Scurati e il fascismo: realtà o mistificazione?
Quando si vuol piegare la Storia alle proprie ideologie

Il fatto è noto: lo scrittore Antonio Scurati, in vista del 25 aprile di quest’anno, anniversario della Liberazione, avrebbe dovuto leggere in prima serata nella trasmissione Che Sarà, su Raitre, un suo monologo sulla Resistenza. Precisiamo: «avrebbe dovuto leggere», perché il suo intervento venne censurato.

Non vogliamo qui discutere sulla liceità o meno della censura[1], perché riguarda un aspetto giuridico che non ci compete. Vogliamo invece leggere in maniera integrale il breve monologo e fare alcune considerazioni di carattere prettamente storico.

Lo riportiamo qui di seguito:

«Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato.

Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.

Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neofascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli Ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana».

Questo è tutto. Un testo di poco più di una pagina, senza una particolare eleganza letteraria (Scurati è uno scrittore giudicato da molti del tutto sopravvalutato), senza neppure una frase d’introduzione. Una pagina di Storia buttata lì. Tra l’altro, non riguarda neppure la Resistenza, che viene citata quasi di sfuggita. Il meno che si possa dire, è che l’autore è andato «fuori tema». Ma non è tutto qui.

Gli errori storici sono numerosissimi. Vediamo i principali.

All’inizio scrive: «Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato».

Giacomo Matteotti, per il quale il fascismo era il «Male assoluto», fu realmente sequestrato e ucciso da una squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini, membro della famigerata Ceka: un fascista facinoroso, zelante e ottuso. Matteotti fu colpito durante la colluttazione e i suoi rapitori, che forse pensavano «solo» a un pestaggio, furono presi dal panico; girovagarono per varie ore in auto fino a seppellire Matteotti in una fossa scavata con un crickett in una fossa al boschetto della Quartarella. Nella notte Dumini si presentò a Marinelli per riferirgli l’accaduto, e questi dovette a sua volta avvisare Mussolini.

Quindi, il futuro Duce non seppe della cosa «immediatamente», come riferisce Scurati, ma a diverse ore dal fatto. Mussolini, anzi, disse di esserne stato informato soltanto la sera successiva, e non ci sono prove che abbia mentito.

Di certo c’è che Mussolini non diede ordine né di rapire né di uccidere Matteotti. Forse fu Marinelli a impartire l’ordine di «dare una lezione a Matteotti» pensando di far cosa gradita a Mussolini. Forse, e non è ipotesi da scartare, la morte del deputato fu voluta da estremisti fascisti contro Mussolini e contro il suo proposito conciliatore verso le opposizioni parlamentari e la sua idea di portare nel Governo anche alcuni socialisti riformisti: questa manovra fu impedita e Mussolini si trovò a dover imboccare anzitempo la strada della dittatura, a cui sarebbe comunque pervenuto, ma in un tempo più lungo e con minori traumi per il Paese. Oppure il delitto fu organizzato negli ambienti affaristici del sottogoverno fascista che, si sapeva, Matteotti stava per denunciare in Parlamento, ma di cui Turati non mostrò mai i documenti che diceva di aver ricevuto. Un’ipotesi recente è che ci fosse di mezzo anche Casa Savoia, di cui Matteotti stava ponendo in luce alcune tangenti. Insomma, era un uomo contro tutti.

