Ursolina la Rossa ed altre storie
Breve disamina socio-ambientale degli «inquisitori e delle streghe» tra Lucca e Modena nel XVI secolo

Un interessante spaccato del XVI secolo su un tema storiografico di genere, relativo alla condizione della donna in epoca medievale, là dove veniva fatta oggetto di pesanti illazioni che finivano per renderla un’eretica ed una strega, viene offerto in una pubblicazione del 2006, curata dal professor Franco Cardini[1]. Il libro, partendo da Modena, dove Ursolina la Rossa fu imputata e processata per stregoneria, «raggiunge» strategicamente Lucca, dove la stessa sorte di Ursolina, in quel preciso momento storico, toccò a Margherita e Polisena. Il tutto passando per «le streghe di Soraggio», un paesino della Garfagnana, solo apparentemente così diverso rispetto alle città citate. Allora i territori montuosi di quella parte della Toscana erano sotto la giurisdizione modenese.

L’autore ed il curatore del testo preso in esame pongono così in evidenza, entrando nello specifico delle realtà locali di montagna, che fanno da trait d’union con le rispettive città, come all’inizio dell’estate 1607 il rettore della chiesa di San Martino di Soraggio, il presbitero Joannes Paninius, si fosse recato presso il convento di San Francesco, tra Pieve Fosciana e Castelnuovo Garfagnana, residenza del Vicario del Sant’Uffizio in loco, Padre Lorenzo Lunardi, per procedere alla denuncia di almeno sessanta persone spiritate e maleficate.

Queste erano ritenute tali a causa di quattro abitanti dei luoghi, individuati dal presbitero quali streghe. Bastarono perciò solo alcuni indizi per decretare che ai quattro residenti venisse attribuita tutta la responsabilità nei fatti loro ascritti. Su di loro circolò voce che discendessero da persone a loro volta ritenute streghe; e soprattutto considerate capaci di compiere malefici.

Si procedette così alla citazione, come appare in ognuno dei casi riportati nel testo che contiene anche i documenti relativi ai procedimenti, di un cospicuo numero di testimoni, pronti a confermare quanto sostenuto dai rispettivi presbiteri, con l’aggiunta nel caso di Soraggio di un altro chiaro indizio di colpevolezza, relativo a ritrosia degli imputati nel salutare gli ecclesiastici in strada.

L’interesse particolare che suscita questa pubblicazione nei lettori nasce innanzi tutto dalla localizzazione geografica, che vide le due città confinanti, Modena e Lucca, protagoniste sia del processo di Riforma Protestante che, in pari tempo, di una tenace tenuta cattolica. Il tutto condito da un humus ideale, precursore di un’epoca. Il contesto politico analizzato, insieme variegato e coeso, non solo sul piano geografico, si inserisce infatti in una visione allargata, tale da trascendere gli stessi confini nazionali.

«L’area presa in esame copre parte di due delle attuali regioni italiane, l’Emilia Romagna e la Toscana. I protagonisti principali, gli imputati di stregoneria, risiedono sui versanti opposti dell’Appennino Tosco-Emiliano, in Garfagnana e nel Frignano, in piccoli e piccolissimi villaggi di montagna, ma anche nella città di Lucca, e nei suoi immediati dintorni. Più precisamente, i processi considerati furono celebrati a Lucca, Modena e Ferrara. Nell’epoca in cui si svolsero i fatti, quest’area era sottoposta al dominio di alcune tra le tante potenze presenti nello spazio geopolitico italiano. Lucca, in particolare, fu città che aveva avuto un ruolo di primissimo piano nella Toscana altomedievale, sede del marchesato, capitale della Tuscia, ma nel Quattrocento aveva perduto ormai il domino su buona parte della media ed alta valle del Serchio a favore di Firenze e della casa d’Este. I Fiorentini controllavano Barga, mentre il resto della Garfagnana storica, salvo poche frazioni [Minucciano, Castiglione e Gallicano] era passato a far parte dei domini dei signori di Modena e Ferrara.

Proprio nel periodo in cui si svolse la vicenda di uno dei processi intentati, in località Soraggio, vale a dire agli inizi del Seicento, c’erano state le ultime battaglie militari e giuridiche, con cui Lucca aveva cercato di riacquisire il controllo di quei territori. L’ordinamento politico lucchese era ufficialmente repubblicano, ma il potere in realtà saldamente nelle mani di una ristretta aristocrazia, quest’ultima ormai quasi completamente d’origine mercantile piuttosto che feudale»[2].

Tra il 1400 ed il 1500 gli Estensi avevano raggiunto l’apice della propria fortuna politica, estendendo i loro domini su Ferrara, Modena, Reggio, Carpi… Intorno al 1430 avevano saputo inserirsi nelle dispute territoriali tra i potentati locali del Nord della Toscana, estendendo la loro presenza oltre l’Appennino, in Garfagnana. Solo a fine Cinquecento subiranno la perdita di Ferrara, che verrà incamerata nello Stato Pontificio nel 1598 da Papa Clemente VIII.

