La storia giuliana e triestina durante il difficile dopoguerra (1945-1952)
Gli studi patriottici del Professor Diego de Castro: un Istriano d’antica fede italica, docente universitario, diplomatico insigne, uomo d’azione

Nella storiografia riguardante le vicende del confine orientale, con particolare riferimento a quelle circa la complessa questione di Trieste e del suo territorio, un contributo di particolare rilievo è quello apportato da Diego De Castro, che avrebbe integrato il suo ruolo originario di docente universitario in campo statistico con un’intensa attività diplomatica nell’Italia reduce dalla sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. Ciò, cominciando da quella che lo vide protagonista di alto livello nel corso del dopoguerra circa la situazione giuliana, di cui ha lasciato testimonianze rilevanti in una cospicua documentazione a futura memoria[1].

Un aspetto di particolare interesse riguarda, fra gli altri, l’occupazione jugoslava della Venezia Giulia sia nei fatti storici, sia nelle conseguenze a venire, di cui alla prima grande opera storiografica del Professore Istriano, concernente i primi sette anni dal termine del conflitto (Genesi e sviluppi della questione giuliana: 1943-1952).

Il quinto capitolo del predetto volume, relativo all’occupazione jugoslava in buona parte del territorio giuliano, è un documento di permanente interesse nonostante il settantennio trascorso dai fatti. L’assunto deve essere condiviso, se non altro per le tante notizie di prima mano riguardanti, in base alle informazioni disponibili all’inizio degli anni Cinquanta, l’esistenza di 14 campi di deportazione civile e militare. Ciò, con particolare riguardo al rapporto ufficiale su quello di Borovnica e sulle sue allucinanti vicende di uccisioni indiscriminate, oltre che assolutamente prive di ogni valida motivazione, per non dire delle ricorrenti torture quotidiane, come il palo, il triangolo e la fossa, che nei casi di applicazione prolungata inducevano ugualmente la morte del condannato, già distrutto dal regime disumano del campo governato dalla fame e dalle malattie, oltre che dal trattamento «rieducativo» dei prigionieri.

Nello stesso capitolo una speciale attenzione è dedicata, subito dopo, alla tragedia delle foibe. All’epoca in questione, molte non erano ancora note ma le narrazioni dei pochi superstiti avevano permesso di aprire una prima finestra conoscitiva su quell’autentico delitto contro l’umanità. L’opera del Professor De Castro assume un’importanza di grande rilievo se non altro per la dettagliata precisione, difficilmente riscontrabile anche in fonti successive, circa i luoghi, il numero delle vittime, e la ricorrenza geografica dei trattamenti, anche se mancano quasi totalmente i nomi delle vittime. Tale accorgimento è diverso da quanto si sarebbe verificato in tempi successivi, probabilmente per una comprensibile e corretta prudenza nei confronti dei congiunti, onde sottrarli a possibili iterazioni della cosiddetta «caccia all’Italiano» pervicacemente perseguita da parte slava nell’ambito della perversa pulizia etnica alacremente programmata dal Maresciallo Tito e dai suoi corifei. Basti aggiungere che la testimonianza riporta in forma anonima anche il racconto dell’unico caso in cui due Italiani infoibati, Graziano Udovisi e Giovanni Radeticchio, riuscirono a risalire miracolosamente dalla cosiddetta foiba di Fianona, che in realtà era una forra profonda pochi metri, diversamente da gran parte delle altre.

A conti fatti, la rilevazione compiuta in materia dallo stesso De Castro riguarda 55 recuperi effettuati nel primo quinquennio successivo alla fine della guerra, con una maggioranza assoluta dei 30 compiuti nel solo 1947, e quasi esclusivamente nei primi otto mesi dell’anno: cosa non certo casuale, posto che per il 15 settembre era stato già statuito il passaggio di sovranità a favore della Jugoslavia, cosa che sottintendeva altre difficoltà sicuramente insormontabili nell’effettuazione delle prospezioni da parte di squadre attrezzate anche sul piano della difesa personale, come quella agli ordini del Maresciallo Harzarich.

I recuperi effettivamente compiuti furono soltanto 43, mentre in altri tre casi fu possibile rilevare il numero specifico delle vittime presenti negli anfratti del terreno, ma senza possibilità di estrazione. Negli ultimi nove, invece, non si ebbe modo di provvedere nemmeno al conteggio delle povere salme, che pertanto non ebbero modo di essere inserite nelle cifre ufficiali, pur facendo parte a ogni effetto di quel grande dramma collettivo.

Il numero delle vittime recuperate secondo la fonte in questione sarebbe stato pari a 641, cui si devono aggiungere quelle di Basovizza, stimate in 450 metri cubi, e che diventano almeno altrettante, sia pure con una valutazione oggettivamente riduttiva, motivata dalla presenza di materiali diversi destinati alla foiba quale luogo di discarica. In conseguenza, si perviene a un totale nell’ordine di mille martiri, cui vanno sommate, secondo la medesima fonte, altre 60 vittime per fatti analoghi determinati da motivazioni diverse.

Per quanto riguarda la dislocazione geografica delle foibe e delle loro utilizzazioni criminali, resta da aggiungere che si riferisce in larga maggioranza al territorio giuliano, con alcune notevoli integrazioni friulane come quelle di Faedis, Gradiscutta, San Floriano e Travesio (in quest’ultimo caso con riferimento prioritario alla fossa della Balancetta). Del resto, esistono foibe importanti anche nel Veneto, a cominciare dal celebre Bus della Lum nell’entroterra di Belluno, strumento di alcune centinaia di uccisioni a opera partigiana, per finire a quelle dell’Alto Vicentino.

