Opilio Faimali
Il domatore italiano più famoso dell’Ottocento

Quando si va al circo si vedono diversi numeri di vario genere e gusto, artisti che ti sanno coinvolgere nel vero senso della parola per la loro bravura (gli acrobati), altri che fanno vivere la realtà da un aspetto più comico (i clown) e altri per la loro destrezza nel pericolo e la forza del coraggio. Tra gli ultimi possiamo di sicuro annoverare i domatori di animali, in particolare di quelli feroci. Finora in Italia abbiamo sempre avuto domatori famosi che hanno lasciato un segno positivo nella nostra Penisola e all’estero, ma l’artista di cui vi voglio parlare è Opilio Faimali; di sicuro a molti non dirà niente questo nome, però a metà dell’Ottocento ha fatto parlare di sé in Italia e in modo particolare all’estero.

Opilio Faimali

Ritratto di Opilio Faimali

Opilio nacque a Gropparello, in Val Vezzeno, nell’Appennino Piacentino, il 25 agosto 1826 ed era l’ultimo dei nove figli di Luigi e Antonia Magnani, una coppia di modesti braccianti agricoli.

All’età di 11 anni volle emigrare per cercare fortuna altrove, chiese il passaporto e pur non ricevendolo, partì clandestinamente a piedi con 6 lire piacentine in tasca per dirigersi verso il Piemonte. Andò ad Alessandria e attraverso il San Bernardo giunse a Basilea per poi superare rocambolescamente la frontiera francese e approdare a Colmar in Alsazia in pieno Carnevale.

Qui la sua vocazione si fece sentire; vedendo carri, gabbie, tende, musiche, canti, balli, l’atmosfera scintillante, al giovane Opilio bastarono pochi secondi per rivivere le sensazioni provate a Piacenza quando aveva avuto modo di ammirare per la prima volta attraverso le grate delle gabbie un orso nero. Questi pochi secondi furono anche sufficienti per rompere gli indugi che restavano e per coprire lo spazio che lo avrebbe condotto al circo, per varcare la soglia che separa il mondo degli artisti itineranti da quello delle comunità sedentarie. Si fece assumere nel circo di Didier Gauthier e svolse i mestieri più umili, come il mozzo di stalla; successivamente, nel 1840, esordì come saltatore di cavalli e registrò importanti successi, ma non era del tutto appagato e decise di cimentarsi nell’addestramento degli animali. Imparò ad addestrare una scimmia, cui fece cavalcare pantere, leoni e giaguari. Il numero della scimmia cavallerizza ebbe il battesimo di fuoco a Varsavia, in Polonia; la scimmia vestita da ufficiale militare volteggiò come un’acrobata in groppa a un cane, mandando in delirio gli spettatori. Opilio, pur essendo molto giovane, aveva terminato in parte il suo apprendistato itinerante, in quanto aveva svolto vari compiti, aveva già conosciuto l’ambiente del circo, aveva viaggiato in Europa, aveva appreso itinerari e città, ricorrenze e calendari festivi e anche alcuni rudimenti linguistici e altri elementi che erano richiesti a chi volesse vivere di questo lavoro. Maturata la convinzione che si trattasse del proprio mondo e che la strada avviata dovesse essere precorsa fino in fondo, decise di ammaestrare gli animali. Così cominciò la sua carriera di domatore acquistando ad Amburgo, da un commerciante di animali esotici, Gottfried Claes Carl Hagenbeck, che proprio in quegli anni stava iniziando questa attività, un piccolo serraglio[1] (due iene, due lupi e 14 scimmie) e, in seguito, due pantere. La tecnica da lui adottata, l’uso di potenti manrovesci e schiaffi al posto di frusta e forcone per addestrare le belve più pericolose, gli fece ottenere in breve una grande popolarità in varie regioni dell’Europa Centrale, soprattutto in Olanda, in Germania e in Polonia.

Nel 1858 sposò la signora Bitard, vedova del celebre domatore francese L. Bidel, erede del fornito serraglio del defunto. Ma l’impresa derivata da tale unione era destinata presto a fallire. Per ben tre volte gli morirono gli animali; infine, nell’estate dello stesso anno, un’epidemia di carbonchio distrusse l’intero zoo e costrinse Faimali a chiudere il circo.

