Irredentismo etico
Riflessioni sulla storia dell’amarissimo

Non sono molti gli Italiani che conoscono con una sufficiente approssimazione la storia dell’irredentismo, le cui origini ufficiali si fanno risalire al 1877, quando Matteo Renato Imbriani, unitamente ad altri patrioti, avrebbe fondato, per l’appunto, l’Associazione «Italia Irredenta» che tanta parte ebbe nelle vicende dello scorcio conclusivo del secolo e nei primi del Novecento, fino alla Grande Guerra, intesa quale ultimo atto del Risorgimento, come da interpretazioni di non pochi storici che vanno per la maggiore. In effetti, gli irredentisti furono relativamente pochi, senza dire che i loro auspici furono silenziati per diversi decenni dall’avvento della Triplice Alleanza con Austria e Germania, e dal conseguente abbandono di rivendicazioni adriatiche, a favore di quelle coloniali che avrebbero condotto alla disfatta di Adua, ma più tardi, al salvifico successo nella guerra italo-turca.

Le pregiudiziali dell’irredentismo diventarono prioritarie soltanto alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, quando si fece udire alto e forte il «grido di dolore» di quanti erano rimasti sotto il giogo austriaco, anche dopo la difficile vittoria del 1866 conclusa con la triste pagina di Lissa e con la celebre «obbedienza» garibaldina di Bezzecca. Alla fine della Grande Guerra, molte speranze con cui l’Italia era scesa in campo, assistita dalle garanzie del Patto di Londra, rimasero nel libro dei sogni, tanto che gran parte della Dalmazia rimase irredenta, mentre Fiume fu ridotta a Stato Libero dopo la fine dell’Impresa dannunziana, salvo ricongiungersi finalmente alla Madrepatria alcuni anni più tardi, dopo la breve esperienza del Governo Zanella.

Archiviata l’infausta conclusione del Secondo Conflitto Mondiale, l’irredentismo ha trovato nuovi motivi di attualità e condivisione, soprattutto dopo le imposizioni del trattato di pace, il trasferimento alla Jugoslavia di gran parte dell’Istria e di tutta la Dalmazia, e la creazione del cosiddetto Territorio Libero di Trieste. Giova aggiungere che quest’ultimo è sopravvissuto fino al 1954 quando gli Alleati, ormai consapevoli degli errori compiuti, decisero per il ripristino della sovranità italiana sulla città di San Giusto, ma nello stesso tempo, per la consegna definitiva alla Jugoslavia della Zona «B» di detto Territorio, con il sacrificio di Capodistria, Pirano e di altre comunità adriatiche da sempre latine, venete, italiane. Nondimeno, l’irredentismo, consapevole della nuova realtà internazionale basata in primo luogo sulla cooperazione, volle compiere una scelta di campo in senso etico, disattendendo sul nascere ogni possibile ipotesi contraria.

In altri termini, mentre si affermava la continuità delle antiche pregiudiziali, si prendevano nettamente le distanze dalle suggestioni laiche, non prive di reminiscenze a sfondo giacobino, che avevano contraddistinto gli auspici ottocenteschi, e si sceglieva una rivendicazione di natura morale, sebbene collocata in proiezione politica. La stagione di nobili padri fondatori come Giovanni Bovio e Felice Cavallotti cedeva il passo a concezioni attualizzate proprio nel senso di una pur difficile collaborazione che sarebbe diventata più facilmente perseguibile dopo la fine del titoismo e l’avvento delle nuove Repubbliche ex Jugoslave, con particolare riguardo a Slovenia e Croazia, se non altro perché entrate nell’Unione Europea.

Sono trascorsi molti secoli da quando Nicolò Machiavelli aveva affermato che una vera azione politica non può essere indotta «ab ethica tamquam a subalternante» come si sarebbe voluto nel Medio Evo cattolico. Oggi, le nuove regole rinascimentali devono essere interpretate alla luce delle riflessioni successive, scaturite dall’Illuminismo, dalla Rivoluzione, e per quanto riguarda l’Italia, soprattutto dal Risorgimento e dalle successive esperienze unitarie all’insegna della libertà, e quindi, di un positivo confronto democratico. Da questo punto di vista, l’irredentismo etico è sempre attuale, perché esprime i valori della civiltà occidentale nei confronti di quelli che avevano fatto del comunismo e del panslavismo una sorta di nuovo verbo candidato a governare il mondo, ma destinato, come fu detto in tutta sintesi, alla «lunga marcia verso il nulla».

Questa moderna sintesi di carattere etico-politico è presupposto di quella che vede il pensiero tradursi nell’azione, secondo l’assunto del migliore Mazzini. In concreto, vuol dire che l’auspicio giuliano, istriano e dalmata del nuovo millennio, pur sensibile ai valori della nazionalità e delle tradizioni, riguarda in primo luogo la redenzione della coscienza e della dignità umana negli Stati – senza alcuna esclusione – divisi da confini peraltro largamente affievoliti, se non altro sul piano giuridico, ma nello stesso tempo, su quello veramente cristiano.

Conviene aggiungere che, visto l’incessante fluire della storia, è consigliabile evitare di adagiarsi nell’accettazione passiva di un presente che resta comunque ottimizzabile, mentre è necessario l’impegno a migliorare i risultati conseguiti e prevenire il rischio di regressi sempre possibili in una congiuntura internazionale come quella in corso, caratterizzata dall’esacerbazione di talune difficoltà che bisogna esorcizzare senza riserve. Diversamente, sarebbe in agguato un rischio piuttosto grave, come quello cui andarono incontro gli antichi nobili dell’Europa Orientale che, nel tentativo di indossare una pelliccia di ermellino, rimasero senza camicia.

(luglio 2024)

Tag: Carlo Cesare Montani, Matteo Renato Imbriani, Riccardo Zanella, Giovanni Bovio, Felice Cavallotti, Nicolò Machiavelli, Giuseppe Mazzini, Austria, Germania, Adua, Lissa, Bezzecca, Jugoslavia, Istria, Dalmazia, Italia, Fiume, Capodistria, Pirano, Slovenia, Croazia, Unione Europea, Europa Orientale, Associazione Italia Irredenta, Grande Guerra, Risorgimento, Triplice Alleanza, guerra italo-turca, Patto di Londra, Territorio Libero di Trieste.