Il totale summenzionato non si scosta in misura ragguardevole da quelli presenti in altre fonti, confermando con tutta evidenza che i recuperi riguardarono una minoranza oltremodo ristretta. Del resto, le stesse valutazioni effettuate da parte degli Alleati, sebbene oggettivamente affrettate, e parimenti riduttive, erano pervenute a cifre superiori di circa dieci volte, senza dire che quella di Luigi Papo, ritenuta conforme a una reale oggettività storiografica, si è attestata nell’ordine delle 16.500 vittime: ben s’intende, senza contare i caduti per ragioni belliche, per incidenti e per motivazioni sanitarie. Va da sé che una rilevazione davvero esaustiva è sostanzialmente impossibile a distanza di tanti decenni, sia per gli Italiani infoibati, sia per quelli diversamente massacrati; ma nello stesso tempo, una bibliografia sempre più ampia e attenta è concorde nell’affermare che nello scorcio conclusivo del conflitto, e soprattutto in quello successivo, in Istria e nella Venezia Giulia andò a compiersi un autentico delitto contro inalienabili valori umani e civili[2].

Conviene aggiungere che in tempi successivi all’opera del Professor De Castro furono scoperte parecchie nuove foibe con il loro carico di dolore e di morte, ma pur sempre in misura relativamente limitata per quanto attiene al numero degli scomparsi che, come avrebbe detto Giuseppe Giusti, «è lì che parla a chi lo vuol sentire», con cifre massime nella vecchia Jugoslavia. Oggi, dopo tante ricerche e tante valutazioni storiografiche, resta immutata la «pietas» che si deve a tutte le vittime, unitamente alla condanna senza appello di chi aveva fatto della pulizia etnica un nuovo verbo di crudele empietà al servizio dell’odio etnico, dell’intolleranza politica e dell’ateismo di Stato.


Note

1 Diego De Castro (Pirano, 19 agosto 1907-Pinerolo, 12 giugno 2003), appartenente ad antica famiglia istriana conosciuta da oltre un millennio, pervenne alla Laurea in Giurisprudenza nel 1929, con il massimo dei voti e la lode, integrato dalla pubblicazione nel XXIV volume degli Annali di Statistica. Libero docente nel 1931, fu subito operativo nell’Università di Messina e poi in quella di Napoli, per diventare Ordinario a Torino a decorrere dal 1937, dove avrebbe creato l’Istituto che diresse fino al 1972, per chiudere l’attività accademica all’Ateneo di Roma, insegnandovi dal 1970 al 1982, anno del collocamento a riposo. Nel 1941, De Castro era stato richiamato in servizio militare a seguito della guerra in corso, e incaricato della Segreteria del CIP (Comitato Interministeriale Prezzi) dove fu operativo fino al 1943, al cui termine divenne membro del Comitato Giuliano di Roma. In tale veste, nel 1946 ebbe i primi incarichi governativi legati alla preparazione del trattato di pace, ivi compresa la definizione dettagliata dei confini, iniziando una cospicua attività diplomatica che più tardi gli avrebbe consentito di acquisire il ruolo di rappresentante italiano presso il Governo Militare Alleato di Trieste (1952-1954) oltre a quello di Consigliere Politico del Governatore Militare. È stato insignito di parecchie onorificenze tra cui la Medaglia d’Oro ai Benemeriti della Scuola di Cultura (1965), il San Giusto d’Oro (1981) e il San Giorgio d’Oro conferitogli a Pirano nel 1981 e nel 1993, anno in cui gli fu intitolata la biblioteca della città nativa. Fra gli altri conferimenti è da ricordare quello di Socio Onorario dell’Istituto per la Storia del Risorgimento (1997). Nell’ambito delle molte opere, oltre a quelle scientifiche sono da menzionare: Il problema di Trieste, Edizioni Cappelli, Bologna 1952, 680 pagine; La questione di Trieste: l’azione politica e diplomatica, Editore Lint, Trieste 1981, 2 volumi, 2.068 pagine; Memorie di un novantenne, Edizioni MGS Press, Trieste 1999, 262 pagine. Non meno rilevante, infine, è stata l’attività giornalistica, con riguardo prioritario alle lunghe collaborazioni con «La Stampa» e con «Il Piccolo».

2 Per maggiori dettagli, oltre ai riferimenti proposti nel testo, si veda la fondamentale opera di Padre Flaminio Rocchi, L’Esodo dei 350.000 Giuliani, Fiumani e Dalmati, Difesa Adriatica, quarta edizione, Roma 1999, 718 pagine (la trattazione analitica delle foibe trova spazio soprattutto nella seconda parte – La violenza sconvolge l’Istria –, pagine 21 e seguenti).

(dicembre 2024)

Tag: Carlo Cesare Montani, storia giuliana, storia triestina, dopoguerra, Diego De Castro, Maresciallo Tito, Graziano Udovisi, Giovanni Radeticchio, Arnaldo Harzarich, Luigi Papo, Giuseppe Giusti, Padre Flaminio Rocchi, Venezia Giulia, Borovnica, Fianona, Jugoslavia, Basovizza, Faedis, Gradiscutta, San Floriano, Travesio, Belluno, Alto Vicentino, Pirano, Pinerolo, Messina, Napoli, Torino, Roma, Trieste, Seconda Guerra Mondiale, Martiri delle Foibe, Fossa della Balancetta, Bus de la Lum, Comitato Interministeriale Prezzi, Comitato Giuliano, Trattato di Pace, Governo Militare Alleato, Scuola di Cultura, San Giusto d’Oro, San Giorgio d’Oro, Istituto di Storia del Risorgimento, opere di Diego De Castro.