La notte di San Bartolomeo (notte del 23-24 agosto 1572)
La verità al di là delle leggende


Introduzione

Premessa d’obbligo: la fede cristiana, al contatto con il potere, specie politico, si pervertisce e ogni epoca ottiene questi risultati alla sua maniera. Esattamente 451 anni fa, nella notte tra il 23 e il 24 agosto del 1572, a Parigi, iniziava il peggior massacro della storia delle guerre di religione francesi, quello della tristemente celebre «notte di San Bartolomeo» (San Bartolomeo è l’Apostolo festeggiato il 24 agosto e la tradizione lo dice morto scuoiato); un massacro operato da cattolici ai danni dei protestanti e che rimase come una indelebile macchia sulla tramontante dinastia dei Valois e su tutta la Francia. Si calcola che a Parigi furono trucidate almeno 2.000-3.000 persone, anche se, come logico, i calcoli sono risultati sempre parecchio ardui; e l’eccidio del resto proseguì anche nelle province per più settimane[1]. Sul trono si trovava all’epoca Carlo IX, figlio di Enrico II e della famosa Caterina de’ Medici; da 12 anni la Francia era travagliata da scontri a ripetizione tra cattolici zelanti (cioè estremisti) e ugonotti (cioè calvinisti), e il recente matrimonio tra Enrico di Navarra, il futuro Enrico IV, e la principessa Margherita, sorella del Re e detta «Margot», avrebbe dovuto sancire la pace tra i due campi. Ma andiamo con ordine in questa vicenda oltremodo complicata.


Premesse per la discordia e prime guerre di religione

Il 30 giugno 1559, proprio mentre festeggiava con una serie di tornei e feste la pace di Cateau-Cambrésis appena conclusa con la Spagna, il Re Enrico II di Valois rimase vittima di un tragico e assurdo incidente: il suo contendente, Gabriele di Montgomery, lo prese in pieno al viso con la lancia di legno da torneo e, dato che la visiera del Re non era agganciata all’elmo, la lancia si andò a fracassare sull’occhio del Sovrano, trapassandoglielo e riempiendolo di schegge. Montgomery, tra l’altro, si era dapprima rifiutato di proseguire l’incontro, perché aveva già disarcionato il Re; ma Enrico II, da sportivo, e orgoglioso per di più, volle continuare nonostante la suppliche, anche di altri e della Regina. Era così andato incontro a un destino e a un’agonia orrendi; sarebbe morto, tra atroci sofferenze, solo il 10 luglio 1559[2]. Lasciava la vedova, Caterina de’ Medici, vari figli piccoli e un Regno in procinto di lacerarsi per la discordia.

I calvinisti erano detti anche ugonotti, o «huguenots», traduzione del tedesco «Eidgenosse», «confederato», termine in uso a Ginevra e incrociato con il nome del capo del partito anti-savoiardo, Hugues Besançon[3]; in Francia erano aumentati di numero e importanza negli ultimi 30 anni, ma avevano attirato negativamente l’attenzione fin dal 1534 con il cosiddetto «affaire des placards», quando avevano tappezzato Parigi e persino l’anticamera del Re (allora Francesco I, padre di Enrico II) di manifesti ostili alla Santa Messa. Per il Re questo equivaleva a un atto di lesa maestà; del resto, la religione in Francia, come in tutti i Regni confessionali d’Europa, era allora un affare di Stato: perciò, sia Francesco I, che Enrico II reagirono per anni in modo duro, inviando periodicamente al patibolo alcuni eretici facinorosi a mo’ di esempio. Ma finché c’era un Re giovane e forte sul trono, l’autorità regale del nascente Stato assoluto difficilmente avrebbe potuto essere messa in questione.

Le cose cambiarono e decisamente in peggio con la morte di Enrico II, morte che, paradossalmente dopo la pace con la Spagna, aprì una lunga serie di dissidi interni. Al di là della scissione religiosa, esisteva a Corte una seria rivalità tra i favoriti del Re e per responsabilità dello stesso Sovrano. Si contendevano infatti il suo favore il conestabile Anne di Montmorency, cioè il comandante dell’esercito e una sorta di padre sostitutivo per Enrico II; la celeberrima amante Diane di Poitiers, in realtà di 19 anni più anziana di lui, ma bellissima; e infine, la famiglia ducale dei Guise, originari della Lorena e che Enrico aveva privilegiato in modo particolare. A essi si aggiungeva la Regina Caterina, poco amata da Enrico, ma forte di ben dieci figli. Morto Enrico II e sbarazzatasi della rivale Diane, Caterina si trovò in una posizione di grande debolezza e alla mercé dei Guise, cattolici estremisti, mentre alcuni membri della famiglia di Montmorency si erano convertiti al calvinismo, così come alcuni principi di Borbone, cugini del Re. Ecco allora che la lacerazione tra cattolici e ugonotti nella Francia di fine XVI secolo non si può comprendere senza le rivalità feudali sottostanti: insomma, la religione c’entrava, ma fino a un certo punto. Del resto, si trattava di una religione vissuta in una maniera che non pochi, anche allora, avrebbero definito decisamente problematica.

