Il Concilio Vaticano II nel contesto sociale
del suo tempo
Un profondo rinnovamento della Chiesa
Cattolica in un momento di crisi dei valori e delle
istituzioni tradizionali
Il Novecento è stato definito il «secolo breve», mentre in realtà è stato una fucina di innovazioni e di cambiamenti, nel bene e nel male, con una vita dai ritmi sempre più frenetici e mutamenti sociali che si impongono alle masse nel breve volgere di un decennio o meno, mentre in passato richiedevano secoli o generazioni. Basti pensare che all’inizio del secolo la radio era appannaggio di pochissimi, mentre alla fine si era entrati nell’era del digitale.
Persino un’«istituzione» come la Chiesa, che per natura sua dovrebbe ragionare in termini di eternità e quindi essere sottratta alle incessanti mutazioni dei tempi, pur restando fedele al suo patrimonio tradizionale essenziale, nel breve volgere di pochi anni ha conosciuto profonde trasformazioni. Uno dei momenti determinanti di questo dinamismo è la celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, che per alcuni anni (1962-1965) porta Roma al centro dell’attenzione mondiale: vi si danno convegno circa 2.500 Vescovi provenienti da ogni continente. Questa grande assemblea, che si propone di comunicare i contenuti dell’immutato deposito della Fede con un linguaggio adatto ai tempi, è stata convocata da un umile figlio di contadini, Giovanni XXIII, detto il «Papa buono». Angelo Giuseppe Roncalli, questo il nome di battesimo, è nato a Sotto il Monte (provincia di Bergamo) da un piccolo proprietario rurale e, prima di diventare Papa, è stato nunzio in Oriente e in Francia e Cardinale Patriarca di Venezia; la sua semplice e profonda opera pastorale, ispirata ad una viva ansia di rinnovamento del mondo cattolico, si risolve anzitutto in un grande messaggio di pace a tutti gli uomini di buona volontà, senza alcuna discriminazione politica, sociale o religiosa. Estrazione sociale un po’ diversa ha il Pontefice che gli succede nel 1963: Paolo VI, al secolo Giovanni Battista Montini, Bresciano di Concesio, è figlio di un giornalista. Identico in entrambi è l’amore verso Dio, la Chiesa, gli uomini del loro tempo, di cui affrontano con coraggio e tempestività i problemi, rinnovando l’annuncio della speranza cristiana.
La Basilica di San Pietro durante il Concilio Vaticano II (Italia), fotografia di Lothar Wolleh
Tra le «istituzioni» tradizionali messe maggiormente in crisi, in Italia come in molte altre parti del mondo, è la famiglia. Non soltanto come diretta conseguenza dell’istituzione del divorzio (che a sua volta ne è una conseguenza), ma soprattutto come manifestazione dell’evoluzione che vi è stata nella comprensione di sé da parte di due protagonisti di ogni famiglia: la donna e i giovani.
Questi ultimi hanno avuto la loro grande stagione nel 1968, quando in tutto il mondo occidentale sono scesi nelle piazze e per le strade. Si tratta della cosiddetta «contestazione studentesca», spesso frettolosamente e semplicisticamente letta come una serie di agitazioni contro ogni forma di potere costituito, contro la «società dei consumi» e contro ogni altro aspetto della società capitalistica; in realtà i giovani vogliono soprattutto dichiarare la propria delusione per aver ricevuto dalla famiglia e dalla società tutto o quasi, fuorché l’essenziale: il riconoscimento della propria personalità e dignità, e quindi, in ultima analisi, il soddisfacimento del proprio bisogno di amore. Incontrando un gruppo di complessi musicali «beat», Paolo VI il 16 aprile 1971 dice loro: «Noi, invero, non siamo in grado di apprezzare le vostre forme artistiche in cui si esprime sensibilmente la vostra personalità. Ma siamo attenti a certi valori segreti che voi andate cercando: la spontaneità, la sincerità, la liberazione da certi vincoli formali e convenzionali, la necessità di essere se stessi e di vivere e di interpretare le istanze del proprio tempo...».
La «questione femminile» assume l’aspetto di una vera e propria «rivoluzione», con uno sforzo massiccio e generalizzato di coscientizzazione e di impegno da parte delle donne alla ricerca di un loro vero ruolo nella società, uno sforzo che non ha paragoni con quanto successo in passato. Non mancano purtroppo dei lati oscuri in questa rivendicazione, come ad esempio quello di affermare la propria assoluta «libertà», anche a scapito di chi non è in grado di dichiarare e difendere a sua volta i propri diritti come essere umano (come avviene nel caso dell’aborto). Il Messaggio del Concilio Vaticano II alle donne afferma che «la Chiesa è fiera, voi ben lo sapete, d’aver esaltato e liberato la donna, d’aver fatto risplendere nel corso dei secoli, nella diversità dei caratteri, la sua eguaglianza fondamentale con gli uomini. Ma viene l’ora, anzi l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si compie nella pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, uno sviluppo, un potere mai raggiunti fino ad ora... A voi è affidata la vita, spetta a voi salvare la pace nel mondo...».
È nel corso degli anni Sessanta e Settanta che si capisce in modo inequivocabile che vivere in un regime democratico significa affrontare e risolvere i problemi e sostenere i diritti delle minoranze e dei gruppi, senza aggravare i problemi o ledere i diritti delle maggioranze e dell’intera comunità, e viceversa. Perché non è vero che la maggioranza ha sempre ragione né che la verità la fanno i grandi numeri o chi ha la voce più grossa. Questa osservazione è particolarmente significativa oggi, perché attraverso la massiccia presenza dei mezzi di comunicazione di massa la persuasione occulta è divenuta più frequente ed insidiosa che non la «propaganda» manifesta. La liberazione dell’uomo «dal di dentro» è divenuta un’esigenza primaria, se si vuol salvare la civiltà.