Anatomia del genocidio: Vergarolla
Strage del 18 agosto 1946 in agro di Pola.
Le informazioni ufficiali delle fonti alleate e italiane
Il mondo dell’Esodo giuliano, istriano e dalmata è caratterizzato da pervicaci incomprensioni del momento politico e dalla scarsa attenzione nei confronti di ogni possibile e pur tardivo intervento, fra cui quelli a «costo zero», spesso richiesti nell’intento di promuovere, se non altro, un’informazione esauriente. In questo senso, un caso di scuola riguarda la strage di Vergarolla (Pola), perpetrata da parte slava sull’omonima spiaggia istriana nella torbida estate del 1946 e passata alla storia quale autentico delitto contro l’umanità, peraltro poco noto perché le vittime di parte perdente hanno sempre avuto il destino di essere considerate figlie di un dio minore.
L’ostracismo a quella strage, voluta dalla Jugoslavia nell’ambito della pulizia etnica a danno degli Italiani e cinicamente programmata dai suoi vertici, è proseguito per tutto il sessantennio successivo alla Seconda Guerra Mondiale, e nel nuovo millennio ha dovuto confrontarsi con la scomparsa di troppi testimoni, per la legge inesorabile del tempo. Del resto, la conferma ufficiale della sua matrice fu attesa proprio per 60 anni, vale a dire fino all’abbattimento del segreto di Stato sugli archivi storici del Foreign Office.
In effetti, l’interrogazione a risposta scritta che fu presentata al Governo Italiano nel 2013 circa la strage in parola (18 agosto 1946) da parte dell’Onorevole Laura Garavini costituì una novità importante, al pari della risposta pervenuta dal Ministero degli Affari Esteri. Considerazioni analoghe valgono circa la decisiva commemorazione istituzionale tenutasi a Montecitorio il 13 giugno 2014, per iniziativa dell’Onorevole Marina Sereni nella sua qualità di Vice Presidente della Camera, oggetto di parecchi commenti da parte della stampa e degli altri mezzi d’informazione. Giova aggiungere che tali iniziative, assunte dalle forze della Sinistra, attirarono diffuse attenzioni proprio perché provenienti da soggetti politici che in passato si erano già distinti per opposizioni pregiudiziali, e non per collaborazione costruttiva.
Alcune Organizzazioni degli Esuli vi colsero un nuovo atteggiamento che sembrava preludere a un confronto improntato a criteri di maggiore equilibrio, tanto più necessario dopo quasi un settantennio di attese. Del resto, quella di Vergarolla, per numero di vittime, era stata la maggiore tragedia avvenuta durante il «secolo breve» in periodo di pace, e se non altro per questo, doveva attirare attenzioni adeguate, sia nell’ottica commemorativa, sia in quella di una critica storica conforme ai tradizionali canoni dell’oggettività. Ciò, con particolare riguardo alle cause che avevano indotto quella tragedia.
L’apertura degli archivi inglesi (2008) e la conferma, emersa da tale fonte, che l’eccidio di Vergarolla aveva avuto una matrice partigiana slavo-comunista, poi iterata anche da parte statunitense, diedero luogo ad analoghe iniziative in sede scientifica e memorialistica. In tale ambito, si ricordano prioritariamente gli studi del Professor Italo Gabrielli circa «diritti negati e genocidio programmato»[1], e la scopertura del grande monumento nella Zona Sacra di San Giusto (Trieste) voluto dal Generale Riccardo Basile, Presidente della Federazione Grigioverde e della Famiglia di Pola in Esilio. D’altra parte, queste iniziative, entrambe del 2011, al pari della coinvolgente opera dedicata dal Professor Stefano Zecchi alla storia di Maria Pasquinelli, erano rimaste circoscritte, in larga misura, al mondo esule[2].
In ogni caso, sebbene la voce popolare avesse intuito sin dal 1946 quali fossero state le matrici di quell’atto contro l’umanità, la decisione britannica del 2008 aveva costituito un definitivo e forte progresso qualitativo sul piano dell’informazione e della definizione di responsabilità consolidate. Bisogna darne atto, perché la strage di Vergarolla fu oggetto, nella circostanza, di una commemorazione istituzionale e del commovente minuto di silenzio in memoria delle troppe vittime (non meno di 110, in maggioranza donne e minori, di totale quanto indiscutibile innocenza), disposto dall’Onorevole Sereni e osservato con unanime commozione. Del resto, la prassi di onorare le vittime con adeguate cerimonie, in specie nelle ricorrenze annuali della tragedia (18 agosto) era diventata costante nella storia del movimento esule, ancor prima della «verità definitiva» emersa nel 2008, acquistando un valore simbolico indubbiamente probante.
Dal punto di vista dell’informazione mediatica, un rilievo non meno ragguardevole sul piano giuridico era stato assunto dalle onorificenze che, in esecuzione della citata Legge numero 92, il Presidente della Repubblica Onorevole Giorgio Napolitano conferì a 14 martiri di Vergarolla, fra cui – per l’appunto – diversi bambini: atto certamente decisivo perché costituisce il riconoscimento ufficiale, al massimo livello delle Istituzioni Repubblicane, dell’eccidio quale atto criminale ordito dalla polizia politica di Tito.
