Erminio Cidonio (1905-1972): un mecenate del
marmo
120 anni dalla nascita e 60 dalla
creazione dell’officina
Nella storia dell’industria italiana esistono personaggi di particolare spessore morale e culturale che integrano la primigenia vocazione operativa con estensioni etiche che appartengono al momento dello spirito, e con un forte salto qualitativo che trascende il momento economico, peraltro imprescindibile nella logica contemporanea dell’equilibrio fra costi e ricavi aziendali. Nel campo del marmo e della pietra, un ruolo importante appartiene a Erminio Cidonio, appartenente alla nota famiglia degli omonimi costruttori italiani, distintasi soprattutto durante la prima metà del Novecento per i grandi lavori compiuti specialmente all’estero[1].
Questo imprenditore illuminato ebbe la ventura di entrare nel comparto lapideo per vicende di Gruppo nel 1957, avendo compiuto da poco il cinquantennio di vita professionale; e di comprenderne immediatamente le grandi potenzialità di sviluppo anche dal punto di vista dei valori non soltanto economici. A più forte ragione, ciò accadde per essere stato preposto alla guida della Società Henraux di Seravezza (Lucca), azienda a ciclo completo di antica tradizione settoriale, essendo stata fondata dall’omonimo ufficiale napoleonico Jean Baptiste Herraux nell’ormai lontano 1821, e assurta a condizioni di consolidata «leadership» nel mondo dei grandi lavori settoriali.
Erminio Cidonio, in un ambiente come quello della terra di Versilia e del bacino estrattivo del Monte Altissimo, dove non mancavano importanti reminiscenze michelangiolesche, fece presto ad apprezzare il marmo, a cominciare dai bianchi locali, con la stessa passione e con gli stessi sogni che erano stati del predetto fondatore e di non pochi successori. Nello stesso tempo, seppe avviarla a diventare un punto di alto riferimento internazionale, sia per i grandi lavori compiuti, sia per i rapporti di collaborazione artistica che avrebbe instaurato con illustri utilizzatori della materia prima nell’ambito dell’architettura, e nello stesso tempo della grande scultura, sulle orme dei massimi protagonisti classici.
Nello stesso tempo fu molto attivo nell’ambito dell’associazionismo settoriale, e particolarmente in quello dell’UGIMA (Unione Generale degli Industriali del Marmo Apuano), un soggetto che era sorto nell’immediato dopoguerra con lo scopo prioritario di rilanciare le produzioni e gli impieghi che avevano sofferto in modo tragico a causa del conflitto, e di confermarne la tipica vocazione di «materiali della pace». Della predetta organizzazione fu alacre Vice Presidente operativo nella prima metà degli anni Sessanta, tanto più che il Presidente, Senatore Armando Angelini, era impegnato a pieno tempo nelle attività di parlamentare e di Ministro della Repubblica. Giova aggiungere che Cidonio avrebbe contribuito in maniera molto rilevante al rilancio lapideo non soltanto in Italia, con un apporto fondamentale alla genesi della Federazione Europea del settore[2], con la partecipazione a diverse manifestazioni promozionali in Italia e all’estero, con l’avviamento di studi attestanti l’idoneità lapidea per impieghi a tutto campo, e con la pubblicazione di due opere documentali di grandi applicazioni del marmo, che fecero scuola.
Un contributo culturale di alta rilevanza qualitativa fu quello offerto da Cidonio all’editoria di qualità artistica, ancor prima che propagandistica, come i quattro numeri di «Marmo: Rivista d’Arte Internazionale» usciti nel quadriennio 1962-1965 con la direzione di Bruno Alfieri e poi dello stesso Cidonio e con un’ampia serie di saggi oltremodo qualificati, oltre che indiscutibilmente sopra le parti, come quelli di Gillo Dorfles e Giulia Veronesi nel primo numero; di Le Corbusier, Giovanni Michelucci e Hugo Blaettler (tra cui un pezzo dedicato al pavimento di Giacomo Manzù per la Basilica di San Pietro) nel secondo; le nuove produzioni seriali di oggettistica e la cospicua presenza dell’UGIMA alla Fiera Campionaria di Milano, nel terzo; il coinvolgente esempio degli impieghi di Alvar Aalto nel quarto. La rivista ebbe anche un quinto numero, pubblicato diversi anni dopo l’uscita di Cidonio dall’ambiente Henraux, e fu dedicata alla sola scultura.