Ma Opilio non si perse d’animo e andò direttamente in Africa, in particolare in Algeria, a catturare le belve personalmente coadiuvato da una decina di uomini, sotto la guida di un ex sergente della Legione Straniera, con l’attrezzatura di gabbie, alcune reti di sparto e vecchie coperte, e in sette mesi di caccia catturò ben 27 felini, in particolare giaguari[2]. Proprio per la sua abilità nel catturare queste belve fu denominato il «Re dei giaguari». La sua tecnica era quella di avvicinare, da solo, l’animale accovacciato e, quando questo gli balzava contro, lo scansava agilmente e gli buttava addosso una rete, immobilizzandolo, poi con l’aiuto dei suoi compagni d’avventura lo legava e lo ingabbiava. Era una tecnica inventata al momento ma dava i suoi frutti.

All’inizio del maggio 1859 fece ritorno da Algeri e si imbarcò per l’Europa dove perfezionò la sua tecnica e addestrò le belve. Riprese l’attività in Francia, lavorando prima a Orléans, quindi all’Hippodrome di Parigi e a Marsiglia, con puntate in Germania. Successivamente venne ricevuto alle Corti di Olanda e di Inghilterra, si interessarono a lui anche il Sultano di Costantinopoli e il Re d’Italia Vittorio Emanuele II, fino a diventare famoso in tutta Europa.

Opilio ormai aveva creato un particolare tipo di spettacolo, in voga in quel periodo, recitando una pantomima in cui, vestito da Arabo, rievocava le sue avventure africane: in una grande gabbia rettangolare e successivamente circolare, lottava contro ogni tipo di belva, in particolare con i giaguari, che costringeva all’obbedienza con gli ormai celebri manrovesci e schiaffi, e nel finale infilava la testa nelle fauci dei leoni suscitando emozione e ammirazione tra gli spettatori, e titoloni sui giornali dell’epoca. La dimostrazione di grande coraggio, era accompagnata dalla varietà e dal numero degli animali che partecipavano allo spettacolo. Si narrò ai tempi del passaggio a Liegi (nel 1864) che quando Faimali si mise in cammino con tutte le gabbie di animali, la carovana raggiunse una lunghezza di 75 metri e 12 metri di larghezza: contava 160 animali, tra cui ben 32 leoni, inoltre quando si montava lo spettacolo c’era una gabbia più grande dove faceva confluire tutti gli animali. Spetta proprio a Opilio l’aver dato origine ai serragli itineranti che trovavano in questa doppia eredità le ragioni del successo, in quanto erano zoo viaggiante e vetrina mobile di animali esotici; il serraglio riscuoteva un alto indice di gradimento perché rendeva possibile a un vasto pubblico cittadino e rurale la visione di animali selvaggi che non appartenevano al proprio territorio fisico, semmai all’immaginario mitico. Ed era proprio questo immaginario mitico a costituire un forte motivo di richiamo per un vasto pubblico che trovava nell’adesione entusiasta di vari Sovrani un esempio da emulare.

Ormai nei vari spettacoli circensi oltre all’uomo proiettile, le donne siamesi, il mangiafuoco e i nani era nata la figura dell’intrepido domatore.

Eppure era molto polivalente nel senso che oltre a eseguire il proprio spettacolo non disdegnava di lavorare anche con gli animali non suoi, per esempio un episodio molto curioso avvenne quando si presentò in Olanda e il Re molto coinvolto dai suoi esercizi volle metterlo alla prova con animali non suoi, visto che secondo lui i suoi animali ormai erano affezionati a Opilio.

Lui accettò tranquillamente la sfida, entrò in un primo momento in gabbia con lupi e iene e successivamente con leopardi, leoni e pantere, e accarezzandoli in base al loro umore e in un secondo momento dominandoli con lo sguardo e le urla, li fece obbedire subito ai suoi comandi, stando in piedi o a cuccia in un angolo a suon di ceffoni e schiaffi, come al suo solito modo di addestrare.

Altro caso curioso avvenne a Firenze in occasione dell’incontro con il Re Vittorio Emanuele II che gli regalò una leonessa, dicendogli che non avrebbe mai potuto entrare in gabbia perché era molto feroce e non poteva avvicinarsi neanche il custode.

Lui ovviamente, preso dalla tentazione, trasgredì e appena entrò si mise in piedi, la accarezzò, la baciò, la rotolò sotto i suoi piedi e le fece fare tutti i salti e le acrobazie che voleva.