Il problema dell’estremismo era ubiquo e affliggeva tanto cattolici, quanto protestanti. Infatti, da un lato questi ultimi si lanciarono in numerose violenze; aborrendo le immagini, distruggevano quadri sacri, reliquie e tabernacoli in gran quantità, il che costituiva per i cattolici un ovvio sacrilegio; inoltre, laddove prendevano il controllo di una regione, procedevano a eccidi o esecuzioni sommarie, per esempio di sacerdoti e religiosi, come successe a Nimes il 29 settembre 1567, quando vi vennero trucidati 80-90 cattolici (la «Michelade»). Città come Lione e Rouen subirono con l’occupazione ugonotta tali saccheggi e distruzioni, specie a danno delle chiese, da divenire dei focolai oltranzisti. Gli ugonotti avevano anche la pessima abitudine dei colpi di mano: come quando, nel 1560 ad Amboise, tentarono di rapire il giovanissimo Re Francesco II. La reazione di Caterina de’ Medici fu spietata: i responsabili furono impiccati a decine ai balconi del castello sotto gli occhi impassibili della Regina. Oppure, il 28 settembre 1567, con la famosa «sorpresa di Méaux», il principe di Condé tentò di impadronirsi della famiglia reale e apparve alla Regina madre come un traditore. Insomma, considerato che il cattolicesimo era una religione di Stato, i calvinisti apparivano quasi dei terroristi, non solo eretici, ma anche ribelli e sediziosi. Dal canto loro, i cattolici oltranzisti, specie a Parigi, erano aizzati da predicatori apocalittici, che attribuivano al Re il dovere di agire con violenza contro gli eretici, equiparavano questi ultimi al demonio e istigavano i loro correligionari a una «purificazione generale», cioè a un eccidio tale da sradicare gli eretici dal Regno di Francia, come se si dovesse procedere a un gigantesco fuoco purificatore in cui «Dio» avrebbe fatto le sue «vendette». Caterina de’ Medici vedeva tali predicatori come un pericolo e li detestava, non a torto[4]. Non furono pochi poi, anche tra i laici, quelli convinti in seguito che il massacro fosse stato voluto da Dio.

L’istigazione alla violenza era un po’ ovunque nelle alte sfere: Filippo II di Spagna sognava di sradicare il protestantesimo dal Regno di Francia con metodi non molto diversi dagli «autodafé» in voga nel suo Regno, Calvino incitava alla violenza, i Papi stessi non andavano troppo per il sottile. Eppure, non mancavano, da una parte e dall’altra, spiriti sufficientemente penetrati dal Vangelo da inorridire davanti a tali pretese. Sul lato cattolico, per esempio, si può ricordare il cancelliere Michel de l’Hôpital, che per vari anni sostenne con tutte le sue forze la politica di pacificazione della reggente de’ Medici (fino a che lei non lo rinnegò a partire dal 1566); di formazione agostiniana, egli scriveva, tra l’altro:

«…Quelli che hanno preso l’abitudine di non credere più che nelle armi, non temono più i supplizi dell’Inferno e il Tartaro. Si fanno beffe delle ricompense promesse ai buoni in cielo»[5].

Sul lato calvinista, Renata di Francia, figlia di Re Luigi XII e sposa di Ercole II d’Este, convertita al calvinismo e per questo estraniata dal ducato di Ferrara (che era feudo pontificio), scriveva chiaro e tondo a Calvino:

«Monsieur Calvino,

sono stanca che voi ignoriate come metà della gente si conduce in questo Regno e le adulazioni, i problemi che vi regnano, fino al punto di esortare le donnette semplici a dire che vorrebbero uccidere e strangolare con le loro stesse mani. Non è per niente la norma che ci hanno trasmesso Gesù Cristo e i suoi Apostoli e lo dico con tutto il sommo dispiacere del mio cuore per l’affetto che porto alla Religione e a quelli che ne portano il nome; e io non parlo di tutti loro, ma di una gran parte di quelli che conosco»[6].

