Il Partito Comunista Italiano e la politica
della «mano tesa»
In che modo i comunisti si «accaparrarono»
i voti di molti Cattolici
«Io sono il Capo del più forte partito dei Cattolici»: sono le parole che Palmiro Togliatti, Segretario del Partito Comunista Italiano, pronuncia il 4 marzo 1947. Non si tratta di una sbruffonata: con i suoi 2.252.446 iscritti, quell’anno il Partito Comunista è all’apice del suo successo. Ha una base elettorale vasta, spalmata su ogni ceto sociale e nei punti-chiave della società, e tra i molti che aderiscono al suo richiamo ci sono anche vari Cattolici.
Ci sarebbe da chiedersi perché votare un Partito dichiaratamente ateo e anticlericale. Le risposte sono varie. Per esempio, l’avanzare del processo di secolarizzazione e il conseguente affievolirsi in molti del legame con la Chiesa e con la fede, mette questi Cattolici nella predisposizione di accogliere le sollecitazioni e gli inviti che il Partito Comunista offre al loro mondo: è facile trovarsi d’accordo su problemi comuni, soprattutto su problemi che possono avere una valenza «morale» (gli ultimi, i diseredati, la giustizia, la pace, il Terzo Mondo, la non violenza, l’ecologismo virtuoso e via dicendo). Una volta iniziata questa collaborazione su valori condivisibili, un poco alla volta ci si sente sempre più coinvolti, sino a trovare nel Partito la propria nuova e definitiva appartenenza. Il fedele che entra in una chiesa è un anonimo disperso in una massa di altri anonimi; chi si iscrive al Partito Comunista esce dall’anonimato, diventa un «compagno», gli viene dato un obiettivo nella vita e un calore umano – anche solo di facciata – a cui è difficile resistere: si tratta di un coinvolgimento psicologico molto forte!
Date queste premesse, bisogna sottolineare che, nel suo percorso storico, il Partito Comunista Italiano ha seguito una linea costante.
In primo luogo, l’attesa del giorno della Rivoluzione e, nel frattempo, una presenza formalmente rispettosa della democrazia; l’appartenenza al mondo occidentale e, al tempo stesso, il legame di fedeltà con Mosca (in Italia, il Partito Comunista sarà, tra i Partiti Comunisti dei Paesi Occidentali, il più fedele al Partito Comunista Sovietico, fino ad affermare che l’unica «via al comunismo» coincide con il benessere dell’Unione Sovietica, anche a scapito del benessere e degli interessi dell’Italia; questo porterà i comunisti italiani ad accettare o addirittura a promuovere talune aberrazioni, come la repressione nel sangue della rivoluzione ungherese del 1956, repressione che causerà oltre 3.000 vittime).
In secondo luogo, la preparazione della vittoria del comunismo mediante la penetrazione, profonda e totalizzante, nelle strutture economiche, culturali e sociali della società italiana.
Infine, la lotta – con ogni mezzo e in maniera costante – contro la Chiesa, i preti, la fede cristiana e, al tempo stesso, il dialogo con la Chiesa e con gli uomini di Chiesa: è il progetto di costruire una società senza Dio e senza religione con la politica della «mano tesa» verso il mondo cattolico, sostenuta dalla forza propagandistica del Partito. Nello stesso tempo, non si rinuncia a perseguire obiettivi in forte contrasto con la vita e la dottrina cristiane (divorzio, aborto, svuotamento delle feste cristiane, graduale annullamento della valenza pubblica della Chiesa, sostegno al dissenso cattolico e via dicendo).
La cosiddetta «doppiezza» di Togliatti e del Partito Comunista Italiano emerge anche dalla politica della «mano tesa» verso il mondo cattolico. In una società in cui oltre l’80% dei votanti è o si dichiara cattolico, non si può pensare di ottenere il potere senza accaparrarsi una parte consistente di quell’elettorato. Questa politica della «mano tesa» è una «costante» e presenta numerosi interventi lungo i 70 anni di storia del Partito Comunista (e continua ancor oggi nei Partiti di Sinistra). Presentiamo solo alcuni di questi interventi e, segnatamente, quelli che sembrano particolarmente significativi.
