Stampa a caratteri mobili
Clamoroso progresso dell’umanità

Nell’antichità, per trasmettere il proprio pensiero ad altri o per lasciare ai posteri memoria di ciò che si era pensato o costruito, c’erano solamente due strade da seguire: si poteva usare la stampa a caratteri fissi oppure si ricorreva agli amanuensi. Nel primo caso, gli scritti potevano essere affidati a una serie di timbri, sigilli o stampini (chiamiamoli come vogliamo), che erano limitati a quanto si era stabilito di stampare, e ciò tante volte quanto si desiderava, fino a quando questi, usurandosi, non erano più utilizzabili; e la riproduzione delle pagine avveniva ricorrendo all’uso di un torchio tipografico. Per quanto riguarda gli amanuensi, questi non erano altro che copiatori, il cui risultato era unico e soggetto al rischio che fosse infirmato da errori di copiatura, scrittura, o altro.

Le prime notizie di stampa a caratteri mobili risalgono agli anni attorno al 1041 dopo Cristo, quando in Cina un certo Bi Sheng stampò scritti su supporti di carta usando caratteri mobili in porcellana, che erano validi, ma purtroppo anche fragili e si rompevano facilmente. Wang Zhen li sostituì con caratteri mobili in legno, migliorando le prestazioni, ma l’invenzione non incontrò la coralità che avrebbe meritato.

Solamente più tardi, precisamente nel 1377, nel coreano tempio Heungdeok fu stampato il libro Jikji, che è l’acronimo in lingua locale dell’Antologia di insegnamenti Zen dei patriarchi buddhisti del monaco Baegun, di cui resta una sola pagina: questo è il più antico libro, stampato usando caratteri mobili in bronzo, a disposizione degli studiosi di tutto il mondo nella Biblioteca Nazionale di Francia.

Dopo quasi un secolo, ci fu la stupenda applicazione di quella tecnologia da parte dell’orafo tedesco Johannes Gutenberg, nel suo laboratorio nella città di Mainz (per noi Magonza) nella Renania-Palatinato. Egli, nel periodo fra il 1436 e il 1440, mise in atto l’uso dei caratteri di stampa mobili, che fu un’invenzione che contribuì alla diffusione della cultura a livello mondiale. Che lui fosse a conoscenza oppure no di ciò che era stato già sperimentato a suo tempo in Cina e in Corea non è dato sapere da parte nostra; ma quello che conta è quanto di positivo Gutenberg sia riuscito a realizzare con l’aiuto del socio Johan Fust.

Per quanto riguarda le tecniche utilizzate da Gutenberg, per le lettere egli ricorreva a una lega di piombo, stagno e antimonio, che risultava affidabile come resa e resistente alle pressioni esercitate uniformemente dall’apposita attrezzatura, che non era niente altro che l’adattamento di una pressa usata per la vinificazione. I caratteri di stampa erano cubetti sui quali erano incise le lettere viste allo specchio. Questi venivano allineati in intelaiature che rappresentavano le righe del testo; una volta stampata la prima pagina e riscontrato che tutto era avvenuto come preventivato, se ne continuava la stampa fino al numero richiesto. Alla fine, le lettere erano riposte in ordine in cassettini, pronte per la volta successiva. Dopodiché, le pagine erano rilegate a formare i libri.

Sicché, veniva relegata in soffitta la tecnica usata in precedenza. Era, questa, la xilografia, termine di origine greca formato dall’unione dei termini «xylon» («legno») e «gràphein» («scrivere»). Per formare una pagina si usava un’asse di legno, sulla superficie della quale si scolpiva ciò che si voleva stampare, le si stendeva sopra inchiostro e sulla stessa si pressava il foglio di carta, con un torchio. Questa operazione era ripetuta per il numero di pagine da stampare, ma la pressione finiva per consumare la matrice, che pertanto diventava inutilizzabile e doveva essere sostituita.

