Derweze
La Porta dell’Inferno

Un territorio isolato, abbandonato da Dio e dal mondo e abitato solamente da poche famiglie di nomadi, ha assunto una caratteristica tale da attirare ogni anno migliaia di curiosi; ma che cosa c’è laggiù, che possa interessare schiere di curiosi?

Andiamo con ordine. Ci si trova nel Turkmenistan, nell’Asia Centrale, nella tristezza del deserto del Karakorum, precisamente presso il villaggio di Derweze, situato a circa 250 chilometri dalla capitale turkmena Ashgabat.

Il luogo, interessante dal punto di vista minerario, era stato trasformato in un cantiere da un gruppo di esperti geologi, inviati dall’allora regime comunista di Mosca a fare prospezioni al fine di imbrigliare il gas metano che usciva liberamente da un giacimento sotterraneo e si liberava nell’atmosfera, dopo aver saturato una grande cavità. E per fare quanto era stato preventivato, si era impostato un grande cantiere, dove si fece una serie di trivellazioni per preparare il complesso di attrezzature necessarie per captare il metano, concentrarlo in serbatoi, pronto per essere avviato alla raffinazione e alle utenze.

Purtroppo, durante le operazioni che sono di prammatica in questi casi, dopo un inizio andato per il meglio, ci fu una serie di franamenti che complicò i lavori, con lo scoperchiamento della cavità a cielo aperto. Convinti che il franamento avesse pure occluso la via di passaggio per il gas dal deposito a quella che in precedenza era una cavità, i geologi comunicarono alla madrepatria l’accaduto, aggiungendo ciò che, secondo il loro parere, la tecnica consigliava in questi casi: «Se noi eliminiamo il metano che attualmente si trova ancora in sito bruciandolo, dopo potremo riprendere i lavori per raccogliere e convogliare quello che è ancora presente nel giacimento». A Mosca fu accettato il consiglio tecnico e, pertanto, giunse a Derweze l’autorizzazione a procedere secondo quanto preventivato. Così, fu appiccato il fuoco al gas della sacca ma, contrariamente a quanto previsto, questo continuò imperterrito a consumare gas metano, finché i geologi si convinsero che, malauguratamente, il collegamento fra il giacimento e l’esterno non era stato assolutamente bloccato. E poiché il fuoco continuava a consumare metano, i geologi si resero conto che il giacimento era molto più ricco di quanto avessero preventivato, ed era un delitto lasciarlo bruciare fino a quando, nel futuro, una volta esaurito, si sarebbe finalmente spento: già, ma quando?

I lavori risalgono al 1971 e, da allora, il cratere, del diametro di una settantina di metri e con una profondità di una ventina, che si era formato con lo scoperchiamento della cavità sotterranea, continua a eruttare fiamme senza soluzione di continuità, giorno e notte, e non ne è nemmeno previsto lo spegnimento.

La presenza dell’enorme buca trasformata in un braciere ha solleticato la fantasia popolare e da allora è stata denominata The Gates of Hell (La Porta dell’Inferno), che sicuramente è un appellativo azzeccato. Certo è che tale braciere deturpa l’aspetto dell’ambiente naturale, caratterizzato dalla monotonia del deserto.

Le autorità turkmene sono dell’avviso che la soluzione migliore sarebbe quella di otturare il grande buco, perché non è il caso di vedere risorse preziose disperdersi in fumo andando, fra l’altro, a inquinare l’atmosfera. Se ne parlò nel 2010, ma le chiacchiere non portarono frutti.

In ogni modo, la faccenda non è del tutto stata messa nel dimenticatoio, come dimostra l’intervento del Presidente Turkmeno Gurbanguly Berdimuhammedow, che ha detto che bisogna assolutamente trovare una soluzione, perché non si deve sprecare la possibilità dello sfruttamento di una delle principali risorse economiche del Paese.

Questo enorme braciere rappresenta una preoccupazione per i pochi abitanti della zona, anche perché si sono resi conto che, dopo un mezzo secolo, si sta visivamente allargando, come hanno riscontrato anche gli studiosi del fenomeno che, secondo loro, è causato da una «modificazione di carattere ecosistemico». In effetti, trovandosi l’incendio in un terreno di «permafrost» (in italiano «permagelo»), cioè in un terreno costantemente ghiacciato (che è una caratteristica delle zone meno popolate del Nord dell’emisfero boreale), la temperatura dell’area è superiore a quella normale per cui le sue proprietà di svolgere la funzione di isolante termico vengono a svanire; così, si possono aggiungere, ai gravi problemi che affliggono le condizioni ambientali del Pianeta Terra, quelli dovuti al rilascio e alla combustione di enormi quantità di gas metano che hanno dormito, intrappolate nel suolo, per millenni.

La Porta dell’Inferno ora ha raggiunto i 120 metri, quasi il doppio di quando si è aperta, e il calore ha cambiato le condizioni climatiche dell’area, dando luogo a una deforestazione fuori norma; e l’assenza degli alberi, che con le loro ombre impedivano una forte insolazione, tanto da consentire al suolo di raffreddarsi, ne ha tolta ogni possibilità di difesa.

È un vero dispendio di ricchezza per un Paese non certo ricco, ma le autorità statali, pur continuando a rimuginare su come si possa intervenire per por fine alla perdita di un bene che potrebbe essere al servizio di tutti, attualmente non sono ancora riuscite a trovare una soluzione e il fuoco continua, imperterrito, a divorare il gas metano.

In questa situazione, gli unici estimatori sono coloro che apprezzano scenari spettacolari di grande effetto, come sa proporre la «Porta dell’Inferno», e che si sentono pronti ad affrontare i disagi offerti da un viaggio attraverso il nulla, pesante e lungo da compiere, non certo riservato a viaggiatori di lusso.

(agosto 2024)

Tag: Mario Zaniboni, Derweze, Turkmenistan, metano, trivellazioni, crollo, braciere, permafrost, Gurbanguly Berdimuhammedow, deforestazione.