Golda Meir
Una donna chiave per lo Stato di Israele
Oggi, in piena guerra russo-ucraina, ma anche spettatori purtroppo delle vicende palestinesi, rievocare la figura di Golda Meir significa unire in qualche modo vicende della più ampia attualità.
Golda Meir infatti era nata a Kiev nel 1898 da genitori di origine ebraica.
Scrisse di lei Oriana Fallaci e ritengo sia una descrizione che bene la ricorda: «Ha capelli grigi e ricciuti. Un viso stanco e grinzoso, un corpo pesante sorretto da gambe gonfie, malferme, di piombo. Come mia madre, ha quell’aspetto da massaia ossessionata dalla pulizia. Perché, capisci, sono donne che non usano più. E la cui ricchezza consiste in una semplicità disarmante, una modestia irritante, una saggezza che viene dall’aver sgobbato tutta la vita».
Confermo. I ricordi televisivi e le immagini riprodotte su giornali e libri dell’epoca che ho di lei da bambina, sono davvero ben rappresentati da questa efficace descrizione.
Prima e unica donna a ricoprire nello Stato Ebraico il ruolo di Ministro degli Esteri prima e di Primo Ministro poi.
Una caratteristica che la contraddistingueva era sicuramente la sua energia. Era capace davvero di condizionare le sorti del Medio Oriente. I suoi due amori, come è stato propriamente scritto, sono stati il socialismo e la Terra Promessa, la Palestina.
Era nata a Kiev da Ebrei Ucraini nel 1898 e si chiamava in realtà Golda Mabovič. Fu solo il padre fondatore dello Stato di Israele Ben Gurion, più avanti, a darle un cognome che suonasse più «ebraico». «Meir» in lingua ebraica significa «illuminato». La Kiev del periodo è sotto il controllo dell’Impero Russo. Kiev faceva parte dell’Impero Russo a partire dal XVII secolo e tale rimase fino alla Rivoluzione Russa del 1917. L’Ucraina era una regione all’interno dell’Impero Russo e Kiev era una delle sue città principali. La sua famiglia in quel periodo non ebbe vita facile perché gli Ebrei erano perseguitati dal regime zarista.
Si trasferirono a Pinsk ma la furia zarista di quegli anni contro i socialisti e gli Ebrei costrinse la famiglia Mabovič quando lei aveva appena 8 anni a trasferirsi negli Stati Uniti e precisamente a Milwaukee, nel Wisconsin. L’amore per l’America rimarrà uno dei cardini della sua vita, che contrapporrà sempre a quanto aveva dovuto patire in Russia.
Ricordava una frase che presa da sola bene indica il suo spirito e la situazione che aveva vissuto: «L’America che ho conosciuto io è un posto dove gli uomini a cavallo proteggono il corteo di lavoratori. La Russia zarista che ho conosciuto io è un posto dove uomini a cavallo massacrano i giovani socialisti ed Ebrei».
Si trasferì poi a Denver all’età di 14 anni a casa della sorella maggiore perché i rapporti con i genitori si erano deteriorati. Golda Meir voleva proseguire gli studi mentre la famiglia non era d’accordo. Qui si confrontò col mondo letterario, col femminismo e il sionismo.
Fu amore a prima vista.
Giovanissima, in quel periodo, all’età di 15 anni conobbe colui che diverrà suo marito, Morris Meyerson.
Fu con lui che nel 1921 partì per la Palestina e fu lì che iniziò la sua formazione politica.
Fece esperienza di vita nel kibbutz, ebbe il primo figlio ma il marito lì si ammalò.
La nostra non era religiosa. Nel 1928 verrà nominata Segretario dell’Unione delle Donne lavoratrici mentre nel 1930 entrò a far parte del Partito dei Lavoratori Israeliani. Fu nel 1946 che divenne capo del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica per la Palestina, dopo aver svolto una brillante carriera come sindacalista. Diventò anche membro dell’Organizzazione che gestiva l’immigrazione illegale dei transfughi ebrei dall’Europa alla Palestina durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il 14 maggio 1948 nacque lo Stato di Israele.
Golda Meir fu membro del Consiglio Provvisorio di Stato e fu tra i 24 firmatari della dichiarazione di indipendenza. Diventò in questo modo la prima Ambasciatrice dello Stato di Israele a Mosca. Fu eletta nelle file del Partito Socialista. Fu proposta come vice Primo Ministro dallo stesso Ben Gurion ma lei declinò l’invito. Nel 1950, anno del decesso del marito per arresto cardiaco, la Meir si candidò a sindaco di Tel Aviv.
Fu nel 1956 che dovette sostenere una gravissima crisi internazionale: la crisi di Suez.
Nel 1963 si ammalò ma continuò a calcare la scena politica.
In quegli anni si avvicinò sempre più agli Stati Uniti, che erano stati suo Paese di adozione. Nel 1968 sarà la prima donna eletta a ricoprire la principale carica politica del suo Paese.
Era amica del Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon. Anche per questo incoraggiò l’emigrazione ebraica statunitense in Israele.
La nostra aveva pochissimi amici tra i cronisti per il suo carattere sanguigno. Tra quei pochi, Indro Montanelli.
Montanelli aveva raccolto le sue confidenze su Ben Gurion che non sempre la trattava in modo carino.
Quando fu scelta nel 1969 come Primo Ministro quale soluzione di compromesso (avversata dallo stesso Ben Gurion), la scelta si rivelò vincente poiché ella seppe svolgere abilmente il difficoltoso compito di trovare soluzioni di equilibrio tra forze politiche eterogenee divise sulla questione delle zone arabe occupate con la guerra del 1967. Lasciò la direzione del governo nell’aprile del 1974 dopo aver avviato e negoziato gli accordi per una riorganizzazione della regione che era stata sconvolta dalla guerra dell’ottobre 1973.
Possiamo fare un parallelismo con i nostri giorni. Gola Meir fu costretta a dimettersi perché riteneva che non ci fosse spazio per un Governo Palestinese e venne travolta dalle critiche per non aver fatto abbastanza per evitare la guerra.
Ammetteva solo accordi con la Giordania visto che la presenza di uno Stato Palestinese veniva vista come foriera della stessa distruzione dello Stato di Israele.
I problemi che dovette affrontare erano legati anche alla povertà di alcuni Israeliani immigrati di ultima generazione che dovevano risolvere la precarietà economica della loro condizione. Non era Ebrea praticante ma viveva la condizione di Israele in tali termini.
In quel periodo, nonostante le difficoltà e gli sconvolgimenti bellici, si riuscì a trovare un approccio positivo alla questione medio-orientale. Ci auguriamo che anche oggi questo possa essere praticabile.