La stampa a caratteri mobili ha il vantaggio che, essendo le varie lettere realizzate in metallo, separate le une dalle altre, possono essere sistemate a piacere, il che vuol dire che sono riutilizzabili, se non all’infinito, per un elevato numero di volte. Dopo aver stampato scritti vari, nel 1456 Gutenberg, preso il coraggio a due mani e con l’aiuto del socio, si cimentò nella stampa della Bibbia tradotta in latino da San Girolamo, detta pure Vulgata. Si trattò di un lavoro colossale, scritto in caratteri gotici, che comprendeva tutto l’Antico e il Nuovo Testamento, per complessive 1.282 pagine e per una tiratura di 180 copie. La Bibbia era a 42 linee, cioè 42 righe per pagina, con il testo suddiviso su due colonne.

Fu un lavoro che durò per ben tre anni, ma che alla fine diede soddisfazioni inenarrabili ai due stampatori. Furono stampate 180 copie, di cui 40 di lusso su pergamena e il resto su carta ottenuta dalla canapa prodotta in Italia; di queste solamente 48 sono sopravvissute fino a oggi.

Non fu una novità per quanto si riferisce al contenuto, ma lo fu in quanto poterono vedere la luce tante copie grazie a un dispositivo meccanico: pertanto, alle difficoltà oggettive che si incontravano in precedenza si sostituivano manovre molto più veloci, che portavano a risultati estremamente positivi. Non sarebbe male ricordare che forse quel periodo non sarebbe bastato a un amanuense per scrivere una sola copia.

Con quanto aveva fatto Gutenberg, la cultura ebbe un impulso verso l’universalità, dando la possibilità a tutti, studiosi o appassionati lettori, di avere a disposizione opere che, in precedenza, erano consultabili solo da una stretta cerchia di persone. E le stamperie si moltiplicarono il tutta l’Europa, essendo divenute una grande fonte di guadagno; di queste 40 erano in Italia e 90 in Europa già nel 1480. Fra quelle aperte in Italia, importanti furono quelle di Venezia: nel 1469, del Tedesco Giovanni da Spira; nel 1470, del Francese Nicolas Jenson; nel 1490, dell’Italiano Aldo Manuzio, che stampò opere di contenuto vario per essere diffuse in tutto il continente prima e in tutto il mondo poi, grazie ai prezzi che potevano essere abbastanza contenuti.

In definitiva, la maggiore velocità di produzione e l’allargamento del pubblico, che ne poteva godere i frutti, portò alla stampa di circa 30.000 titoli per un totale di 12 milioni di copie di tiratura nel periodo che andò fino al 1500; queste furono chiamate «incunaboli», facendo riferimento al termine latino «incunabola» («culla») per ricordare che furono le prime in senso assoluto.

Con la scoperta dell’America del 1492, la tecnica di Gutemberg arrivò insieme con i coloni e si diffuse rapidamente. Verso la metà del XVI secolo, iniziò a lavorare a Città del Messico la stamperia dell’Italiano Giovanni Paoli, divenuto noto come Juan Pablos; e ciò non fu che l’inizio di una diffusione senza limiti.

Interessante risultò la separazione fra le lettere «U» e «V», avvenuta attorno alla metà del XVII secolo, che facilitò la lettura dei testi.

In conclusione, il lavoro di Gutenberg ha avuto l’effetto di una di quelle rivoluzioni globali, che lasciano segni indelebili nella storia dell’umanità, tanto spesso costellata di fatti inspiegabili e inaccettabili e, di quando in quando, anche di fatti estremamente positivi, come nel caso considerato.

(luglio 2023)

Tag: Mario Zaniboni, stampa a caratteri mobili, caratteri fissi, amanuensi, caratteri mobili, Bi Sheng, Wang Zhen, Jikji, Gutenberg, Mainz, Fust, lega, pressa, intelaiature, pagina, Vulgata, incunaboli, stamperie, «U» e «V».