Il pacifismo che non paga
«Si vis pacem, para bellum» («Se vuoi la pace, prepara la guerra») (locuzione latina)

Sono state sotto gli occhi di tutti le proteste di pochi mesi fa riguardo al riarmo dell’Europa, ovvia risposta alle dichiarazioni con cui il Presidente Americano Donald Trump dichiarava che non avrebbe più sostenuto militarmente il Vecchio Continente, e che ormai avremmo dovuto fare da soli.

La ricerca della pace è effettivamente da preferirsi a qualsiasi opzione militare, a largo raggio o circoscritta. Ma, come sapevano bene i nostri padri Latini, non dobbiamo dimenticare che uno dei mezzi più efficaci per assicurare la pace consiste nell’essere armati e in grado di difendersi in caso di un conflitto. Sono molti i casi in cui un pacifismo estremista e fanatico, che non teneva conto della situazione storica in cui si viveva, procurava proprio i danni che intendeva evitare.

Lo scoprirono, per esempio, i Cartaginesi: nel 149 avanti Cristo, per scongiurare la terza guerra contro Roma (una guerra che non potevano vincere), si piegarono ad accettare durissime condizioni di pace, consegnando 300 ostaggi, scelti fra i giovani delle più nobili famiglie, tutte le armi e l’intera flotta da guerra. Ma quando i Romani posero, come ultima e più grave condizione, la distruzione dell’intera città e la sua ricostruzione a 10 miglia dalla costa, al di fuori delle rotte commerciali e in pieno territorio nemico, i Cartaginesi si riarmarono e si prepararono al conflitto. Questo non impedì che la città venisse rasa al suolo dopo un assedio di tre anni e la perdita di quasi i nove decimi della popolazione. A quell’epoca, però, la città africana era già in declino, con poche truppe e nessun alleato, mentre Roma era un Regno potente, con alleanze e una grande disponibilità di uomini e mezzi.

Ci sono esempi più recenti: il motto «Si vis pacem, para bellum» è stato usato dalla stampa per celebrare l’incontro avvenuto a San Pietroburgo nel 1898 tra lo Zar Nicola II e il Presidente Francese Félix Faure. La loro alleanza non impedì lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, ma forse lo ritardò.

Un pacifista «a oltranza» fu Joseph P. Kennedy, il padre di JFK, che alla fine degli anni Trenta del XX secolo fu inviato come Ambasciatore a Londra. Era un grande imprenditore, persino di alcolici (anche se siamo in piena era proibizionista), ed era dell’idea che non bisognava assolutamente permettere che la guerra rovinasse il commercio internazionale. Così, coniugando le sue personalissime idee con la completa ignoranza della natura di Hitler e della Germania Nazista, convinto che i dittatori tedesco e italiano stessero solo bluffando, appoggiò la posizione di Chamberlain di accontentare Hitler sull’errato presupposto che ogni sua nuova richiesta sarebbe stata anche l’ultima (così Hitler si annesse l’Austria e si prese la regione dei Sudeti alla Conferenza di Monaco, occupando poi l’intera Cecoslovacchia e impadronendosi della sua fiorente industria aerea). Non cambiò idea neppure il 10 maggio 1940, a guerra ormai iniziata da nove mesi, quando i Tedeschi, dopo aver invaso Polonia, Danimarca e Norvegia, sferrarono il loro attacco verso Occidente.

Sempre sul finire degli anni Trenta, Winston Churchill commentava amaramente, riferendosi a coloro che sostenevano che con Hitler si dovesse parlare: «Potevano scegliere tra il disonore e la guerra; hanno scelto il disonore e avranno la guerra». Parole tristemente profetiche!

Anche il filosofo e matematico Bertrand Russell fu all’inizio un pacifista, favorì la pacificazione del 1939 mentre Hitler stava preparando la guerra e in Occidente nessuno era pronto per contrastarlo; ma dopo il 1945 divenne uno dei massimi propugnatori di una guerra preventiva all’Unione Sovietica, inorridito da tutti i suoi orrori (le purghe staliniane, il patto Ribbentrop-Molotov al fianco di Hitler, le mire russe sull’Europa), e arrivò a sperare in una caduta di Stalin anche con l’impiego di forze militari. Invitò i suoi connazionali a rendersi conto della minaccia russa e a prepararsi alla difesa nazionale per il maggior bene della pace mondiale e dell’umanità, mostrandosi armati e pronti al conflitto.