Nel 1922 la linea del neonato Partito Comunista Italiano è ancora incerta, anche se orientata verso la rivoluzione: in Italia si sta uscendo dal «biennio rosso» ma resta un forte clima di violenza; la nascita del Partito, maturata nella Torino operaia, teatro delle prime esperienze profondamente «socialiste» di Gramsci e Bordiga, resta fortemente segnata da questa propensione alla «rivoluzione» come mezzo «normale» per la conquista del potere. Il Partito Comunista deve però fare i conti con la presenza di una Chiesa che, con l’elezione di Pio XI, si sta riorganizzando e deve fare i conti con i problemi posti dall’ascesa al potere di Mussolini. Questa situazione rende particolarmente rigida la dialettica interna al Partito Comunista e mantiene vive le istanze rivoluzionarie che stanno alla base del marxismo-leninismo.
Su questa linea rigida, che caratterizza il Partito Comunista Italiano delle origini, cade un intervento dei Soviet (che pure hanno una linea dura nei confronti della Chiesa) che costringe i comunisti italiani a rivedere la propria posizione: la Russia, dovendo affrontare forti difficoltà interne principalmente perché il popolo non accetta la collettivizzazione forzata, per spezzare l’accerchiamento diplomatico e uscire dall’isolamento in cui l’ha posta il clima di violenza imposto al popolo, avanza degli approcci in direzione del Vaticano. Questo suscita la critica di molti quadri del Partito Comunista e ne mette in crisi le istanze rivoluzionarie.
Su «Ordine Nuovo», quotidiano del Partito diretto da Antonio Gramsci, Togliatti, il 15 maggio del 1922, in risposta alle obiezioni, affronta l’argomento dettando la sua linea: «Trattative sì, ma solo in attesa della vittoria del comunismo, vittoria che necessariamente deve avvenire gradualmente. L’Unione Sovietica per ora fa bene a trattare». Questa posizione mostra, fin da subito, il legame forte che unisce il Partito Comunista Italiano all’Unione Sovietica e questa sarà sempre la linea di Togliatti. Al contrario, Bordiga non è d’accordo sulla linea e sui metodi che Lenin e il nuovo astro nascente in Russia, Stalin, stanno attuando per realizzare pienamente la rivoluzione. Nel 1926, Bordiga ne scriverà al Plenum Sovietico e Togliatti ne approfitterà per estromettere il compagno e rivale dal potere, divenendo lui stesso Segretario del Partito. Da ora la linea del Partito Comunista Italiano sarà costantemente legata ai Sovietici.
Questa posizione «attendista» ha una sua motivazione più profonda, espressa sullo stesso quotidiano nell’articolo Russia dei Soviet e Vaticano: «Non siamo dei podrecchisti [Guido Podrecca aveva fondato nel 1892 il settimanale illustrato “L’Asino”, che divenne famoso per il suo virulento anticlericalismo e verrà soppresso dal neonato fascismo quando, intuendo il corso degli eventi, il settimanale uscì con un volto “diabolico” di Mussolini che copriva tutta la copertina con il titolo, a caratteri cubitali, “LUI”]: perché sappiamo che il sentimento religioso resisterà per molto tempo ancora anche dopo l’avvento del comunismo e non basta bruciare una Bibbia e distruggere una chiesa per abbattere la religione, ma occorrerà un lavoro lungo e paziente per sradicare dal cervello umano il pregiudizio religioso».
Questa riflessione mostra che il Partito Comunista Italiano delle origini è cosciente del sentimento religioso della maggioranza degli Italiani e della presenza sul territorio del Vaticano.
