Le glorie dimenticate della lingua italiana
La diffusione internazionale della nostra lingua in età moderna

Gli Italiani tendono pericolosamente al complesso d’inferiorità rispetto ad altri Paesi che nel passato sono stati grandi Imperi: per capirlo, basti pensare alla tendenza invalsa oggi di servirsi dell’Inglese anche per concetti e realtà per cui la nostra lingua dispone del corrispondente; oppure si riveda un film come Fumo di Londra (1966), con Alberto Sordi. Tuttavia, parecchi ignorano che l’Italiano è stato per secoli una lingua di uso internazionale nel Mediterraneo, secondo solo al Latino tra i dotti.

L’Italiano, come affermato dal De vulgari eloquentia di Dante, è una delle prime lingue emerse dal Latino come nuova lingua letteraria durante il Basso Medioevo, assieme al Francese e al Provenzale. Vediamo quel che afferma il grande poeta in merito, con una lucidità ancor oggi attuale: egli presuppone che da una lingua unica siano derivati tre gruppi linguistici (delinea, grosso modo, i Germani, i Greci e i Latini), da uno dei quali è nato, assieme allo Spagnolo e al Francese, l’Italiano (confronta I, 8, 5-7):

«Infine tutto quanto resta in Europa al di fuori di questi due dominii, fu occupato da un terzo idioma, che tuttavia ora appare triforme, dato che alcuni per affermare dicono oc, altri oïl, altri ancora sì, come gli Ispani, i Francesi e gli Italiani. E l’indizio che i volgari di queste tre genti discendono da un solo e medesimo idioma è appariscente, dato che si nota che essi denominano molte nozioni con gli stessi vocaboli, come “Dio”, “cielo”, “amore”, “mare”, “terra”, “è”, “vive”, “muore”, “ama”, e quasi tutti gli altri.

Di questi, coloro che dicono oc occupano la parte occidentale dell’Europa Meridionale, a partire dai confini dei Genovesi. Coloro che dicono sì stanno nella parte orientale, sempre a partire dai confini suddetti, e precisamente fino a quel promontorio dell’Italia da cui inizia l’insenatura del Mare Adriatico, e alla Sicilia. Quanto poi ai parlanti oïl, sono in qualche modo a Settentrione rispetto a questi: infatti a Oriente hanno i Germani e a Occidente e Settentrione sono circondati dal Mare d’Inghilterra e hanno come estremo limite i monti dell’Aragona; infine a Mezzogiorno sono chiusi dai Provenzali e dal declivio delle Alpi Pennine»»[1].

Questo il punto di partenza di Dante, che scrive per rendere conto della precoce fioritura dell’Italiano come lingua letteraria nel Duecento: infatti, per quanto il nostro Paese non fosse unito (e sarebbe rimasto diviso ancora per un bel po’), tuttavia l’Italiano fu una delle prime lingue a trovare una stabilità, anche morfologica e grammaticale, e una sua sistematicità letteraria con i poeti della Corte di Federico II di Svevia, con i Toscani come Guittone d’Arezzo, con gli Stilnovisti e con Dante stesso. Anzi il poeta fiorentino, mediante il suo trattato menzionato sopra, «scommette» arditamente sulla nostra lingua e preconizza che essa diventerà un idioma letterario dello stesso livello dell’illustre Latino. Proprio per questa stabilità precoce, l’Italiano sarebbe poi diventata la lingua «neutra» (come sostiene F. Bruni), ideale per i marinai e i mercanti di tutto il Mediterraneo.

Infatti, di solito si ritiene che la nostra lingua vivesse, almeno fino a Manzoni e all’Unità d’Italia, solo a livello letterario, mentre invece nell’uso quotidiano prevalevano i dialetti. Non è vero: l’Italiano è stato anche una lingua internazionale, dei commerci, degli scambi»[2]. Prima di tutto, bisogna ricordare che Venezia, la Serenissima, possedeva un vero e proprio Impero, che abbracciava numerose isole dell’Adriatico, del Mare Egeo fino a Creta e una parte della costa croata, cioè la Dalmazia. In questi territori si parlava il veneziano «de là da mar», cioè una variante veneta dell’Italiano, che serviva da lingua franca. In alcune zone della Dalmazia, gli uomini parlavano correntemente l’Italiano per motivi commerciali o di lavoro, mentre a casa prevaleva lo Slavo, preferito e maggiormente praticato dalle donne.