La corsa agli armamenti tra Stati Uniti e Unione Sovietica tenne il mondo in stato di «guerra fredda» per decenni, sotto l’incubo della minaccia nucleare, ma in realtà fu il maggior deterrente per scongiurare la guerra: entrambi i contendenti sapevano bene che lo scoppio del conflitto avrebbe provocato l’annientamento anche di loro, non solo del nemico! «La deterrenza è l’arte di creare nell’animo dell’eventuale nemico il terrore di attaccare»: questa frase del Dottor Stranamore nel capolavoro di Stanley Kubrick Il Dottor Stranamore ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba è anche la «filosofia» che ha guidato la politica estera di USA e URSS dal 1945 alla fine degli anni Ottanta. La guerra fu poi definitivamente scongiurata dalla crisi economica e poi dal crollo dell’Unione Sovietica, più che dalle (reali) volontà di pace delle due superpotenze.

La situazione odierna ha molte analogie con alcuni momenti del passato, e c’è la percezione che non pochi politici e intellettuali, che propugnano la pace a qualsiasi costo, ci stiano mettendo nelle condizioni dei Cartaginesi di fronte ai Romani o, con maggior realismo, dell’Occidente degli anni Trenta di fronte alla minaccia nazista.

Ci sono più analogie di quanto si possa supporre a prima vista tra Hitler e Putin, e non solo perché sono entrambi feroci dittatori che hanno eliminato fisicamente i loro oppositori interni (e anche qualche ex alleato divenuto «scomodo», vedi per esempio l’eccidio SA tedesche nel 1934 durante la «Notte dei Lunghi Coltelli» e la misteriosa morte di Evgenij Prigožin, capo del gruppo paramilitare russo Wagner, insieme a molti suoi importanti collaboratori nel 2023).

Hitler negli anni Trenta ha iniziato a occupare Austria e territorio dei Sudeti, in spregio ai trattati internazionali, per garantire uno «spazio vitale tedesco» e col pretesto che quelle popolazioni erano tedesche. Putin, in spregio al Memorandum di Budapest del 1991 che garantiva l’integrità territoriale dell’Ucraina e alla Carta per la Sicurezza Europea del 1999 che riaffermava il diritto di ogni Stato partecipante di scegliere o modificare i propri trattati di alleanza, nel 2014 ha inviato in Crimea gruppi di soldati russi senza insegne per prendere il controllo delle principali infrastrutture e dei centri amministrativi della regione, prima dell’arrivo delle forze armate «ufficiali». Questo per ripristinare la sfera d’influenza che era già presente all’epoca dell’Unione Sovietica, per controllare militarmente il Mar Nero e l’accesso al Mar Mediterraneo e per evitare un’adesione alla NATO di uno Stato ai propri confini; oltretutto col pretesto – in parte infondato – che quelle popolazioni erano russe. La Crimea è stata annessa unilateralmente alla Federazione Russa, ma l’annessione non è stata accettata a livello internazionale. Poi Putin ha mandato truppe speciali in abiti civili a fomentare la guerriglia nel Donbass. Nel 2022 ha iniziato l’invasione dell’Ucraina chiamandola «operazione militare speciale»: l’obiettivo era quello di una guerra-lampo (una «Blitzkrieg» di stampo tedesco, nella quale movimenti ampi e rapidi di truppe meccanizzate non lasciano all’avversario il tempo di organizzare una difesa stabile) per arrivare, nel giro di due giorni, a catturare o uccidere il Presidente Ucraino Volodymyr Zelens’kyj e a sostituire il suo Governo con un Governo fantoccio alleato e sottomesso a Mosca. Ma la resistenza ucraina si irrobustì e la guerra si trasformò in una vera e propria «guerra di trincea» per certi versi simile alla Prima Guerra Mondiale. Questo permise agli Stati Europei e agli Stati Uniti d’America di intervenire inviando armi e munizioni all’Ucraina, per sostenerne lo sforzo bellico.

Prima di iniziare le operazioni militari, Hitler aveva potenziato l’esercito tedesco, aumentato le spese per equipaggiarlo e rioccupato e militarizzato la Renania. Dal 2000 al 2021 le spese militari della Russia sono aumentate di oltre il 600% arrivando a 462 miliardi di dollari contro i 457 miliardi di dollari di tutti i 31 Paesi Europei presi assieme (231 sono quelli allocati complessivamente da Germania, Gran Bretagna e Francia; l’Italia spende attualmente per l’esercito più di 37 miliardi di dollari, escluse le quote parte di progetti europei); ma si prevede che le spese militari russe saliranno ancora fino a raggiungere i 466 miliardi di dollari entro la fine di quest’anno. Intanto la Germania, la Finlandia, la Polonia, la Norvegia e i Paesi Baltici hanno parimenti innalzato il tetto delle loro spese militari.

Ci chiediamo: che sicurezza vogliamo garantire per la vita nostra e dei nostri figli, se – a fronte del pesante riarmo russo – ci rifiutiamo di prendere delle contromisure uguali e contrarie? Non per attaccare, ma per dissuadere dall’essere attaccati.

(agisto 2025)

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