La Settimana Rossa, 1914
Un’insurrezione rivoluzionaria che prese
il controllo di intere regioni
Il periodo in cui si inserisce la Settimana Rossa fu un periodo di prosperità che vide un buon miglioramento delle condizioni di vita per gran parte dei lavoratori (accertato anche dai dati sociali Istat) oltre alla introduzione del suffragio universale, solo nella zona di Rimini si segnalava una forte disoccupazione rurale. Interessante notare che le elezioni del 1913, le prime con il nuovo sistema elettorale, non segnarono un successo per la sinistra. Tuttavia l’estremismo non dava cenno di ridimensionarsi e la Romagna e le Marche, territori non afflitti da situazioni particolari, furono al centro delle sommosse. I protagonisti della particolare insurrezione furono l’anarchico Errico Malatesta, il socialista rivoluzionario Benito Mussolini, l’allora repubblicano Pietro Nenni.
Il tutto iniziò ad Ancona dove si teneva la festa per la ricorrenza dello Statuto, mentre vicino si tenne una conferenza di repubblicani, socialisti e anarchici che ricordava un soldato punito per aver sparato al proprio colonnello; per evitare che i manifestanti venissero allo scontro, le forze dell’ordine al termine della manifestazione fecero defluire i circa 500 esponenti della sinistra verso la direzione opposta a quella dei partecipanti alla festa. Una parte dei manifestanti tuttavia cercò di forzare il blocco. Non è accertato chi iniziò a sparare per primo, ma appare improbabile che la polizia intenta a evitare scontri abbia dato inizio alla sparatoria, in ogni caso tre manifestanti rimasero uccisi mentre 17 carabinieri furono feriti dalla sassaiola.
La sera stessa venne proclamato lo sciopero generale e il giorno successivo il capo del gruppo anarchico Errico Malatesta incitò la folla a procurarsi le armi e iniziarono successivamente gli assalti alle armerie. Anche il giovane Mussolini fu tra i principali artefici, sull’«Avanti» scrisse: «Non è stato uno sciopero di difesa, ma di offesa… si sono assaltati i negozi dagli armaioli; qua e là hanno fiammeggiato degli incendi e non già delle gabelle come nelle prime rivolte del Mezzogiorno, qua e là sono state invase le chiese». Anche l’allora repubblicano Pietro Nenni scrisse che «la rivoluzione sembrò prendere consistenza di realtà».
Lo sciopero degenerò subito in assalti a tutti gli edifici pubblici, municipi, prefetture, stazioni ferroviarie, magazzini di grano, anche le case dei proprietari terrieri e i cosiddetti circoli dei signori non vennero risparmiati, ma particolarmente colpite furono le chiese che ovviamente non c’entravano nulla con i tragici fatti di Ancona. I dimostranti si sentivano particolarmente forti, costituirono comitati rivoluzionari, imposero blocchi stradali, sequestrarono il prefetto di Ravenna, uccisero il commissario di pubblica sicurezza, mentre in un paese vicino un Generale e sei ufficiali vennero sequestrati, uno degli slogan più adoperati fu: «Abbasso i preti, evviva la repubblica popolare». Non tutta la popolazione partecipò agli scontri, come dimostravano le aggressioni ai cosiddetti crumiri.
A Bologna si innalzarono barricate e, fatto abbastanza singolare, si ebbero scontri con gruppi nazionalisti. A Giovecca, vicino Ravenna, addirittura i dimostranti presero le armi nella caserma dei carabinieri mentre in molte località i poliziotti vennero disarmati. Anche altre città al di fuori di Romagna e Marche vennero interessate dalla violenza. Nella stessa Roma si ebbero scontri con due morti e l’innalzamento di barricate.
Due giorni dopo gli scontri la CGdL proclamò la fine dello sciopero ma ciò non pose fine alle agitazioni, Malatesta indignato scrisse: «Non sappiamo ancora se vinceremo, ma è certo che la rivoluzione è scoppiata e va propagandandosi. La Romagna è in fiamme; in tutta la regione da Terni ad Ancona il popolo è padrone della situazione. A Roma il governo è costretto a tenersi sulle difese contro gli assalti popolari». Il Governo presieduto dal «leader» della destra Antonio Salandra mantenne un profilo moderato e tenne carabinieri e polizia sulla difensiva. Senza una guida particolarmente forte, le violenze si spensero da sole. Al termine dei gravi fatti si ebbero una trentina di morti che riguardavano sia i dimostranti sia le forze dell’ordine. I tribunali comminarono un certo numero di condanne e di assoluzioni, mentre la successiva nascita di una principessa reale fu l’occasione per accordare un’amnistia. Più tardi, come sappiamo, l’Europa fu investita dalla Guerra Mondiale e per un certo periodo in Italia, come negli altri Paesi, non si ebbero più manifestazioni violente, mentre alcuni protagonisti della rivolta, fra i quali Mussolini e Nenni, si arruolarono come volontari.