In tale quadro, si deve dare atto all’Onorevole Garavini e agli altri parlamentari interroganti del 2013 (Onorevole Ettore Rosato e Onorevole Renato Farina) di avere proposto alla pubblica opinione una memoria opportunamente ampia e condivisa della più grande strage del Novecento avvenuta nel territorio italiano: come si diceva, in tempo di pace, e per cause non naturali. La svolta non fu priva d’importanti contenuti storici, perché in precedenza le forze politiche di Sinistra erano state sempre pervicaci nel negare le responsabilità di Belgrado, o nell’avanzare una surreale tesi dell’incidente, se non di un residuo «revival» della reazione nazionalista, o presunta tale.
In tempi ormai remoti, non aveva avuto torto il Presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti affermando, a margine della Grande Guerra da poco conclusa, che «la storia e la vita sono fatte di dimenticanze» da esorcizzare e da rimuovere: è il caso del grande Esodo giuliano e dalmata, di una tragedia senza eguali come quella delle foibe, e nel suo ambito, della stessa strage di Vergarolla. Del resto, secondo una pertinente affermazione di Predrag Matvejevic, massimo protagonista della cultura democratica slava, «prima di voltare pagina bisogna leggerla».
Il Ministero degli Esteri, nella propria risposta del 2013, aveva espresso la disponibilità a onorare convenientemente le vittime nelle cerimonie del 18 agosto, ad aprire gli archivi dell’Ambasciata di Belgrado e a promuovere «un progetto scientifico da finanziarsi sulla base della Legge numero 72 del 2001». Quest’ultima ipotesi, peraltro suggerita «ad hoc» nell’interrogazione parlamentare dell’anno in questione, anche alla luce di attese promosse da taluni ambienti istriani, avrebbe voluto «approfondire» ulteriormente le matrici di Vergarolla: cosa non certo agevole a tanti anni dai fatti, e tuttavia accettabile, essendo idonea a confermare ciò che era stato presunto con immediatezza dalla coscienza popolare, suffragato da un Esodo plebiscitario, e ribadito con l’apertura degli archivi londinesi.
Del resto, quali altre matrici potrebbero essere concettualmente ammissibili per una strage perversa e disumana come quella del 18 agosto 1946, estrapolandola dal più grande disegno di «genocidio programmato» di cui all’opera del Professor Gabrielli? Una parte minoritaria della storiografia ha adombrato l’ipotesi che il delitto contro l’umanità perpetrato a Vergarolla (non essendo nemmeno immaginabile la tesi strumentale dell’incidente) potesse essere attribuito sia pure involontariamente agli Alleati, cui competeva la gestione militare e civile di Pola e della sua «enclave»; in alternativa, a qualche impensabile sussulto di estrazione monarchica o fascista.
In entrambi i casi, le motivazioni sarebbero tutte da dimostrare e avrebbero un tasso di probabilità talmente marginale da avere indotto, nell’intervento svolto da Lino Vivoda, già Sindaco del Comune di Pola in Esilio[3], durante l’incontro del 13 giugno alla Camera dei Deputati, la surreale ma pertinente affermazione secondo cui quelle ipotesi equivalgono a presumere che la colpa di Vergarolla sia stata dei marziani, «nell’intento di punire i terrestri»!
L’anatomia del genocidio promosso dalla dirigenza jugoslava a carico degli Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia fra il 1943 e il 1947 (e non solo) rende sostanzialmente ininfluente, in un giudizio globale, ogni approfondimento scientifico dei singoli episodi, pur nella doverosa memoria, non soltanto storiografica, di ogni strage e di ogni delitto, e nella necessità di trasmettere ai posteri un messaggio di speranza e di fede. Si tratta di un atto dovuto, se non altro in ossequio all’estremo sacrificio dei martiri di Vergarolla, sopravvenuto per disegno criminale a 16 mesi da fine guerra, finalizzato a promuovere l’Esodo che si chiuse con l’anabasi di 350.000 Giuliani, Istriani e Dalmati, fra cui il 93% dei cittadini di Pola.
In tale ottica, e nelle permanenti condizioni di una finanza statale che impone la massima oculatezza quanto a gestione della spesa pubblica, sarebbe logico presumere che gli interventi a costo zero già auspicati dal mondo esule (proroga a tempo indefinito degli articoli 3 e seguenti della Legge numero 92/2004 concernenti il conferimento della Medaglia in Ricordo dei Martiri Infoibati o diversamente trucidati; piena vigenza della Legge numero 54/1989 in materia di anagrafe; elisione di gravi errori storici nei libri di testo; revoca delle residue pensioni agevolate concesse ai responsabili delle foibe; tutela delle tombe italiane rimaste in Istria e Dalmazia; e via dicendo), debbano avere, quanto meno, una scontata precedenza. Lo esigono il doveroso perseguimento della giustizia, la diligenza del buon padre di famiglia e – sulle orme di Hegel – una ritrovata «astuzia della ragione».