Segno che aveva un metodo tutto suo di sguardi, gesti e dominazione sull’animale che gli permetteva di lavorare sia con i suoi che con gli animali degli altri domatori, e pure con quelli dei giardini zoologici che non avevano mai diviso la gabbia con alcun essere umano.

Ma nella sua fiorente attività artistica non mancarono alcune disavventure. Una volta inserì la testa nelle fauci di una leonessa che non doveva aver tanto gradito l’intrusione e strinse un po’ troppo le mandibole; lui, dalla morsa, uscì sanguinante alla testa. In altre esibizioni riportò ferite e mutilazioni: la perdita del cuoio capelluto, il maciullamento di un braccio e, infine, il rischio di essere stritolato tra le spire di un boa. Altro avvenimento molto pericoloso fu durante la guerra franco-prussiana (1870-1871) quando, scambiato per una spia, rischiò la fucilazione a Tolosa.

Nel 1872, di ritorno in Italia dopo i vari successi in Europa Opilio, visto che era rimasto vedovo da tempo, decise di sposarsi con Albertina Parenti, una giovane donna di Pontenure (Piacenza) che lo convinse ad abbandonare la vita circense e ritornare a una vita sedentaria. Dopo due anni decise di vendere il suo zoo di 160 animali al figliastro Francesco Bidel, suo allievo come domatore e pronto a svolgere l’attività da indipendente, e anche per farsi perdonare gli episodi di poca stima nei suoi confronti. Con quei soldi acquistò il podere e la casa del «Colombarese»[3] a Pontenure, e rimase in casa con un solo giaguaro, «Drozzilla», al quale era particolarmente affezionato e che usava anche per fare degli scherzi ai suoi concittadini.

Villa del Colombarese

La Villa del Colombarese Canevaro (Villa Colombare Banchero) a Pontenure (Italia)

Nell’estate del 1876 presso un centro balneare di Rimini incontrò l’antropologo Paolo Mantegazza, direttore sanitario, e ci fu uno scambio di indirizzi che portarono con il tempo la possibilità di scrivere un libro sulla sua vita e le sue gesta da domatore. Causa motivi di lavoro del Mantegazza, visto che era professore universitario durante l’anno a Firenze e direttore sanitario presso il proprio centro balneare a Rimini, ci vollero più di due anni per mettere a punto il libro, con un grande contributo da parte di Albertina che era lo strumento di trascrizione dei ricordi della vita e delle gesta di suo marito, non del tutto imparziale visto che alcuni aspetti personali venivano un po’ lasciati andare (per esempio, i rapporti col figliastro e con la prima moglie).

Nel gennaio del 1879 uscì il libro di Paolo Mantegazza: Upilio Faimali Memorie di un domatore di belve, un libro composto da 117 pagine e suddiviso in sette capitoli, ciascuno dei quali aperto con dei disegni raffiguranti scene di combattimento all’interno della gabbia. Il libro dava un’immagine del domatore fisicamente burbero, tarchiato e poco bello esteticamente, facile alla collera, ma in fondo molto coraggioso e generoso.

Ma il nuovo matrimonio di Opilio non fu allietato da figli e non gli diede la tranquillità familiare che egli sognava, in effetti le malelingue raccontano che non era riuscito a domare sua moglie per il suo carattere molto forte. Ironia della sorte, proprio lui, soprannominato «Re dei giaguari», che afferrava le pantere e i leoni per il collo come fossero gatti, e che sopravviveva a morsi, ferite, mutilazioni, maciullamenti da parte dei suoi animali, fu cacciato di casa e i due finirono per separarsi.

Si accasò e fu assistito da una governante, anch’essa scappata dalle furie della padrona con la quale conviveva da tempo, alimentando le chiacchiere del paese, e morì invecchiato e stanco, a Pontenure, il 13 settembre del 1894.

I funerali furono celebrati nottetempo con rito civile, perché i suoi atteggiamenti spregiudicati avevano suscitato scandalo in paese.

L’ardore, la grinta e le gesta di questo artista non verranno meno negli anni futuri. Nel nuovo secolo, in effetti, per la prima volta nella storia dello spettacolo circense, un artista del circo è stato onorato ufficialmente in Italia più volte e in vari modi.