L’episodio, di per sé circoscritto a una vicenda che trova le sue ragioni in un particolare momento storico, è significativo perché mostra come, sin dai primi momenti della storia del Partito Comunista, la questione cattolica sia stato un problema dibattuto; ma è significativo anche perché questa linea «attendista» resterà una costante nella linea politica del Partito verso il mondo cattolico. È una scelta che accontenta anche i «duri» del Partito perché lascia aperta la porta all’ipotesi della rivoluzione: in questo periodo, l’utopia della vittoria finale del comunismo è una certezza.
Il 1938 è un particolare momento storico nazionale e internazionale in cui il Partito Comunista Italiano si trova in particolare difficoltà: ci sono state la guerra di Spagna e quella di Etiopia, le sanzioni economiche contro l’Italia, l’avvicinamento del nostro Paese a Hitler, le leggi razziali, le avvisaglie della prossima guerra; il fascismo è comunque ancora bene in sella, molti dirigenti comunisti sono in carcere o all’estero o rifugiati presso il Vaticano e le istituzioni cattoliche, cosicché il Partito non può svolgere un’azione efficace. Togliatti, in un lungo articolo pubblicato su «Stato Operaio» nel dicembre del 1938 (Noi e i Cattolici), parla chiaramente di «mano tesa» ai Cattolici, a tangibile conferma della posizione «attendista», in attesa di tempi migliori: «L’Italia fascista, messasi agli ordini di Hitler, introduce nel Paese le teorie razziste e minaccia la libertà religiosa. I Cattolici Italiani reagiscono, e voci autorevoli si levano per condannare le aberrazioni del fascismo. Lo stesso Cardinal Schuster, un Cardinale fascista, condanna l’hitlerizzazione dell’Italia. Il Governo Fascista continua e rafforza la sua politica internazionale provocatoria per allargare i conflitti, per generalizzare la guerra. Ma nelle chiese italiane, nella stampa cattolica italiana si continua la predicazione contro il comunismo, contro i comunisti, cioè contro i difensori più decisi e coraggiosi della pace e della libertà politica e di coscienza. […] I milioni di Cattolici che costituiscono una parte tanto importante del nostro popolo sentono profondamente questi ideali. Perciò noi comunisti diamo la mano ai lavoratori cattolici e chi ha riso del nostro gesto, nel campo antifascista, non ne ha compreso il grande significato nazionale e non ha reso un servizio alla causa dell’unione del popolo italiano».
Il Partito Comunista Italiano, per accreditarsi campione assoluto nella lotta contro il fascismo, dà «la mano» ai Cattolici per lottare insieme per la libertà, la democrazia, la giustizia sociale; ma nello stesso momento attacca il Cardinal Schuster, in maniera assai maldestra e quasi volgare.
Curioso è anche il riferimento che l’articolo fa alle colpe commesse nel passato dal movimento operaio verso i lavoratori cattolici: «Delle colpe sono state commesse nel passato, nel movimento operaio italiano, verso i lavoratori cattolici. Noi comunisti non abbiamo queste colpe. Il gesto della mano tesa ai fratelli lavoratori cattolici non lo abbiamo imitato né preso a prestito [falso: il discorso della “mano tesa” era già stato fatto ai lavoratori e ai giovani cattolici da Maurice Thorez, leader dei comunisti francesi]. Fin dal ’24, ’25, ’26, abbiamo detto agli operai, ai lavoratori cattolici: “Uniamoci per conquistarci migliori condizioni di vita, per conquistarci la libertà e la pace”. […] I comunisti vanno incontro, danno la mano ai lavoratori cattolici, senza sottintesi, con piena lealtà e lavorano a convincere tutti gli antifascisti che l’unione con i lavoratori cattolici, per tutte le rivendicazioni materiali, politiche, culturali, e in difesa della libertà religiosa e delle organizzazioni cattoliche minacciate dal Governo Fascista, è una delle condizioni principali del successo della lotta vittoriosa del popolo contro la guerra e per la liberazione del popolo italiano».
