Norma Cossetto – LXXXI anniversario dal
martirio a Villa Surani (Albona), 5 ottobre 1943
Simbolo perenne della grande tragedia di
tutto il popolo giuliano, istriano e dalmata (350.000 Esuli
senza ritorno e 20.000 infoibati o diversamente massacrati)
La storiografia riguardante il grande dramma dell’Esodo e delle foibe compiutosi negli anni Quaranta, in concomitanza col Secondo Conflitto Mondiale e con un lunghissimo dopoguerra, non cessa dal proporre motivi ricorrenti di celebrazioni all’insegna della «pietas» per tutte le vittime di quella stagione plumbea, e prima ancora, della migliore conoscenza, in specie da parte dei più giovani, di tutte le inique motivazioni che indussero quella tragedia immane.
Una continua successione di eventi e di problemi internazionali come quelli che stanno caratterizzando il nuovo millennio, unitamente alla progressiva scomparsa dei protagonisti di una diaspora italiana senza precedenti nel «secolo breve» come la fuga quasi totalitaria da Venezia Giulia e Dalmazia, ha dato luogo all’affievolimento di singole memorie, che peraltro restano vive in quella collettiva, e nei simboli che ne costituiscono una sicura base di riferimento[1].
Fra questi simboli, è diventato prioritario, se non anche universale nel senso di una diffusione davvero generalizzata, quello di Norma Cossetto, la giovane eroina istriana infoibata a Villa Surani nella notte del 5 ottobre 1943 dopo essere stata lungamente torturata da 17 aguzzini al servizio dell’Armata Popolare Jugoslava. Ciò, non soltanto per l’età della vittima, per l’appartenenza a nota famiglia del comprensorio regionale, per l’apprezzata attività d’insegnante nella Scuola Media con incarico di supplenza annuale, e per il costante e affettuoso ricordo che ne conservarono i suoi allievi, quanto per la dignità e la forza morale con cui volle affrontare l’estremo sacrificio[2].
Non a caso, dopo l’arresto che Norma aveva subito nello scorcio di settembre a seguito dell’armistizio e del rovesciamento delle forze in campo a vantaggio dei partigiani prima del ritorno di quelle appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana e soprattutto alla Wehrmacht, pur essendo consapevole delle conseguenze, non intese accettare le profferte verosimilmente strumentali formulate da parte delle milizie titoiste per passare dalla loro parte, andando incontro, assieme a tanti altri Italiani, all’orribile destino della foiba, da dove le sue spoglie mortali sarebbero state recuperate alcune settimane più tardi, dopo il momentaneo ritorno delle forze dell’Asse Italo-Tedesca, per opera della squadra di Vigili del Fuoco agli ordini del Maresciallo Harzarich.
Proprio per questo, a pochi anni dall’estremo sacrificio, l’Università di Padova, dove Norma avrebbe dovuto discutere la tesi di laurea in materia di geografia e geologia istriana proprio alla ripresa autunnale, le avrebbe conferito la laurea «ad honorem» per iniziativa prioritaria del Rettore Concetto Marchesi, cui dette seguito parecchi decenni più tardi quella della Medaglia d’Oro al Merito per «motu proprio» del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Quest’ultimo divenne un gesto risolutivo, che unitamente all’avvento della Legge 30 marzo 2004 numero 92, istitutiva del Ricordo, avrebbe permesso un ampio profluvio di riconoscimenti pubblici, ormai nell’ordine delle centinaia, in tutto il territorio nazionale: per la maggior parte, si sarebbe trattato dell’intitolazione toponomastica di vie o di piazze, con l’aggiunta di biblioteche, di scuole, e persino di anfiteatri. Considerazioni analoghe valgono per convegni, lezioni, libri, rievocazioni.
In tutta sintesi, si può ben dire che il Ricordo di Norma, dopo un lungo periodo di sopore se non anche di oscurantismo, sia tornato alla ribalta del sentimento patriottico, diventando un esempio che alla resa dei conti finisce per trascendere la stessa storia personale dell’eroina, coniugando pensiero e prassi in una sintesi prescrittiva, proprio nel senso di indurre alla riflessione, e alla conoscenza oggettiva dei fatti e delle idee che li mossero, in primo luogo gli ignari, e nello stesso tempo, anche coloro che si compiacciono di ricordare.
