Mark Twain e una «donna» di nome Genova
Alcune interessanti considerazioni dello
scrittore americano su Genova e… sulle sue donne nella
seconda metà dell’Ottocento
Samuel Langhorne Clemens (Florida, Missouri, 1835 – Redding, Connecticut, 1910) si affermò come giornalista, umorista e grande narratore con lo pseudonimo di Mark Twain che, stando ad alcuni, derivava dall’urlo usato per segnalare la profondità delle acque dei fiumi («by the mark, twain»), mentre per altri traeva la sua origine dalla passione (da «mark» inteso come «voglia» e «twain» come «doppio») dello scrittore per gli alcolici, la birra, il vino e le donne. L’esordio letterario di Twain risale al racconto La famosa rana saltatrice della contea di Calaveras, del 1865, e tra le sue altre opere ricordiamo Le avventure di Tom Sawyer, Il principe e il povero, Le avventure di Huckleberry Finn, Un Americano alla Corte di Re Artù, Wilson lo zuccone. Twain fu un maestro nell’utilizzare la conversazione colloquiale e nel creare e diffondere una letteratura specificatamente americana, densa di tematiche e di linguaggi espressivi tipicamente yankee. Non a caso, William Faulkner ed Ernest Hemingway lo definirono «il primo vero scrittore americano».
Mark Twain crebbe a Hannibal nello Stato del Missouri. Qui fu apprendista tipografo e giornalista. Più tardi prese la patente di pilota di battelli a vapore a ruota, quelli che a quei tempi solcavano ancora il grande fiume Mississippi, trasportando merci, brava gente, ma anche biscazzieri, alcolizzati e prostitute. Dopo svariate esperienze di lavoro, si mise a viaggiare e come molti altri grandi della letteratura anglosassone e non approdò in Liguria, terra della quale lo colpirono i colori, il paesaggio, l’architettura delle sue città – prima fra tutte Genova – e soprattutto le donne e il vino. Lo colpirono al cuore, anzi al palato, il Pigato, il Vermentino e il Coronata; per non parlare del nettare delle Cinque Terre. Twain non disdegnava pure la buona tavola ed era solito esplorare trattorie e sperimentare piatti mediterranei, praticamente «esotici» per uno che veniva dal Missouri. Nulla di strano, essendo un uomo attratto anche dalla scienza (egli strinse una sincera e lunga amicizia con il fisico americano Nikola Tesla), non poteva esimersi dal «verificare» tutto ciò che di meglio la natura e l’uomo erano in grado di creare e produrre.
Nel 1867, durante un’immersione nelle viscere della vecchia Genova, Twain ha modo di osservare e descrivere con spasmodica attenzione la fauna femminile del capoluogo ligure, rimanendone folgorato. «Può darsi che in Europa vi siano donne più graziose, ma io ne dubito. Genova conta 120.000 anime: di queste, due terzi sono donne, ed almeno due terzi di queste sono molto belle […]. La maggior parte delle damigelle è vestita di una bianca nube dalla testa ai piedi, sebbene molte si adornino in una maniera più complicata. Nove su dieci non hanno sul capo null’altro che un sottilissimo velo ricadente sulle spalle a guisa di bianca nebbia. Hanno capelli biondissimi e molte di loro occhi azzurri, ma più spesso si vedono occhi neri e castani. Le signore e i gentiluomini di Genova – annota ancora Twain – hanno la piacevole abitudine di passeggiare in un ampio parco in cima a una collina al centro della città [Spianata dell’Acquasola, nota del redattore] dalle sei alle nove di sera; e quindi, per un altro paio d’ore, di prendere il gelato in un giardino adiacente». E ancora sul gentil sesso genovese: «Mi pare che qui le fanciulle siamo tutte dotate di forte e indipendente personalità. Esse sono state capaci, nonostante il passare dei secoli, di mantenere un’indole leale, nobile e combattiva fino all’estremo sacrificio. Quello di cui riferisce Tacito nelle sue Historie, allorquando il letterato dell’Urbe narra l’episodio di una madre ligure percossa e uccisa dalle milizie romane per essersi rifiutata di rivelare dove si trovasse il proprio figlio appartenente ad una banda ribelle». Ma a colpire Mark Twain, uomo sensibile, ma anche sanguigno, furono soprattutto le fattezze fisiche delle ragazze genovesi e liguri nel loro complesso: «Corpi sinuosi e modellati dal sole e dal mare; sguardi profondi, intelligenti e sensuali». Descrizione che si distacca nettamente dagli assai poco gentili versi di un rabbioso Montesquieu (spesso – come disse qualcuno – i Francesi non sono altro che Italiani di pessimo umore) espressamente dedicati «al piacere di lasciarsi alle spalle Genova e la sua gente» o a quel vecchio, anonimo ed altrettanto scortese proverbio che fa riferimento alla Liguria e alla sua intera razza: «Mare senza pesce, monti senza legna, uomini senza onore, donne senza bellezza».
Esagerazioni a parte, secondo Twain la Liguria e soprattutto Genova racchiudono in realtà una notevole molteplicità di valori estetici che, tuttavia, occorre «saper cogliere, vedere e capire». Una Genova, quindi, inarrivabile per gli sciocchi, i superficiali e, aggiungiamo noi, per i misogini. «La “Superba” e la “Città dai bei palazzi”, sono da secoli – scrisse Mark Twain – gli appellativi di Genova. Certo essa è proprio piena di belle dimore, e queste dentro sono sontuose, anche se esternamente molto malandate e senza pretese di grandiosità architettonica. Molte di esse hanno spessi muri, con grandi scalinate di pietra, pavimenti tassellati di marmo […] e grandiosi saloni con alle pareti dipinti di Rubens, Reni, Tiziano, Veronese, e ritratti di capostipiti della famiglia in elmi piumati e splendide armature, e di patrie in stupefacenti vestiti di secoli fa. “Genova la Superba”, sarebbe un titolo indovinato se si riferisse alle sue sensuali donne», insiste questo focoso scrittore che, tuttavia, riguardo all’alcova ebbe a definire assai argutamente il letto come «il posto più pericoloso del mondo in quanto vi muore solitamente l’80% della gente».
(novembre 2012)