Il Santo Arcivescovo Antonino Pierozzi (1389-1459)
Eccellenze della Chiesa Fiorentina

Il Rinascimento, pur avendo riportato l’uomo al centro del pensiero filosofico e politico, non si è limitato a farne il massimo protagonista della vita associata. L’assunto trova specifica conferma anche nella storia di Firenze, dove una straordinaria fioritura delle arti, degli affari e della stessa gestione pubblica ebbe modo di confrontarsi utilmente col mondo dello spirito, portando un «contemperamento» non certo marginale in un rapporto capace di assumere toni drammatici, come accadde nella vicenda di Fra’ Girolamo Savonarola e nella sua tragica fine – per impiccagione e successivo rogo – avvenuta nel maggio 1498 in Piazza della Signoria, dove il suggestivo memoriale rotondo in granito ha tramandato fino ai nostri giorni il ricordo di quella dolorosa vicenda che coinvolse nella medesima pena anche i confratelli Domenico Buonvicini e Silvestro Maruffi.

La vita fiorentina dell’epoca aveva già visto al proscenio un protagonista non meno importante come il Santo Vescovo Antonino Pierozzi[1] che, pur senza indulgere al massimalismo messianico del Savonarola, intessuto di aspre fustigazioni per la crisi morale che allignava nel mondo, e con particolari accentuazioni proprio nella città gigliata, non aveva mancato di attirare l’attenzione comune, sia degli ottimati sia delle classi popolari, sulla necessità di prevenire un eccessivo rilassamento dei costumi, e naturalmente, di promuovere un sistema di governo più attento alle esigenze sociali, con riguardo prioritario al secolare e permanente problema della povertà.

Sant’Antonino, che fu definito col diminutivo dall’affettuosa premura dei fedeli, si distinse nella manifestazione di spiccate attenzioni per la cura delle anime, ma senza dimenticare le questioni della vita associata[2] tanto da intervenire contro la norma del voto palese per le nomine pubbliche, dall’affermare che avrebbe compiuto peccato mortale chi avesse violato il giuramento di fedeltà alle statuizioni del Comune, e dallo scegliere posizioni critiche nei confronti della pena capitale, esprimendo spunti moderni che non è azzardato definire avanzati, come quando dispose per l’abolizione della decima «speciale» ancora in vigore a supporto dell’azione ecclesiastica contro gli infedeli. Al bisogno, seppe dimostrare di poter utilizzare anche una notevole dote di coraggio, come accadde quando fece sentire la propria voce contro alcune iniziative oligarchiche, in specie del Pitti, o quando avrebbe criticato talune iniziative illiberali di Casa Medici, tanto da indurre la convocazione di una sorta di «Parlamento» idoneo a superare le sue riserve.

Conviene aggiungere che fu sempre fedele al Papa. Non a caso, avrebbe guidato – in età ormai avanzata – la delegazione fiorentina inviata a Roma in omaggio al nuovo Pontefice Pio II, il Senese Enea Silvio Piccolomini, mentre col predecessore Callisto III Borgia non aveva trovato una sintonia politicamente totale, quando aveva espresso perplessità a proposito delle questioni orientali. D’altro canto, bisogna pur dire che lo stesso Callisto III era pervenuto alla Cattedra di San Pietro, per l’appunto, poco dopo la conquista di Costantinopoli da parte musulmana: un evento, quest’ultimo, che aveva indotto una svolta di fondamentale importanza, non solo di carattere politico, ma prima ancora, di natura fideistica.

Il ricordo del Santo Arcivescovo Antonino, sempre vivo nella coscienza fiorentina, si deve alla vita intemerata del presule, e prima ancora, al suo amore per i poveri che ha fatto scuola in tanti uomini della Chiesa locale fino a tempi recenti: si pensi, solo per fare qualche nome del mondo ecclesiale, al grande Cardinale Elia dalla Costa e al suo ruolo nel drammatico periodo dell’emergenza bellica durante il Secondo Conflitto Mondiale; a Don Giulio Facibeni, cappellano della Prima Guerra Mondiale, e fondatore dell’Opera della Divina Provvidenza «Madonnina del Grappa» sempre cara al cuore di Firenze; a Don Luigi Stefani, esule da Zara e artefice di altre iniziative benemerite nel secondo dopoguerra (ma l’elenco potrebbe continuare lungamente). Per quanto riguarda il momento laico, è spontaneo ravvisare una sorta di continuità ideale con Sant’Antonino nella figura di Giorgio La Pira, il celebre Sindaco cattolico di Firenze dal 1951, vessillifero della lotta alla povertà nel fronte interno, e della pace planetaria in quello internazionale.