Vale la pena di notare che l’estremo sacrificio di Norma induce nuove riflessioni sulla tragica realtà delle foibe quali strumenti di una morte allucinante. Infatti, non mancano vecchie testimonianze, in specie contadine, dei lamenti che provenivano dagli abissi, in qualche caso persino per giorni, senza che nessuno potesse intervenire concretamente. Ecco un dettaglio che aggiunge nuovi brividi di orrore a questa drammatica, e per vari aspetti unica storia[3].
Assieme a Norma, è giusto rammentare anche la sorella Licia Cossetto Tarantola, scomparsa a Cessalto (Venezia) proprio nel LXX anniversario dell’infoibamento (5 ottobre 2013) mentre si stava recando a Trieste dalla sua residenza piemontese di Ghemme per partecipare alle manifestazioni del Ricordo, in cui era sempre stata oltremodo attiva. Fra l’altro, Licia aveva conosciuto gli onori delle cronache quando aveva ricevuto la Medaglia d’Oro di Norma dalle mani del Capo dello Stato, cogliendo l’occasione per ringraziare il Presidente Ciampi dell’onore che le era stato riconosciuto, ma nello stesso tempo, per confermare il disappunto della famiglia e di tanti patrioti per un’attesa oggettivamente troppo lunga. Del resto, su questo punto Licia sarebbe stata sempre intransigente, come avvenne anche nell’ultimo intervento pubblico avvenuto in una conferenza lombarda poco prima della scomparsa di cui si diceva.
In conclusione, quello perpetrato per Norma Cossetto è un delitto entrato in termini definitivi nella bibliografia di riferimento, e prima ancora, nell’informazione generale che amplia in forte misura quantitativa, ben oltre la platea degli addetti ai lavori, le conoscenze di base circa Esodo e foibe. A quattro quinti di secolo dal suo dramma personale, da quelli familiari e dal grande sacrificio collettivo di un intero popolo espulso con violenze inusitate dalla terra dei Padri e degli Avi, Norma propone una testimonianza imperitura, come da felice sintesi del patriota istriano Italo Gabrielli, in materia di «diritti negati e genocidio programmato».
1 Un recente accenno significativo alla necessità di coltivare in maniera più idonea il Ricordo di quanti scomparvero nell’orrore delle foibe, nelle acque dell’Adriatico, o nell’estrema offesa degli abbandoni, è quello presente nell’opera di Claudio Antonelli, L’Anglo-Latinorum degli Italioti: la disgregazione di una lingua e di un’identità, Edizioni Edarc, Bagno a Ripoli 2024, pagina 11, dove l’Autore ammonisce circa la permanenza di un «valore sacro» come quello dell’italianità giuliana, istriana e dalmata, ma diventata «un antistorico, pesante fardello che ormai non siamo in molti a portare».
2 Per un primo riferimento nell’ambito di una bibliografia molto esaustiva, confronta Padre Flaminio Rocchi, L’Esodo dei 350.000 Giuliani, Fiumani e Dalmati, pagine 43-46 (Norma Cossetto infoibata), e «passim», Edizioni Difesa Adriatica, Roma 1999, 718 pagine. Nella fattispecie si ricorda anche il padre Giuseppe, ucciso a bruciapelo da un comunista locale all’indomani dell’assassinio della figlia, mentre si era posto alla sua ricerca (eppure, costui era stato oggetto di benefiche attenzioni proprio da parte dello stesso Giuseppe). Fra le opere collettive recenti, è congruo collocare quella di AA.VV., Norma Cossetto: Rosa d’Italia, Eclettica Edizioni, Massa 2021, 294 pagine.
3 La straordinaria cesura che è si manifestata nella lunghissima storia giuliana e dalmata a seguito del Secondo Conflitto Mondiale, e degli eventi a esso successivi, con i delitti contro l’umanità perpetrati da parte slava e con il grande Esodo dei 350.000, ha costituito un autentico «quid novi», alimentando modificazioni di carattere geografico, etnico e politico che non è azzardato definire rivoluzionarie. Anche per questo, la storia di Norma e di tutte le altre vittime italiane assume aspetti etici prioritari che trascendono la stessa enormità delle cifre.