Nel 1963, Erminio provvide alla fondazione del «Centro di Scultura Contemporanea» a Querceta (Seravezza) che resta fra le sue realizzazioni più ragguardevoli anche per il coinvolgimento di alcuni giovani, oltre che di parecchi grandi esponenti della cultura e dell’impiego lapideo: per fare qualche nome, maestri di primo livello come Jean Arp, Joan Mirò, Henry Moore, Isamu Noguchi, Georges Van Tongerloo. Nelle intenzioni di Cidonio, scopo primo dell’iniziativa era di «inserire il marmo anche nell’arredo delle abitazioni» e, nello stesso tempo, di avviare la creazione di un «villaggio della creatività».
Dopo l’uscita da Henraux, avvenuta nel 1965, diede immediatamente vita all’ormai mitica «Officina», dapprima nelle brevi sedi provvisorie dell’Argentiera e di Pietrasanta, e poi in quella definitiva di Pian del Robio, che insisteva su un terreno di ben 40.000 metri quadrati, e che intendeva proporsi come una vera e propria fucina di iniziative d’arte, affidate alle collaborazioni prioritarie di Marco Dezzi Bardeschi, Chiara Briganti e Pier Carlo Santini, e non senza notevoli prove di produzioni seriali, in specie a opera di Angelo Mangiarotti e di Tobia Scarpa, cui si aggiunsero le partecipazioni alla Fiera di Carrara degli anni 1965-1968, e quelle di Lorenzo Guerrini e dello stesso Isamu Noguchi alla Biennale di Venezia. Va da sé che «Officina», bruscamente interrotta dalla morte di Cidonio avvenuta improvvisamente nel 1972, fu opera di «scarsa rimuneratività» ma proprio per questo capace di attirare attenzioni non effimere sulle sue vocazioni di carattere estetico nell’ambito principale dell’arredo, del «design» e dell’oggettistica, e non prive di correlazioni etiche, soprattutto nel commendevole impegno per la valorizzazione del lavoro umano.
Un giudizio conclusivo sulla vita e sull’opera di questo mecenate dal «multiforme ingegno» non è difficile da trarsi, nel corretto riconoscimento di un’autentica ecceità. Per utilizzare un antico aforisma, qualora Erminio Cidonio non fosse esistito, si sarebbe dovuto inventarlo per farne il simbolo di un giusto omaggio al marmo, ai suoi valori perenni, alla sua tradizionale idoneità a parlare a menti e cuori degli uomini di buona volontà.
1 Il Gruppo ebbe un ruolo di forte rilievo nella realizzazione di grandi opere in Italia nella prima metà del secolo, anche a carattere infrastrutturale, come le bonifiche dell’Agro Pontino, dei Laghi di Lesina, del Vallo di Diano e della Piana Reatina, o come gli Acquedotti di Cagliari e Ravenna (confronta Impresa Cidonio, I principali lavori nel ventennio di attività 1918-1937, Edizioni Tumminelli, Roma 1937). Nel dopoguerra, la sfera operativa divenne mondiale, con le attività all’estero largamente prevalenti.
2 Confronta UGIMA 1965: Relazione all’Assemblea Generale Ordinaria sull’attività svolta, a cura di Carlo Montani, Carrara, 23 aprile 1965, Edizioni LGT, 104 pagine (per la costituzione – avvenuta nel 1964 – della Federazione dell’industria marmifera europea, si veda in particolare il capitolo alle pagine 30-33).