Suona fin troppo facile questo battersi il petto, quasi a chiedere una patente di purità politica e di correttezza sociale nei confronti del mondo cattolico: il comportamento degli uomini del Partito Comunista Italiano nella guerra di Spagna, nelle scelte dopo l’8 settembre del 1943, nella «doppiezza» del Partito nella Resistenza (numerosi gruppi di partigiani cattolici sono stati assaliti e trucidati a tradimento da gruppi di partigiani comunisti: l’eccidio di Porzus, che vide tra le altre vittime Guidalberto Pasolini, fratello di Pier Paolo Pasolini, è forse l’episodio più famoso, non certo l’unico), nel «Triangolo Rosso» con le uccisioni di sacerdoti e di Cattolici esemplari, sono smentite clamorose della sincerità di questa «mano tesa».
Togliatti, nella relazione al X Congresso del Partito Comunista Italiano nel dicembre del 1945, delinea con precisione la linea del Partito circa i rapporti tra il nuovo Stato Democratico (le cui strutture costituzionali devono ancora essere definite) e la Chiesa: «Quale posizione prendiamo noi, nei confronti della Chiesa Cattolica e del problema religioso? Noi rivendichiamo e vogliamo che nella Costituzione Italiana vengano sancite e difese dalla legislazione italiana la libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa. Consideriamo queste libertà come libertà democratiche fondamentali che devono essere restaurate in pieno e difese contro qualunque attentato da qualunque parte si voglia fare ad esse. […]
Noi critichiamo e denunciamo ogni intervento di autorità ecclesiastiche le quali tentano di esasperare ed avvelenare i termini della lotta politica in Italia, come una propaganda tipo “diavolo rosso” e cose di questo genere. Noi non siamo mai stati anticlericali, non siamo e credo non lo saremo, ma noi critichiamo e denunciamo il fatto che la Chiesa possa diventare una agenzia elettorale per una lotta politica che interessa il popolo italiano. Questo vuol dire che noi non vogliamo, nel nostro Partito, una lotta di religione».
Quest’ultima precisazione segnala la presenza di tensioni reali, nella società italiana, tra i progetti dei comunisti che, particolarmente in questo periodo, vedono prossima la conquista del potere con la forza e coloro che, avendo combattuto nella Resistenza per un ideale di autentica democrazia e libertà, percepiscono questo pericolo e lo combattono con tutte le loro forze. Queste tensioni sono ben vive anche all’interno del Partito Comunista.
Togliatti interviene alla Costituente per motivare il voto favorevole del Partito Comunista Italiano all’articolo 7 e al relativo richiamo ai Patti Lateranensi (Trattato e Concordato), ripropone parecchi elementi importanti di questa scelta. Al centro del discorso di Togliatti c’è la volontà di condurre a conclusione un patto costituzionale antifascista e di salvaguardare l’unità delle masse popolari: «Signor Presidente, signore, onorevoli colleghi. Siamo giunti al termine non di una lotta ma di un dibattito, di una discussione elevata, ardente, appassionata, la quale ha profondamente interessato non soltanto questa Assemblea, ma tutto il Paese. Arrivati a questo punto, una dichiarazione non di voto, ma tale che precisi la volontà politica dei differenti partiti, è doverosa. […] Non abbiamo avuto difficoltà, sin dall’inizio, ad approvare la prima parte dell’articolo, quella nella quale si dice che lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. […] Ci sono alcune affermazioni fondamentali alle quali abbiamo il dovere di rimanere coerenti: […] la rivendicazione delle libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa. […] Consideriamo definitiva la soluzione della Questione Romana e non vogliamo in nessun modo riaprirla. […] Riteniamo che il Concordato sia uno strumento bilaterale e che solo bilateralmente potrà essere riveduto».