Resta fuor di dubbio che la responsabilità principale dell’omicidio di Matteotti rimane di Mussolini, e infatti lui non fece nulla per negarlo. Anzi, fece volare più di una testa (simbolicamente parlando, naturalmente) e inserì nel Governo nomi di moderati o di parlamentari che garantivano una moderazione. Quando poi venne fortunosamente rinvenuto il cadavere di Matteotti, l’indignazione popolare fu enorme: i quattro quinti degli Italiani (se non di più) erano ormai contro il fascismo; lo erano gli industriali; lo erano le potenti associazioni dei combattenti e dei mutilati. La magistratura era ancora libera di agire, così come lo erano i giornali dell’opposizione. Sarebbe stato forse facile, per i partiti di sinistra, sollevare le piazze; sarebbe bastato un minimo atto di coraggio per convincere il Re ad abbandonare definitivamente Mussolini, o in ogni caso ad abbattere il fascismo. Ma non lo fecero. Decisero di fare una sorta di «sciopero politico», di disertare il Governo in modo permanente e definitivo; lo sciopero è sempre stato un «cavallo di battaglia» della sinistra, che si è quasi sempre dimostrato perdente. Fu quella che si è chiamata «secessione dell’Aventino», una protesta di valore etico e morale ma del tutto inconcludente sul piano pratico, che tolse all’opposizione l’unica platea dalla quale avrebbe potuto parlare al Paese e osteggiare il fascismo in Parlamento. Lo riconobbe Giolitti, commentando ironicamente: «Questo Mussolini ha tutte le fortune. A me l’opposizione non ha mai dato tregua. A lui lascia libero il campo». Mussolini approfittò dell’inconcludenza dei suoi avversari politici, oltretutto in disaccordo anche al loro interno, per instaurare la dittatura, che durò un ventennio. Dobbiamo quindi riconoscere che enormi responsabilità per la presa del potere da parte dei fascisti ricadono sull’opposizione centrista e di sinistra. Il fatto che oggi non lo riconoscano, non depone certo a loro favore.

Poi Scurati prosegue: «Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati».

Che Mussolini abbia giurato alla vedova di Matteotti che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito, non so da dove l’abbia saputo. Non ne ho trovato notizia da nessuna parte; però può darsi che abbia dei documenti che io non ho potuto visionare. Rimane il dubbio. Il problema è che poi fa un gran salto di 20 anni per citare alcune delle stragi connesse alla guerra civile italiana e all’occupazione tedesca di parte della Penisola. Ne cita tre: le Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto.

Naturalmente, questi tre eccidi hanno bisogno di una spiegazione, altrimenti si potrebbe pensare che i Tedeschi (e i fascisti al loro seguito) avessero come «sport» prediletto il massacro delle popolazioni civili.

Cominciamo dalle Fosse Ardeatine: 335 persone vennero trucidate a Roma dai Tedeschi come risposta a un attentato partigiano fatto contro un’unità non combattente della Wehrmacht costituita da Italiani Sudtirolesi arruolati a forza nell’esercito tedesco; l’attentato era stato sconsigliato dagli Alleati, accampati alle porte della Capitale, e vietato espressamente dal Comando partigiano. L’intento era quello di provocare nel nemico una rappresaglia di tale portata, da indurre la popolazione di Roma a sollevarsi. I partigiani contavano di prendere il comando della rivolta. Questa non ci fu e 335 innocenti (più da 5 a 9 civili rimasti coinvolti nell’attentato loro malgrado e 33 militi) persero la vita.

Anche i massacri a Sant’Anna di Stazzema (560 morti, di cui 130 erano bambini) e Marzabotto (1.830 persone uccise) sono dovuti alle azioni dei partigiani, tra cui militavano anche criminali evasi dalle carceri e disertori, che attaccavano i Tedeschi alle spalle, sparavano e poi fuggivano: nella loro ansia di uccidere uno o pochi nemici, provocando danni del tutto insignificanti alla Wehrmacht, esponevano la popolazione civile alla reazione tedesca; gli eccidi di Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto furono compiuti soprattutto per rompere i collegamenti fra le formazioni partigiane e i civili. Questi ultimi a volte appoggiavano i partigiani, ma nella maggior parte dei casi erano vittime tanto dei partigiani, quanto degli occupanti tedeschi, che operavano rastrellamenti e uccisioni di civili per far «terra bruciata» alle spalle del fronte e garantirsi una sicura via di ritirata di fronte agli Alleati che premevano.