Fra le tante iniziative fiorentine, comprese quelle assunte da Antonino prima della nomina arcivescovile, è congruo ricordare la creazione dei «Provveditori per i Poveri Vergognosi» che risale al 1442 e ha continuato a vivere nei secoli. Infatti, tale istituzione ebbe lo scopo di venire incontro, fra gli altri, anche ai bisogni di una particolare categoria di poveri: quelli che si erano trovati in sopravvenute condizioni d’indigenza per vicende diverse di vita, ivi comprese quelle di carattere politico e finanziario, e che proprio per questo dovevano sopportare il peso aggiuntivo della «vergogna».

Momento di particolare significato nella vita dell’Arcivescovo fu la presenza a Roma nel febbraio 1447, in concomitanza con la scomparsa del Papa Eugenio IV. Infatti, Antonino si trovava nella Città Eterna per il cosiddetto «concordato dei principi tedeschi» che avevano fatto richiesta di perdono per le loro soverchie tentazioni autonomistiche, e con l’occasione ebbe modo di prestare assistenza spirituale al Pontefice morente, oltre a partecipare al successivo Conclave dove ottenne alcuni voti pur non facendo parte del Sacro Collegio Cardinalizio, non senza incontrare il nuovo Papa Niccolò V eletto il 6 marzo, che volle mutuarne utili suggerimenti. Non a caso, fra le varie attribuzioni gratificanti conferite al Santo Arcivescovo Fiorentino sin da quando era in vita, si annovera anche quella di «Antonino dei Consigli».

La permanente stima di cui avrebbe fruito anche nel mondo dei non credenti, trae motivi di ampia integrazione dalle opere che ha lasciato alla riflessione dei posteri: anzitutto, dalla Summa Theologiae (che avrebbe raggiunto la straordinaria cifra di dodici edizioni fra il 1477 e il 1741 al pari del Chronicon pervenuto a nove) dove – per citare solo alcuni momenti essenziali – analizza i peccati capitali in un’ottica di efficace realismo che preconizza talune riflessioni più recenti ma nello stesso tempo senza concessioni al compromesso; affronta temi essenziali della cosiddetta etica «economica» con la condanna a priori di «vizi» come l’usura e l’avarizia, estesa in parte al sistema bancario, di cui Sant’Antonino, peraltro, riconobbe l’importanza dal punto di vista del supporto funzionale agli investimenti, sulle orme di San Bernardino (in un’ottica analoga, aveva giudicato ammissibili le fluttuazioni di cambio).

Persisteva, naturalmente, l’idea della supremazia pontificia (il Papa è pur sempre il Vicario di Cristo) cui si giustappone quella del castigo divino, il cui esempio davvero apocalittico è costituito dalla peste: ecco un retaggio dell’epoca, che peraltro potrebbe trovare similitudini e aggiornamenti contemporanei non meno terribili. La Summa, del resto, non ha un valore limitato in larga prevalenza alla teoria, come si può dire per l’opera di San Tommaso, ma si distingue dichiaratamente per quello pratico, o se si preferisce, per l’orientamento a favore della vita cristiana.

Sant’Antonino Pierozzi era un pastore e pensatore di comprovata dottrina e di esemplare moderazione, con un’indubbia capacità di coniugare al meglio i nuovi principi dell’umanesimo assieme a quelli di una fede granitica e di costanti aperture al popolo, ma aveva soprattutto il grande dono dell’umiltà, e proprio per questo, avvertiva il diritto-dovere di parlare e scrivere in modo accessibile, in guisa da farsi comprendere da chiunque. Anche questa, a ben vedere, è una lezione di alto rilievo e di forte attualità, che s’inserisce in una tradizione di tutto rispetto[3] e che nel mondo contemporaneo si tende troppo spesso a dimenticare, ma che proprio per questo assume motivi di palese importanza etica e maieutica.