Togliatti solleva poi una serie di questioni: se e come inserire il Concordato nella Costituzione e parla della responsabilità della Democrazia Cristiana di De Gasperi per la mancata iniziativa circa la revisione degli accordi bilaterali del 1929 incompatibili con i nuovi principi di libertà e di democrazia che la Costituente aveva già fissato.
Tuttavia, nell’esporre il punto di vista comunista, non manca di esprimere le motivazioni di fondo che hanno spinto lui e il Partito a votare a favore. Non si tratta di motivazioni di carattere religioso o di preoccupazioni che nascono da un vero rispetto della Chiesa Cattolica e dei credenti, ma di opportunità politiche per il Partito Comunista: «Poiché l’organizzazione della Chiesa […] continuerà ad avere il proprio centro nel nostro Paese e poiché un conflitto con essa turberebbe la coscienza di molti cittadini, dobbiamo regolare con attenzione la nostra posizione nei confronti della Chiesa Cattolica e del problema religioso. […] La classe operaia non vuole una scissione per motivi religiosi […] ma è interessata a che sia mantenuta e rafforzata la unità morale e politica della Nazione, sulla base di una esigenza di rinnovamento sociale e politico profondo».
Riferendosi poi a un intervento dell’Onorevole Nitti che criticava la posizione del marxismo nei confronti della Chiesa Cattolica, Togliatti prosegue dicendo: «Onorevole Nitti, ella ha detto una cosa che io non accetto: ella ha detto che i regimi socialisti non si conciliano con l’esistenza della religione. Non è vero: e questo è il punto che desidero chiarire meglio, perché illumina nel modo migliore la nostra posizione di oggi.
Vi è una sola esperienza, in proposito, l’esperienza dell’Unione Sovietica. È evidente che nel corso della sua esistenza, l’Unione Sovietica ha dovuto attraversare differenti periodi, anche per questo riguardo. Ma cosa avvenne in quel Paese? Avvenne che la Chiesa Cristiana Ortodossa, l’unica Chiesa ivi esistente, per il suo orientamento politico e per il tipo stesso organizzazione, era strettamente vincolata al vecchio regime zarista, a quel regime di oppressione economica, politica e sociale, a quel regime di tirannide che era uno dei più arretrati, inumani e barbari di quei tempi. Gli esponenti della Chiesa Ortodossa ritennero di dover prendere la difesa del regime zarista e delle forze sociali che esso esprimeva, contro le masse di operai, di contadini, di intellettuali avanzati che volevano rinnovare profondamente, su base socialista, il loro Paese. Ebbene, il nuovo Stato accettò la lotta e vinse. […] Poi vedemmo, già prima dell’ultima guerra, che la situazione era cambiata e nel corso della guerra non soltanto funzionarono regolarmente e liberamente le istituzioni religiose, ma il sentimento religioso agì come stimolo alla eroica lotta delle grandi masse della popolazione per la difesa della patria socialista minacciata nella sua esistenza dalle orde dell’invasione tedesca e fascista.
Oggi esiste in Russia un regime di piena libertà religiosa e il regime socialista si rivela perfettamente conciliabile con questa libertà».
Di nuovo riemerge tutta la «doppiezza» di Togliatti e la sua assoluta fedeltà a Mosca. Quanto queste riflessioni siano smentite dai comportamenti pratici degli uomini del Partito Comunista Italiano risulta evidente proprio dalla posizione che questo Partito ha assunto negli avvenimenti tra il 1943 e il 1948, per esempio nella compilazione di liste di chiese da dare alle fiamme e di sacerdoti e altri personaggi «indesiderabili» da uccidere, non appena le truppe sovietiche avessero varcato i confini del nostro Paese (si aspettava con ansia l’invasione «liberatrice»). Questi e altri documenti, provenienti per lo più dall’archivio di «Civiltà Cattolica», sono stati pubblicati e sono a disposizione dei vari studiosi e di chiunque voglia approfondire la conoscenza di quel periodo.