In secondo luogo, l’Italiano era, a partire dal 1400-1500 ed è rimasto per alcuni secoli fino all’Ottocento, la lingua diplomatica del Mediterraneo, complice due fatti: primo, che l’Italia si trova al centro appunto del Mar Mediterraneo, per cui quasi tutti dovevano passare da qui durante i loro spostamenti marittimi; in secondo luogo, i marinai italiani, di Genova, Venezia e non solo, erano tra i più attivi del Mediterraneo e, di conseguenza, la nostra era una naturale lingua di scambi commerciali, politici e non solo. Alcuni esempi. I mercanti inglesi pervenuti nel Mediterraneo dopo la battaglia di Lepanto (1571), facevano affari regolarmente in Italiano; e quando l’ambasciata inglese di Istanbul decise di aprire una chiesa protestante «in loco» per i mercanti britannici nel 1599, si stabilì che i sermoni dovessero essere tenuti in Italiano, perché era l’unica lingua che capivano tutti i fedeli! Secondo alcune fonti, nelle città mercantili di Siria ed Egitto parlavano quasi tutti Italiano e la nostra lingua era quella di riferimento per i commerci a Odessa, sul Mar Nero (zona controllata abitualmente dai Genovesi) ancora nell’Ottocento. Persino Vasco de Gama trovò a Malindi (oggi Kenya) un pilota che parlava Italiano.

Quindi, nel Levante tutti questi fattori e la presenza di colonie e fondachi di Genova e Venezia facevano dell’Italiano la lingua estera più usata: esso era addirittura la più comune nello stesso Impero Ottomano, notoriamente multilingue. A parte il fatto che la comunità di rito latino usava, per forza di cose, l’Italiano, quest’ultimo era anche la lingua dei mercanti ebrei dell’Impero e, ovviamente, dei suoi marinai, dato che, anche in questo caso, la nostra lingua serviva da lingua franca ed essi erano stati in contatto con altri colleghi provenienti dall’intero Mediterraneo e parlanti Italiano. Non a caso, vari funzionari ottomani, ma anche i messaggeri del Sultano, si servivano dell’Italiano quando non impiegavano il Turco e, anzi, l’Italiano si udiva addirittura entro il palazzo e nel serraglio del Sultano. Infine, l’Italiano era la lingua impiegata dai segretari di corte ottomani, per lo più Greci, per indirizzare delle missive non solo in Occidente, ma anche in Russia. Così era in Italiano la base del trattato russo-turco del 1774 di Kügük Kaynarca. Il trattato, concluso il 21 luglio 1774, sanciva la vittoria russa contro gli Ottomani dopo la Guerra Russo-Turca del 1768-1774 e la cessione di vari territori intorno al Mar Nero, tra cui la Crimea, ai Russi, nonché la protezione da parte di questi ultimi degli abitanti ortodossi ottomani»[3].

Per rimanere nel Mediterraneo Orientale, persino durante i moti di indipendenza greci del 1821-1830, i patrioti locali parlavano per lo più Italiano. Addirittura, le Isole Ionie (Zante, Corfù, Itaca, Cefalonia, Santa Maura, Passo, Cerigo), prima veneziane, dopo la fine del dominio napoleonico furono affidate al protettorato britannico dal 1814 al 1864 (quando tornarono alla Grecia) ma, in questo periodo, i loro abitanti continuarono a parlare Italiano, anche nei tribunali; così il Greco si affermò molto lentamente e si associò al faticoso passaggio a una giurisprudenza diversa. La stessa cosa successe a Malta, che faceva parte del Regno delle Due Sicilie ma che, col permesso del Re, si affidò al protettorato britannico nel 1800 per respingere Napoleone; ebbene, qui l’Italiano era parlato da secoli dalle «élites» e in tribunale. Dall’Ottocento in poi, si è assistito a una spaccatura tra la parte italofila e quella anglofila della popolazione, rispettivamente di tendenza politica conservatrice e progressista e su questa dialettica si è impostata tutta la vicenda maltese (il Maltese oggi parlato nell’isola è un derivato dall’Arabo con forti influssi romanzi, in particolare siculi; è l’unica lingua semitica a essere scritta nell’alfabeto latino»[4]).

Ma l’Italiano non era impiegato solo nel Levante: era anche la lingua diplomatica e di transazione nel Nordafrica, tra la Libia e l’Algeria, in una versione ricca di parole spagnole e siciliane, tanto che i consolati francese, olandese e inglese di Tunisi e Tripoli lo impiegavano regolarmente nella corrispondenza, almeno fino a tutto il 1600: così, due terzi dei documenti del consolato francese di Tunisi dell’epoca sono redatti in Italiano. Era infine la lingua dei viaggiatori e non era infrequente per gli Italiani in viaggio per il mondo di imbattersi in qualcuno che li comprendeva e poteva parlare (più o meno) con loro.