Le donne coinvolte nei processi trattati dal saggio menzionato sono talvolta «forestiere» ed in ogni caso non sempre con un passato facile alle spalle. Donne che non si integrarono magnificamente col tessuto sociale esistente, cui qualunque abiura e/o spontanea ritrattazione delle vicende loro imputate (legate soprattutto all’uso che comunemente veniva fatto di procedure alchemiche e/o pratiche mediche ritenute disdicevoli dalla collettività) non avrebbe permesso alle sventurate di evitare le condanne ed i martiri cui vennero sottoposte. Risparmio al lettore le macabre torture, fisiche e psicologiche, che le videro protagoniste. Quello che più fa riflettere sul versante politico, non solo dunque sul piano emotivo, certamente coinvolgente, è la disamina dei contesti sociali.

«Tali processi si svolsero infatti in realtà diversificate», ma ciò non bastò a modificare la consuetudine ormai acquisita di trasferire su tali donne una sorta di ritualità collettiva, con connotazioni variegate. Tutto il territorio era proteso verso simili pratiche, ed in ogni caso le differenze socio-ambientali e giuridiche pongono ancora più in rilievo le assonanze.

«Le comunità appenniniche interessate, Soraggio sul versante lucchese e Sasso Rosso su quello modenese, sono piccole comunità isolate, dedite all’epoca esclusivamente all’agricoltura, all’allevamento e ad un piccolo artigianato, con l’eccezione di Soraggio per una emigrazione stagionale rilevante diretta in Maremma. Assai diversa la realtà di Lucca, città prospera, ricca di fermenti economici ma anche culturali. Era infatti ancora molto sviluppata l’industria della seta, che esportava drappi in tutta Italia ed in diversi Paesi Europei; di questa attività troviamo chiara traccia nelle affermazioni di alcuni dei testi ascoltati nel processo ivi svoltosi; un’altra rilevante occupazione per diversi membri del ceto dominante era quella finanziaria, con banchi operanti in varie città italiane e d’oltralpe».

Altra differenza relativa al piano giuridico tra le realtà territoriali prese in esame, la presenza nei territori estensi di un Tribunale dell’Inquisizione, che invece non fu mai istituito a Lucca.

«Gli Stati Estensi avevano conosciuto l’attività inquisitoriale medievale dalla fine del secolo XIII, e successivamente quella moderna, che si protrasse sino alle soglie dell’Ottocento»[3]. In ogni caso, Modena e Lucca erano tra i principali bersagli della nuova istituzione. Occorreva procedere contro l’eresia in tutta la Cristianità, ma in particolare contro le eresie di Modena, Napoli e Lucca, considerate a rischio in quanto qui si era diffuso il verbo protestante.

La città di Lucca in particolare riuscì a conservare nel campo della salvaguardia dell’ortodossia religiosa la propria autonomia, certo a prezzo di gravi rischi e compromessi.

«La situazione della città nel corso del Cinquecento era particolarmente delicata, in virtù del movimento riformatore che vi si era andato affermando, grazie anche all’impostazione delle nuove idee da parte dei mercanti-banchieri con affari all’estero; risulta che diversi strati sociali fossero stati contagiati dal verbo luterano, ma meglio sarebbe dire zwingliano e calvinista, dal patriziato agli artigiani. Ciò comportava ovviamente una continua esposizione alle pressioni di Roma, e costringeva ad un estenuante gioco diplomatico». Tra le misure messe in atto per superare la difficile prova vi furono l’istituzione di apposite magistrature quali l’«Offizio sopra le Scuole e sopra la Religione» (1545) ed un accordo col Sant’Uffizio Romano grazie al quale i Lucchesi, sospetti di eresia, prima di essere condannati, venivano avvisati perché fuggissero all’estero. Tuttavia, ancora tra il 1575 ed il 1577 vi era stato un tentativo d’introdurre l’Inquisizione in città, legato in qualche modo ad un moto rivoluzionario associato al nome di tale Lorenzo il Fabbro. Probabilmente da questo clima derivavano l’ostinazione delle autorità civili lucchesi nel perseguire ogni possibile forma di eterodossia, ed il trattamento riservato alle due streghe imputate in loco, Margherita e Pulisena.

Modena aveva avuto i suoi problemi nei confronti della Riforma. «Proprio negli anni antecedenti l’istituzione del Sant’Uffizio Romano, nella cittadella padana era andato organizzandosi un gruppo di dissidenti, i cosiddetti Accademici, di cui fecero parte membri del patriziato religioso e laico, intellettuali, ma anche mercanti e artigiani; questa esperienza si protrasse poi negli anni successivi […]»[4].