Il 12 aprile del 1954, Togliatti rivolge dal Comitato Centrale del Partito Comunista Italiano un incalzante appello ai Cattolici per un accordo «per salvare la civiltà umana». Questo tema, ovviamente su basi e prospettive diverse, è stato anche uno dei motivi dominanti del magistero di Pio XII che, nel 1954, è ancora alla guida della Chiesa.
Il leader del Partito Comunista rileva che la situazione dei rapporti tra comunisti e Cattolici «è difficile», ma egli individua, al di là delle difficoltà del dialogo, problemi drammatici attorno ai quali una collaborazione deve essere cercata con grande coraggio: si tratta di uscire dal precario e iniquo equilibrio del terrore che mette in pericolo non solo la pace mondiale, ma la stessa civiltà umana. È il tempo più duro della «guerra fredda» e dell’opposizione tra il sistema comunista sovietico e l’Occidente, anche con la corsa alle armi nucleari.
Togliatti, intervenendo al Comitato Centrale del suo Partito, non ha le remore della propaganda e delle possibili reazioni della Chiesa e dell’opinione pubblica. Parla quindi con molta libertà, permettendo di cogliere in modo preciso la «posizione vera» del Partito verso i Cattolici e la Chiesa: «Esiste oggi un mondo comunista e socialista. Noi sappiamo che esso abbraccia centinaia di milioni di uomini, Paesi interi che sono governati da comunisti e da questi diretti sulla via del socialismo e della pace. Vi sono Paesi come il nostro, come la Francia ed altri, dove il movimento comunista e socialista schiera nelle sue file la grande maggioranza della classe operaia e parti importanti delle masse lavoratrici, del ceto medio, dei contadini. Dall’altra parte, alle volte contrapposto, alle volte intrecciato in modo originale col mondo comunista, vi è il mondo delle masse cattoliche e vi sono le organizzazioni di queste e le loro autorità. È possibile trovare la via non di un contatto occasionale per risolvere questioni politiche contingenti dell’una o dell’altra parte, ma un incontro più profondo, da cui possa uscire un più decisivo contributo alla creazione di questo ampio movimento per la salvezza della nostra civiltà, per impedire che il mondo civile, quale è oggi, venga spinto sulla strada americana della distruzione totale».
Dopo avere delineato la compresenza sullo stesso scenario italiano del mondo comunista e del mondo cattolico, mette sotto la luce della sua analisi la situazione del mondo cattolico, facendo leva su una divisione – così pensa – tra la gerarchia cattolica e le masse cattoliche. Ed è sulla massa cattolica più sensibile a un percorso comune su temi condivisibili che bisogna fare breccia, tanto più che molti Cattolici sono già nelle file comuniste: «Qual è in questo campo la situazione? La situazione è difficile, dobbiamo riconoscerlo. […]
Le difficoltà esistono per il modo stesso come il mondo cattolico è organizzato e diretto. Qual è la situazione di oggi? Alla testa del mondo cattolico vi è un gruppo dirigente del quale, ormai, non può più essere messo in dubbio che è legato alle posizioni e agli sviluppi della politica imperialista americana anche nelle sue manifestazioni che più urtano, perché più terribili prospettive aprono all’umanità. […]
Ma diversa è la situazione nel complesso del mondo cattolico, organizzato e non organizzato. Se vi staccate, anche solo di poco, dal gruppo dirigente più elevato, trovate una situazione diversa, trovate uomini che vedono e sentono le gravi questioni che oggi si pongono agli uomini, ma sono incerti sulla via da seguire e quindi scettici e sfiduciati. […]
Se poi scendete ai quadri medi e alle grandi masse cattoliche sentite che la situazione è molto diversa. Una parte molto grande di esse sta già con noi, ci segue, vota per noi. Ma anche in quella parte che non sta con noi e ci avversa ancora, voi sentite che è viva la stessa esigenza che è nelle masse che noi dirigiamo. […]
Voglio dire che tra le masse su cui si fonda il mondo cattolico organizzato e le masse comuniste e socialiste vi sono oggi molti più punti di contatto che non tra i quadri che le dirigono e soprattutto fra le sommità dei due mondi. Perciò vi è estesa possibilità di comprensione, di avvicinamento, di accordo, e questa è la strada sulla quale noi dobbiamo muoverci, questa è particolarmente la strada sulla quale dobbiamo lavorare noi comunisti italiani, che ci troviamo al centro del mondo cattolico e a cui quindi la storia, le cose stesse, affidano un compito particolare».
