si trattasse di un’astronave aliena, ovviamente, ma di un velivolo rivoluzionario creato per azioni di spionaggio in territori ostili (durante la Seconda Guerra Mondiale, e anche dopo, si temevano gli UFO come aerei o mezzi volanti di un nemico terrestre, i Tedeschi per gli Alleati, gli Alleati per i Tedeschi; nessuno pensava a uomini venuti dallo spazio). E il fatto che i piloti fossero alti e biondi, lo portò a sospettare che si trattasse di un mezzo volante tedesco; c’è addirittura chi pensa che fu questo fatto a portarlo ad allearsi con la Germania: meglio avere come amico chi poteva produrre un simile velivolo, mai visto prima, piuttosto che trovarselo contro come nemico. La cosa non è peregrina come potrebbe sembrare: che i Tedeschi avessero iniziato tra il 1930 e il 1933 a costruire degli ordigni triangolari, detti «ali volanti» o «modelli Horten», è un dato di fatto (grazie a questo modello, gli Stati Uniti realizzarono l’aereo «invisibile» Stealth); nel 1941 passarono a velivoli discoidali, cosa confermata pubblicamente, negli anni Cinquanta, da diversi personaggi che presero parte a questi esperimenti, dal pilota Rudolph Schriever, all’ingegnere milanese Giuseppe Belluzzo, ad Andrea Epp; per finire a progettare aerei senza pilota (antesignani dei droni), fino a che Werner von Braun realizzò i missili V1 e V2. Il giorno prima della caduta, la rivista «Il Balilla» aveva pubblicato le foto di un curioso prototipo nostrano, l’aeroplano tubolare di un certo ingegner Stipa, dalla forma assai differente da quella degli aerei tradizionali. In larga parte gli avvistamenti di «velivoli non identificati» degli anni successivi si riferivano a violazioni aeree spesso dalla Svizzera (aerei di contrabbandieri, aerei spia o velivoli da turismo che, a causa della quota o delle condizioni meteo, non si riusciva a identificare).
Dispaccio dell'Agenzia Stefani con le direttive del Duce riguardo all'avvenimento
I resti del velivolo e quelli dei piloti, questi ultimi conservati in formalina, furono trasferiti in gran segreto in uno dei capannoni di Vergiate dell’allora SIAI-Marchetti, una delle principali ditte aeronautiche italiane, non lontano dall’attuale aeroporto di Malpensa. Il Duce diede poi precise disposizioni per insabbiare la questione (lo testimonia un dispaccio dell’Agenzia Stefani di carattere «riservatissimo»), spostando prefetti e depistando la stampa, facendo apparire il fenomeno come di natura celeste e parlando di un effetto solare, di un meteorite o di un parelio (un fenomeno ottico dovuto a piccoli cristalli di ghiaccio sospesi nell’atmosfera, che di solito prende la forma di aloni o di archi luminose). Istituì poi un particolare ufficio per il controllo e l’analisi di oggetti volanti non identificati: il «Gabinetto RS/33» (la siglia RS sta per «Ricerche Speciali» e 33 è l’anno di nascita del gruppo), a capo del quale mise il Presidente della Reale Accademia d’Italia Guglielmo Marconi, scelto personalmente anche per il prestigio internazionale di cui godeva. Questi avrebbe effettuato studi per replicare la tecnologia del mezzo recuperato. Molti membri del Gabinetto erano scienziati non troppo in vista, e dunque con garanzia di maggiore riservatezza: esperti in campo spaziale, aeronautico, chimico-biologico ed elettrotecnico; la maggior parte di loro propendeva per una spiegazione «terrestre» degli avvistamenti. Ma fra questi figurava anche il progettista Gaetano Arturo Crocco, il primo in Italia a studiare, sin dal 1906, l’autorotazione – mediante eliche – dei velivoli, e che aveva la fissazione per la possibilità di viaggiare nello spazio e colonizzare la Luna in tempi brevi; un altro personaggio di spicco era Giancarlo Vallauri, che studiava un radar per captare eventuali radiomessaggi provenienti da altri pianeti.
Fu proprio in questo ufficio che Marconi sperimentò sul finire degli anni Trenta il «raggio della morte», che non si è mai appurato se fosse un radar o un’arma in grado di paralizzare i sistemi elettrici dei motori. Lo scienziato chiese consiglio al Papa Pio XI, di cui era amico personale (era stato lui a ideare la Radio Vaticana), e questi lo sconsigliò di rivelare una scoperta così micidiale.
I testimoni dell’epoca, purtroppo, non sono più in vita. Qualcuno ammise di sapere «qualcosa» della vicenda, forse qualcosa di molto importante, ma se n’è andato senza dire altro.
A guerra finita, nel 1945, il personale della US Air Force occupò gli stabilimenti della SIAI-Marchetti per la manutenzione degli aerei militari e le casse contenenti i resti dell’UFO vennero inviate dell’Office of Strategic Services, antesignano della CIA negli Stati Uniti, probabilmente via mare, dove tuttora si troverebbero, per ammissione nel 2023 anche di David Charles Grusch, per anni ai vertici della Geospatial-Intelligence Agency, che si occupa proprio di «fenomeni aerei non identificati» (come oggi vengono definiti gli UFO). Pare che sia stato il Papa Pio XII a informare i servizi segreti americani del contenuto delle casse (ci sarebbero testimonianze custodire nell’Archivio del Vaticano). Delle tre persone che avrebbero potuto testimoniare di questo trasporto, due sono morte in incidenti in mare, la terza si è suicidata. Un mistero in un altro mistero.