I partigiani, per loro stessa ammissione, colpivano nei pressi dei centri abitati per provocare la reazione tedesca e costringere le popolazioni civili a unirsi a loro: «sparavano e poi sparivano» è stato detto più volte, senza curarsi minimamente delle sofferenze delle popolazioni innocenti della zona.

È noto che c’era anche un esercito italiano regolare che combatteva al fianco degli Alleati: l’Esercito di Liberazione o il Corpo Italiano di Liberazione (CIL). I soldati – varie decine di migliaia – vestivano una divisa regolare e seguivano le leggi di guerra: si scontrarono con i Tedeschi faccia a faccia, li sconfissero più volte, pagarono il loro eroismo con 10.000 morti e 60.000 feriti; grazie alle loro azioni, le zone dell’Italia liberata (tranne quelle nelle immediate vicinanze del fronte) furono trasferite all’amministrazione italiana. Soprattutto, le azioni dell’Esercito di Liberazione non provocarono nessuna reazione tedesca di rappresaglia contro i civili.

Tutto questo, però, Scurati non lo dice. Non metterebbe in buona luce il movimento resistenziale che lui appoggia.

Infine, la stoccata: «Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neofascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli Ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana».

Bé, questo è ridicolo. Si parla di «gruppo dirigente post-fascista» e «passato neofascista» a quasi 80 anni di distanza dalla fine del fascismo (Giorgia Meloni, alla quale Scurati allude in modo esplicito senza avere il coraggio di nominarla direttamente, in quegli anni non era neppure nata); si accusa la destra di «cercare di riscrivere la storia» quando invece è il suo intervento a dare dei fatti una visione parziale o distorta con numerosi errori e omissioni; si lamenta che i membri del Governo non abbiano mai detto esplicitamente di essere antifascisti quando questa clausola non c’è nella Costituzione: si richiede di giurare fedeltà alla Repubblica Italiana e questa è già, di fatto, un’ammissione di antifascismo o, meglio, di non-fascismo. In nessun posto di lavoro, in nessun Paese del mondo libero, viene chiesto al dipendente di dichiarare le proprie idee politiche: gli si chiede, invece, di svolgere in modo puntuale e preciso il proprio incarico. Pretendere che la Meloni debba dichiarare di essere antifascista (dove sta scritto che debba farlo?) sarebbe mostrarsi faziosi come i fascisti che tanto si deplorano o, come è stato detto, sarebbe mostrarsi «antifascisti in modo fascista». Questo, Scurati e quelli che la pensano come lui dovrebbero tenerlo a mente.

Interventi come questo sembrano fatti da chi non ha altro contenuto che sbandierare una sola parola, antifascismo. Ma la cultura, soprattutto quella storica, è ben altra cosa!


Note

1 Il 9 maggio di questo stesso 2024, all’avvio agli «Stati generali della natalità», un evento organizzato da una fondazione pro-famiglia che si batte contro la crisi demografica, davanti a una platea piena di scolaresche, alla Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, è stato impedito l’intervento a causa dei giovani di un collettivo di sinistra. Se sono persone di destra o collegate alla destra a impedire la parola, si chiama «censura»; se sono di sinistra, si chiama «dissenso» (però bisogna ammettere che molti politici di sinistra, anche se non tutti, hanno espresso solidarietà alla Ministra Roccella e stigmatizzato il comportamento del collettivo). Il risultato, cambiati i termini, rimane lo stesso: si blocca la parola a qualcuno. Come al solito, due pesi e due misure...

(giugno 2024)

Tag: Simone Valtorta, Scurati e il fascismo, Antonio Scurati, Liberazione, Resistenza, Giacomo Matteotti, Benito Mussolini, Partito Socialista Unitario, dittatura fascista, Duce, fascismo, Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Giorgia Meloni, antifascismo, Amerigo Dumini, Ceka, secessione dell’Aventino, Giolitti, partigiani, Esercito di Liberazione, Corpo Italiano di Liberazione, Repubblica Italiana, Eugenia Roccella.