Togliatti difende se stesso e il Partito dalle probabili accuse di «doppiezza» che possono essere mosse a questa linea: è però necessario procedere in questa direzione perché la situazione è «nuova» e, per rispondere al «nuovo», non bisogna lasciarsi fermare dalle critiche di una certa parte del mondo cattolico: «Taccia colui che già si dispone a gridare che qui si tratta delle solite lusinghe. No, qui si tratta di salvare dalla distruzione l’umanità e la civiltà. […] La situazione è nuova. Il tema è nuovo. Nuove siano le indicazioni e le soluzioni che vengono presentate».
Il 20 marzo del 1963, dopo l’avvio del Concilio Vaticano II, Togliatti tiene a Bergamo una conferenza che costituisce la testimonianza più completa degli sviluppi del discorso togliattiano sul rapporto tra comunisti e Cattolici.
La pace è individuata come il primo tema del dialogo perché investe ogni uomo di buona volontà e quindi, a maggior ragione, i Cattolici.
Il confronto tra comunisti e Cattolici, rispetto all’appello del 1954 proteso a cercare un varco al di là delle barriere anticomuniste, si articola in modo più ampio e propone un confronto che investe anche la questione del «passaggio a una società che sia organizzata e diretta secondo principi nuovi», che è poi la questione del socialismo che, dice Togliatti, si pone oggi anche alle coscienze cattoliche «più vive» sotto la forma dell’esigenza di affermare «la capacità degli uomini di conoscere a fondo, dirigere e dare una impronta di giustizia e di progresso a tutta la vita economica e sociale».
A questo avanzamento e arricchimento degli obiettivi del dialogo, corrisponde una riflessione teorica che porta alla sua pienezza un aggiornamento del pensiero dei comunisti italiani sul futuro della coscienza religiosa: «Per quanto riguarda il futuro della coscienza religiosa, noi non accettiamo più la concezione, ingenua ed errata, che basterebbero la estensione delle conoscenze e il mutamento delle strutture sociali a determinare modificazioni radicali. Questa concezione, derivata dall’Illuminismo settecentesco e dal Materialismo dell’Ottocento, non ha retto alla prova della storia. Le radici sono più profonde, le trasformazioni si compiono in modo diverso, la realtà è più complessa. Anche da queste constatazioni noi ricaviamo la necessità della reciproca, profonda comprensione e quindi della collaborazione».