Nel 1942 Giovanna Biasotti, originaria di Reggio Emilia, scrittrice e insegnante di lettere a Milano scrisse il libro Opilio il grande (Biblioteca dei Miei Ragazzi, 1942), un fedele resoconto, appena romanzato, della vita di Opilio Faimali di Pontenure, vissuto nell’Ottocento e divenuto un famosissimo domatore. Il romanzo uscì in anteprima sul «Corriere dei Piccoli» (Anno 34, numeri 2-15, 1942), con illustrazioni di Dell’Acqua. Per l’edizione Salani il libro fu revisionato dal Ministero della Cultura Popolare (Minculpop) che in una lettera del 13 ottobre 1942 richiese all’Autrice modifiche di contenuto in linea con l’ideologia politica di Stato.

Il 23 ottobre 1960, il comune di Pontenure ha voluto traslare le spoglie di Opilio in un’altra tomba e dedicare una lapide a ricordo di Opilio Faimali in cui conclamava i suoi meriti, lapide situata sulla facciata d’ingresso del palazzo comunale, tutt’ora visibile. Fu un gesto di riconoscimento dovuto a un concittadino di adozione, quale esso era. Erano presenti alla cerimonia le autorità locali e una rappresentanza dei domatori francesi, come il celebre Jim Frey e René Frense, Alessandro Cervellati per l’U.H.C. (Union Historiens du Cirque); i nostri domatori Orlando e Nando Orfei con il loro pubblicitario Luciano Frassinelli e con il Circo Orfei vollero poi offrire uno spettacolo di gala al quale accorse tutta la popolazione di Pontenure e il pubblico venuto da Piacenza e da Parma. Unico neo, non vennero svolti tutti i festeggiamenti in programma a causa di una giornata piovosa.

Inoltre sempre nelle celebrazioni del 1960, era stato proposto di erigergli un monumento sulla piazza principale del paese ed era stata auspicata la costituzione a Pontenure di un Centro di Studi Circensi. Ma poi, purtroppo, non se ne fece più nulla e i promotori di quella iniziativa sono ormai scomparsi; nessuno finora ha raccolto la loro eredità.

Nelle città in cui visse, per esempio, a Gropparello, il paese natale di Opilio, la cittadinanza gli ha dedicato un vicolo, invece a Pontenure portano il suo nome la via che va dal Consorzio Agrario alla stazione ferroviaria e un giardino pubblico dedicatogli nel corso delle celebrazioni tenutesi l’11 settembre 1994, in occasione del centenario della sua scomparsa, da parte di un comitato comunale di cui era Presidente onorario il noto giornalista Massimo Alberini, ambasciatore unico a vita in Italia della «Academie du Cirque» di Parigi. Sempre in quella data, il Comune di Pontenure volle la riedizione del libro di Paolo Mantegazza dedicato a Opilio Faimali.

Il 31 gennaio 2019, nell’atrio del comune di Pontenure, alla presenza di un caloroso pubblico, gli alunni della classe 4a C della scuola primaria «Giana Anguissola» hanno presentato la targa da loro progettata e dedicata a Opilio Faimali.

Tutti questi gesti spero possano far capire come una persona morta più di 100 anni fa ancora viene ricordata come se fosse uno di casa dei tempi d’oggi, forse perché di sicuro ha lasciato un segno particolare nella storia del nostro Paese e non credo che sia poco.


Note

1 Il serraglio è un’esposizione di animali.

2 Il giaguaro è un animale sudamericano. Probabilmente in quel tempo il termine serviva a designare tutti gli animali maculati, come ad esempio i leopardi, che forse furono i felini effettivamente catturati da Opilio.

3 Villa del Colombarese Canevaro: è una villa (il nome corretto è Villa Colombare Banchero) che si trova nelle immediate vicinanze del torrente Nure. Nei secoli i passaggi di proprietà degli edifici furono molteplici, ma è accertato che all’inizio del XIX secolo era proprietario il Francese De Guillot a cui rimase fino agli anni ’70 dell’Ottocento. Nel 1874 la acquistò Opilio e alla sua morte la famiglia Parenti, erede dei Faimali, vendette la proprietà a Giuseppe Banchero nel 1894. Egli, appartenente alla vecchia borghesia genovese, sposò la Piacentina Brigida Savini che ricoprì per diversi anni la carica di sindaco di Pontenure; la figlia Maria Teresa sposò Attilio Canevaro e attualmente la proprietaria è la signora Maria Vittoria Banchero in Canevaro. La villa da anni fa parte del FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) della delegazione di Piacenza Gruppo Fai Giovani.

(settembre 2020)

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