Note

1 Antonio Pierozzi, figlio del notaio Niccolò e orfano di madre sin da giovane età, era di esile costituzione fisica, tanto da essere passato alla storia col diminutivo di Antonino, conferitogli affettuosamente dai concittadini. All’inizio della sua formazione, frequentò le scuole di Santa Trinita e di Santa Maria Novella, dove ebbe per maestro il Beato Fra’ Giovanni Dominici che era stato discepolo di Santa Caterina; fu novizio domenicano all’età di quindici anni, e sacerdote nel 1413, quando aveva appena compiuto i ventiquattro. Dopo le prime esperienze di Cortona – dove ebbe per maestro il Beato Lorenzo da Ripafratta – e di Fiesole, fu a Napoli dal 1424 al 1430 per dirigere la comunità di San Pier Martire, che poi lasciò per assumere il priorato romano di Santa Maria della Minerva, già frequentato dalla stessa Santa Caterina, le cui spoglie trovarono apposita sistemazione nell’urna marmorea posta nella Cappella del Rosario di detta chiesa, proprio per iniziativa di Antonino. Al 1437 risale l’incarico di Vicario dell’Osservanza per tutta l’Italia, nel cui ambito, col favore di Cosimo dei Medici, promosse la cessione ai Domenicani del convento di San Marco dove divenne priore nel 1439, vigilando sui lavori di Michelozzo, incoraggiando l’opera dell’Angelico e promuovendo la povertà dei frati. Nel 1446 divenne Arcivescovo di Firenze per volontà di Papa Eugenio IV, che ebbe non pochi problemi per fargli accettare l’incarico quasi a forza (Antonino era fuggito a Fiesole): comunque, la sua opera pastorale fu ampia e proficua, traducendosi nel forte inserimento in confraternite come quelle del Bigallo e della Misericordia, nell’apostolato presso le parrocchie e nelle «Compagnie di Dottrina» fra cui lo Spedale degli Innocenti, destinato a ospitare orfani e trovatelli. Subito in odore di santità, ebbe un ruolo in alcune anticipazioni della futura riforma tridentina e si distinse, nello stesso tempo, per una salda manifestazione di fede nelle opere principali: la Summa Theologiae Moralis per l’istruzione di confessori e predicatori, con vaste ispirazioni tratte dai Padri della Chiesa ma anche da classici come Platone, Aristotele e Seneca; il Chronicon, che contiene un forte disegno di «edificazione morale» ma sempre improntato alla prudenza, non disgiunta dall’intento di evitare giudizi troppo personali; e diverse opere minori come la Summula Confessionis, lo Specchio di coscienza, la più nota Opera a ben vivere dedicata a Dianora e Lucrezia Tornabuoni (madre di Lorenzo il Magnifico) e la Regola di Vita Cristiana per Ginevra Cavalcanti, vedova di Lorenzo il Vecchio; senza dire delle Responsiones e dei Quaresimali (inediti presenti in Biblioteca Nazionale). Morì a Montughi, nella residenza di campagna, il 2 maggio 1459, pronunciando le celebri parole secondo cui «servire Dio è regnare» e lasciando solo 200 scudi ai nipoti Pietro e Giovanni dell’Ossa, col legato di distribuirne una parte ai poveri, che accorsero a migliaia al suo funerale.

2 Antonino Pierozzi fu elevato relativamente presto alla massima dignità degli altari, essendo stato santificato nel 1523, mentre nel 1960 Papa Giovanni XXIII lo avrebbe proclamato Dottore della Chiesa, in concomitanza col quinto centenario dalla morte, aggiungendo anche la proclamazione di compatrono della Diocesi Fiorentina insieme a San Zanobi. Cento anni prima, una statua di Sant’Antonino, opera di Giovanni Duprè, aveva trovato posto nel piazzale degli Uffizi quale nuovo importante riconoscimento, in aggiunta al busto dedicatogli dal Verrocchio, e quello del calco originario, presente nell’Oratorio di San Martino.

3 Le tradizioni dei Santi di Firenze, per origine o per acquisizione, sono notoriamente cospicue. A prescindere da San Giovanni Battista, Patrono della città, da Santa Reparata, la bambina di origini palestinesi martire del terzo secolo al tempo di Decio Imperatore, e da San Leonardo di Porto Maurizio (1676-1751), inventore della «Via Crucis» operante per parecchi anni nel convento di San Francesco all’Incontro, tutti di altra provenienza, furono almeno una dozzina quelli fiorentini in senso stretto. Oltre a Sant’Antonino Pierozzi si devono menzionare San Miniato, celebre per l’assenza di dolore in occasione di torture e per la capacità di ammansire le belve col segno della Croce, oltre che per il martirio sul colle dove è sorta l’omonima Basilica; San Zanobi (337-417), il Patrono della Diocesi – insieme a Sant’Antonino – passato alla storia se non anche al mito per il miracolo dell’olmo fiorito nell’attuale Piazza San Giovanni, compiuto nel gennaio 428 al passaggio delle spoglie in traslazione da San Lorenzo a Santa Maria del Fiore; i fratelli Sant’Andrea e San Neri Corsini, entrambi Vescovi di Fiesole nel XIV secolo, uno dopo l’altro, e sepolti rispettivamente in Santa Maria del Carmine e Santo Spirito; i sette Santi fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria e dell’Eremo di Monte Senario, sotto la guida di San Filippo Benizzi.

(febbraio 2024)

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