In una società, come quella italiana, fortemente tesa alla ricostruzione economica e politica, e particolarmente attenta al «nuovo», la «voce» del Partito Comunista diviene particolarmente suadente finendo per coinvolgere, su battaglie nuove, schiere sempre più numerose di Cattolici: la pace di fronte alla guerra in Vietnam, il ’68, la battaglia per il divorzio e l’aborto, l’unità nazionale e il centrosinistra. Sulla carta stampata, il Partito si dichiara ben disposto verso la religione ma solo in quanto tradizione popolare o rapporto personale con Dio che non riguarda la propria vita (si dichiara di credere in Dio, ma si prosegue nella propria vita come se questo Dio non esistesse: ovvero, non si crede in nulla, perché un Dio che non ti guida o non ti suggerisce una via da seguire è un Dio inesistente o comunque inutile, e ciò che non usi o non ti serve è come se per te non esistesse): ci si scaglia quindi contro l’insegnamento della religione nelle scuole, contro l’«ingerenza» (spesso inventata di sana pianta) della Chiesa nella vita politica, contro il rinnovo del Concordato firmato da Bettino Craxi nel 1984; ancor oggi si possono leggere su alcune pubblicazioni a stampa queste sparate, alcune delle quali talmente inverosimili da risultare esilaranti (una recente: secondo il quotidiano «Repubblica», l’Abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano sarebbe un «vero albergo a 5 stelle a 300 euro a notte»; basta andare a vedere per rendersi contro che quella di Chiaravalle è solo un’antica, splendida Abbazia, con una foresteria e sette sobrie cellette a 30 euro a notte – trattabili – e sconti per le famiglie). Spesso, queste scempiaggini vengono smentite dalla stampa cattolica. Ma quella di Sinistra si è sempre ben guardata dal farlo.
I «frutti» della politica della «mano tesa» si colgono ancor oggi, quando il Patito Comunista Italiano ha cambiato nome in Partito Democratico (ma i nomi dei quadri dirigenziali e della «nomenklatura» sono gli stessi, controllare per credere) e si è dato una veste più «moderata» (di facciata: prova ne è il fatto che negli ultimi anni il Partito Democratico, sconfitto alle elezioni, dopo la caduta del Governo si è messo a capo del Paese senza alcun ricorso a una nuova elezione; in tutte le altre parti del mondo, questo si chiama «colpo di Stato», in Italia, chissà perché, viene considerato cosa normale). Un Cattolico che vota per il centrosinistra viene considerato una persona dabbene, altruista, che si protende verso i poveri, gli esclusi e gli emarginati (cosa che il comunismo non ha mai fatto); un Cattolico che vota per il centrodestra è non di rado visto come una «bestia strana», quando non addirittura come un «retrogrado», un violento, un omofobo, chi più ne ha più ne metta nel festival delle definizioni più idiote, e c’è addirittura chi è stato apostrofato come «talebano cattolico». Nei primi anni Duemila, 4.000 sacerdoti hanno firmato una lettera – pubblicata sul «Corriere della Sera», il maggior quotidiano nazionale – in cui chiedevano ai fedeli di non votare Berlusconi, in quanto non era un buon Cristiano (come se lo fossero stati quelli della parte avversa); gesto, ad avviso di chi scrive, del tutto inopportuno, perché una cosa è parlare a tu per tu delle proprie convinzioni politiche, un’altra è fare, o dar l’impressione di fare, propaganda politica puntando l’attenzione del lettore sulla propria «veste» o «professione», quale simbolo di «autorità». A Bovisio Masciago, in Lombardia (è cronaca di questi giorni: lo scorso febbraio) uno sconosciuto ha lasciato sulle panche della chiesa di San Pancrazio, prima della Messa domenicale, un volantino con la firma e il logo del Partito Democratico in cui si insultava l’amministrazione comunale di centrodestra e si invitavano i fedeli a pregare per la vittoria elettorale del centrosinistra; il Partito Democratico si è subito dissociato dal volantino, affermando di non aver autorizzato nessuno a usare il suo logo o a parlare in quel modo a suo nome, e c’è da crederlo; può essere benissimo il gesto di un «estremista» che lo ha fatto di propria volontà, ciò che fa riflettere è che i temi, la cadenza, la stessa scelta delle parole e costruzione della frase ricalcano moduli ben conosciuti in passato («Oggi, nella Casa del Signore, chiediamo a tutti voi una preghiera speciale e di esprimere un desiderio di ritorno del Nostro e del Vostro partito amato e apprezzato per tutto questo tempo. Non lasciamo che il male prevalga sul bene»). La politica della «mano tesa» continua a tenere banco, insomma...