Ancora come soluzione alternativa si scelse l’espatrio, soprattutto in Svizzera. Già intorno al 1520, a Mirandola, nei pressi di Carpi, c’era stata la terribile esperienza di persecuzione antistregoneria, nella quale aveva avuto parte rilevante il dotto Gian Francesco Pico, signore dei luoghi, nipote di Giovanni e seguace del Savonarola; tra il 1522 ed il 1523 una lunga serie di processi aveva portato all’arresto di moltissime persone, almeno dieci delle quali, sette uomini e tre donne, furono bruciati. Lo stesso Pico parlò di una vera e propria setta con base a Mirandola e nel contado.

Il professor Cardini bene evidenzia come la questione storica della «caccia alle streghe» non possa essere considerata seconda a quella sociologica, anche perché il risoluto atteggiamento di condanna della stregoneria imperversò in tutta Europa, soprattutto in quella protestante. Non ne rimase immune neppure il Nuovo Mondo, tra Cinque e Seicento. L’analisi storica che egli ci propone si lega a tradizioni spesso connesse a rituali d’origine pagana, dei quali tuttavia si era smarrito il ricordo, quei segreti femminili «generazionalmente tramandati a proposito di cose proibite, ma molto praticate, come le tecniche contraccettive e gli aborti, unite a brandelli erratici di credenze ereticali». Tali elementi, secondo il professor Cardini, sono stati per lungo tempo trascurati, e fra XIV e XV secolo, in occasione della crisi demografica e socio-culturale, culminata nella Morte Nera, si imposero all’attenzione dei ceti dirigenti europei, decretandone così «la Caccia alle Streghe». Tale fenomeno fu probabilmente «effetto anche d’un periodo congiunturale di crisi, indicativamente tra le due epidemie di peste in Europa, cioè tra il 1348 ed il 1630».

La zona appenninica italiana presa in esame ha la caratteristica di avere una certa quantità di documenti pervenuti sino a noi di processi per stregoneria, cosa che ci permette di valutare nel dettaglio pratiche e procedimenti. Vi agiscono, lo si è visto, diversi soggetti sul piano giuridico, e risponde territorialmente a realtà geografiche ex canossiane.

Il Malleus Maleficarum, scritto da due frati domenicani tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer, per stabilire i criteri utili a riconoscere e punire le streghe, fu pubblicato nel XV secolo ma non fu mai adottato ufficialmente dalla Chiesa. Grande fu la tiratura commerciale del libro e molti i manuali scritti a corollario del Malleus sui metodi di tortura e di applicazione della pena e del modo con il quale riconoscere una strega. Il colore rosso dei capelli di Ursolina rappresentò certamente un indizio «incontrovertibile».

Le condanne non erano in ogni caso di competenza della Chiesa, bensì dell’autorità civile che, basandosi su una sentenza dell’autorità ecclesiastica, competente in materia, emetteva una propria condanna e provvedeva ad eventuali esecuzioni. Anche Jean Bodin, intellettuale protestante ritenuto ispiratore del moderno concetto di Stato e teorico della tolleranza, scrisse un Manuale giudiziario sul metodo per la tortura e la repressione del fenomeno.

L’eresia era considerata un reato civile. Riporto perciò, come ulteriore testimonianza del dramma umano e sociale che questo tipo di pratiche infliggeva, proprio perché incorporato nel contesto civile, la parziale trascrizione della ritrattazione che «Ursolina la Rossa» di Modena fu costretta a pronunciare, dopo le svariate accuse e pene subite: «Mi Ursolina da Sasso Rosso de la diocesi di Modena, constituta personalmente in judicio in presentia del Reverendo padre fra Thomas da Morbegno, Vicario Generale et Reverendo padre Inquisitore della heretica pravità per la città di Ferrara e Modena et per le lor diocese, essendomi posti li Sacri Evangeli avanti e tocandolj corporalmente cù le proprie mane, dico mi credere cù el core, e confesso cù la bocha quella sancta fede catholica e apostolica, la quale la Sancta Romana Gesia crede, confessa, predica, abferma… E conseguentemente abiuro, revoco, detesto, e abnego, ogni heresia de qualunque sorta o secta se sia, che è contraria alla Sancta Gesia Apostolica».


Note

1 Oscar Guidi, Ursolina la Rossa ed altre storie. Inquisitori e streghe tra Lucca e Modena nel XVI secolo, Lucca, Maria Pacini Fazzi 2006.

2 Augusto Mancini, Storia di Lucca, ristampa Lucca, Maria Pacini Fazzi 1999.

3 L’Ufficio dell’Inquisitore Generale era localizzato dapprima a Ferrara, poi, dopo il già ricordato incameramento di questa città nello Stato Pontificio, alla fine del 1500, fu trasferito a Modena.

4 M. Firpo, Gli spirituali, l’Accademia di Modena e il formulario di fede del 1542. Controllo del dissenso religioso e nicodemismo in città italiane.

(marzo 2013)

Tag: Elena Pierotti, Ursolina la Rossa, streghe, Lucca, Modena, Italia, Umanesimo, Rinascimento, XV secolo.