Infine, e ben prima del Francese, l’Italiano è stato la lingua diplomatica. Ho citato sopra il trattato di Kügük Kaynarca, per redigere il quale i rappresentanti turchi e russi non pensarono a nulla di meglio che impiegare l’Italiano. Nell’Inghilterra dei Tudor e degli Stuart e a Corte l’Italiano era usato e studiato frequentemente dato che (altri tempi) l’Inglese all’epoca non lo conosceva quasi nessuno al di fuori delle Isole Britanniche; d’altronde, come noto, la Regina Elisabetta I si interessava parecchio alla cultura italiana. Esso però era parlato anche alla Corte di Rodolfo II d’Asburgo, quindi a Praga; se ne servivano i Polacchi, per esempio a Cracovia»[5] ed era lingua commerciale ad Anversa. Se il Principe di Transilvania intendeva scrivere al Patriarca Ortodosso lo faceva in Italiano, così come il Sultano nella sua corrispondenza diplomatica al Re di Polonia; a Istanbul, ancora, ambasciatori francesi, inglesi, olandesi e asburgici comunicavano tra loro in Italiano, ma anche con i funzionari della Sublime Porta. Per esempio, abbiamo un album dell’ambasciata olandese pieno di dediche scritte in Italiano da Turchi ed Europei. Infine, basterà ricordare che alla Corte di Vienna, alla Hofburg di Maria Teresa, Metastasio era poeta di Corte, poeta «cesareo», ma non si prese mai la briga di imparare il Tedesco: continuò a servirsi per decenni esclusivamente dell’Italiano, dal 1730, data in cui arrivò a Vienna, al 1782, quando morì»[6].

È possibile (ma è un’inferenza mia) che l’Italiano abbia beneficiato, in questo caso, anche della sua prossimità al Latino, di cui potrebbe essere apparso come una variante semplificata senza casi; se il Latino era diffusissimo come lingua culturale, l’Italiano poteva diventarlo analogamente e diffondersi per di più negli ambiti del commercio e del diritto. Un altro fattore che ha incoraggiato molto l’apprendimento dell’Italiano è il fatto cruciale che, prima dell’avvento del nazionalismo nell’Ottocento, in Europa vigeva un ampio grado di multilinguismo, per cui si era ben lontani dall’imporre l’uniformità linguistica entro un solo Paese; gli Imperi stessi erano normalmente sovranazionali e gli scambi avvenivano in numerosi idiomi»[7]. Infine, sicuramente il prestigio della cultura e arte italiane ha fatto la differenza. Insomma, l’Italiano era una lingua internazionale, diplomatica e del commercio ben prima del Francese e dell’Inglese: e F. Bruni sottolinea che ciò è avvenuto senza che noi Italiani possedessimo un Impero che si imponesse ad altri popoli come nel caso di Spagna, Francia, Inghilterra, Russia. Anzi, paradossalmente, i (rari) momenti di imperialismo paiono avere nuociuto alla diffusione dell’Italiano: si pensi all’antipatia che i Greci hanno cominciato a provare per la nostra lingua durante l’invasione fascista, dopo secoli in cui l’avevano usata correntemente e avevano mandato i loro figli a studiare a Padova.

Ecco perché la nostra lingua può diffondersi al di là di certi preconcetti politici senza essere «pesante», senza essere associata al ricordo di un’invasione o di un predominio politico (al contrario!), bensì si connota per una sua caratteristica «leggerezza»[8]: si è sempre diffusa, infatti, non con le armi, ma con le arti, il che la rende persino più attraente per gli stranieri.


Note

1 Si veda il testo a https://www.danteonline.it/english/opere.asp?idope=3&idlang=UK

2 In proposito, confronta Eric R. Dursteler, Speaking in tongues: language and communication in the early modern Mediterranean, «Past & Present» 217 (2012), pagine 47-77; Francesco Bruni, Italiano all’estero e Italiano sommerso: una lingua senza Impero, «Nuova rivista di letteratura italiana» 3 (2000), pagine 219-236.

3 Confronta Viktorija Jakjimovska, A shift in the Russo-Ottoman balance of power in the Black Sea region: The Treaty of Kuçuk Kainardji of 1774, «Oxford Public International Law» https://opil.ouplaw.com/page/616 Purtroppo, non sono riuscita a ritrovare il testo originale italiano; la versione inglese è pubblicata dall’Università di Singapore, sul sito «Empire in Asia. A New Global History», https://web.archive.org/web/20200830212851/http://www.fas.nus.edu.sg/hist/eia/documents_archive/kucuk-kaynarca.php

4 Confronta Maltese language, «Encyclopedia britannica» https://www.britannica.com/topic/Greek-language

5 Sul fatto che a Cracovia si parlasse correntemente Italiano anche in età recenti, vedi Enrico Nassi, Karol Wojtyla. Una biografia, Milano, Shakespeare & Company, 1995, pagina 32. Infatti Giovanni Paolo II cominciò a imparare l’italiano già a Cracovia.

6 Confronta Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana 2. Dal Cinquecento al Settecento, Milano, Elemond, 1991, pagine 377-379.

7 Su questo aspetto si vedano Eric R. Dursteler, Speaking in tongues: language and communication in the early modern Mediterranean, «Past & Present» 217 (2012), pagine 47-77 e Peter Burke, Languages and Communities in Early Modern Europe, Cambridge University Press, 2004.

8 Per questo concetto si veda soprattutto Francesco Bruni, Italiano all’estero e Italiano sommerso: una lingua senza Impero, «Nuova rivista di letteratura italiana» 3 (2000), pp. 219-236.

(novembre 2024)

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