Vergarolla è diventata un simbolo su cui si sono versati fiumi d’inchiostro, anche a causa dell’efferatezza di un delitto che non ammette prescrizioni. Non a caso, ha trovato memoria perenne nella grande stele in pietra del Carso che la Famiglia di Pola in Esilio decise di erigere nella Zona Sacra di San Giusto, presso la Cattedrale di Trieste, con nomi, cognomi e dati anagrafici delle 64 vittime che fu possibile riconoscere dopo la deflagrazione delle 28 bombe di profondità, tale da indurre uno scempio che avrebbe impedito il riconoscimento di altri 46 caduti[4]. Oggi quella stele costituisce un memoriale di sicura valenza etica e civile, e nello stesso tempo, un monito a non dimenticare[5] perché «un popolo senza memoria è senza futuro».
1 Italo Gabrielli (Pirano 1921-Trieste 2018), esponente di primo piano del movimento giuliano, istriano e dalmata, leader dell’opposizione triestina al Trattato di Osimo del 1975, Presidente dell’Unione degli Istriani, è Autore di un «best-seller» della storia locale (Istria Fiume Dalmazia – Diritti negati – Genocidio programmato, seconda edizione con prefazione di Carlo Montani, Luglio Editore, Trieste 2018). Tra le opere storiche del Professor Gabrielli è da segnalare anche: Dove l’Italia non poté tornare, Editreg, Trieste 2004.
2 Stefano Zecchi (Venezia 1945), già Ordinario di Estetica all’Università degli Studi di Milano, ha coniugato egregiamente la propria opera di docente con quella di Autore di successo. Tra le sue produzioni specifiche: Maria (Pasquinelli) – Una storia italiana d’altri tempi, Edizioni Vertigo, Viterbo 2011; Quando ci batteva forte il cuore, Oscar Mondadori, Milano 2011; Rose bianche a Fiume, Mondadori, Milano 2014; Paradiso Occidente, Milano 2016.
3 Lino Vivoda (Pola 1931-Imperia 2022) è stato un importante esponente dell’associazionismo giuliano, istriano e dalmata, esercitando per lungo tempo il mandato di Sindaco del Comune di Pola in Esilio, e svolgendo attività altrettanto significative di pubblicista. Tra le sue opere documentali e storiografiche si ricordano: Bruno Artusi e gli Esuli da Pola, Editrice Pace, Cremona 1986; Esodo da Pola: agonia e morte di una città italiana, Nuova Lito Effe, Piacenza 1989; Campo profughi – Caserma «Ugo Botti» di La Spezia, Edizioni Istria Europa, Imperia 1998; Associazione LCPE: 60 anni di cronache della diaspora polesana, Editore Dominici, Imperia 2005; Quel lungo viaggio verso l’Esilio, Edizioni Istria Europa, Imperia 2008; In Istria prima dell’Esodo: autobiografia di un Esule da Pola, Edizioni Istria Europa, Imperia 2013.
4 Il numero delle vittime di Vergarolla che fu impossibile riconoscere a causa delle condizioni in cui erano state ridotte dalla deflagrazione, pari al 42% del totale, è la prova della potenza distruttiva assunta dalle bombe depositate sulla spiaggia e nuovamente innescate dagli attentatori: per la cronaca, quasi tutti Italiani, come da pertinenti indicazioni presenti nell’opera di Fabio Amodeo e Mario José Cereghino, Trieste e il confine orientale fra guerra e dopoguerra, 4 volumi, Editoriale FVG, Trieste 2008 (i nomi dei responsabili ivi menzionati sono quelli del Fiumano Giuseppe Kovacich e dei giovani Guido Fiorino, Marco Lipez, Oreste Parovel, Silvano Picorich). Si deve aggiungere che alcune vittime restarono ignote anche perché, in quel giorno di agosto, le gare di nuoto della «Coppa Scarioni» in programma nelle acque di Pola avevano richiamato una grande folla di varia provenienza. Conviene precisare, infine, che un Ricordo analogo a quello di San Giusto è stato posto anche a Pola, sia pure senza nomi, e con la pura e semplice indicazione del luogo e della data.
5 Una parte della storiografia contemporanea e delle ricostruzioni giornalistiche è propensa a gettare qualche zona d’ombra sulla vicenda di Vergarolla, nella fallace presunzione che le prove di una precisa responsabilità slavo-comunista non siano ancora sufficienti all’individuazione dei colpevoli, peraltro noti con tanto di nomi e cognomi, come è stato opportunamente messo a fuoco, tra gli altri, dal Professor Elio Varutti nelle sue ultime ricerche sulla strage, presentate con dovizia di particolari anche all’Università udinese della terza età nel corso di una pertinente conferenza per il Giorno del Ricordo 2023, unitamente alla Dottoressa Bruna Zuccolin, Presidente del Comitato ANVGD del capoluogo friulano. Anche per questo le residue reticenze hanno assunto una valenza meramente strumentale, e quindi senza effettivo valore storiografico.