La Regina madre Caterina de’ Medici fin dal 1559 era reggente per i figli: prima di Francesco II, morto sedicenne dopo appena un anno di regno nel 1560, poi di Carlo IX, incoronato quando non aveva che dieci anni e che morì di tisi nel 1574. Caterina è stata molto rivalutata dalla storiografia degli ultimi decenni[7]; era donna molto colta, intelligente, pragmatica e attivissima: ci restano di lei tonnellate di lettere, che le permettevano di mantenere un contatto continuo con le parti in lotta[8], continuò a negoziare anche in condizioni estreme e fece di tutto, bisogna riconoscerlo, per concludere degli accordi di pace; inoltre, possedeva una notevole sagacia politica e fu l’anima del Regno di Francia fino alla morte, nel 1589. I prolungati studi di Dénis Crouzet hanno dimostrato che la sua politica era animata dalla filosofia neoplatonica e che su questo zoccolo culturale poggiava il suo sogno di ristabilire l’armonia, sul modello di quella universale entro il Regno lacerato dalle lotte intestine[9].

Tuttavia, esistono anche le ombre: Caterina era troppo pragmatica e il suo stesso neoplatonismo finiva per renderla abbastanza indifferente al contenuto della fede (del resto, mostrava anche una netta superstizione); e sull’indifferentismo in materia di fede non si concludeva un granché, perché ella era incapace di comprendere le remore dogmatiche dei due gruppi contendenti. D’altro lato, era nota come dissimulatrice e manipolatrice: le traversie vissute quand’era ragazzina a Firenze, quando era rimasta orfana dei genitori (Lorenzino de’ Medici e Margherita de la Tour d’Auvergne) e allorché i Medici venivano ripetutamente cacciati e richiamati in città, il soggiorno alla Corte Papale dello zio Clemente VII e il lungo periodo in cui era stata considerata alla Corte di Francia un pessimo partito per il delfino e per di più sterile, le avevano insegnato a dissimulare e a essere impenetrabile. I suoi interlocutori politici lamentavano che con lei non si era mai sicuri di che cosa pensasse: così, Filippo II (duro, ma più prevedibile), la chiamava, e non era il solo, la «Reine Serpente» (la «Regina Serpente»). Inoltre, ella mancava di coerenza politica: cioè, compì varie giravolte, affidandosi ora ai Guise (come subito dopo la morte di suo marito), ora favorendo gli ugonotti (come fino al 1562), ora riaccogliendoli a Corte (come avvenne all’Ammiraglio Gaspard de Coligny poco prima della stessa strage di San Bartolomeo), ora reprimendo questi ultimi con ferocia. Sospetto inoltre che nelle sue negoziazioni talora vedesse le cose più per come le voleva, che per come erano: amava per esempio i riti di riconciliazione in cui i vecchi nemici si abbracciavano e baciavano… per poi continuare a odiarsi cordialmente. Queste debolezze la rendevano piuttosto ostica agli ugonotti che, come ovvio, non se ne fidavano, senza che la parte cattolica oltranzista se ne fidasse di più.


«Questo matrimonio non s’ha da fare…»

Dal 1560 e fino al 1572 erano scoppiate ben tre guerre di religione (fino al 1598 sarebbero state otto), che duravano poco, è vero, di norma un anno o giù di lì, ma che lasciavano delle devastazioni e delle ferite immani. Dopo la pace di Saint Germain, nel 1572 Caterina de’ Medici si lasciò prendere ancora dal suo «sport» preferito: organizzare i matrimoni dei figli. Forse mostrerò un certo disincanto sul soggetto, ma Caterina si comportava come la tipica madre italiana – di ora e di allora – che sogna solo di sistemare i figli in posti quanto più prestigiosi possibile, con manovre anche inverosimili (forse anche per rifulgere di luce riflessa). Nel 1573 ottenne il Regno di Polonia per il figlio prediletto Enrico, che ignorava tutto di quel Paese e non sapeva neanche parlare con i suoi dignitari in latino; Enrico dovette poi fuggire dalla Polonia nel 1574, quando morì il fratello Carlo IX, per succedergli. Ma per Caterina erano soprattutto i matrimoni il suo forte, anche i più improbabili: diede la figlia Elisabetta in sposa a Filippo II di Spagna (di 18 anni più vecchio), sognò di accasare prima Enrico (nato nel 1551), poi l’ultimogenito Francesco (nato nel 1555) addirittura con la protestante Elisabetta I d’Inghilterra (nata nel 1533), che per differenza d’età avrebbe potuto essere la loro madre, infine, non si contano i progetti matrimoniali e i castelli in aria che lei eresse alle spese della figlia meno amata, Margot. L’avrebbe persino voluta far sposare con Don Carlos, il figlio impazzito di Filippo II (morto nel 1568). Dopo la pace di Saint Germain, Caterina si adoperò per un altro matrimonio assolutamente improbabile, ma che avrebbe dovuto pacificare le due fazioni religiose (almeno nei suoi auspici): Margot avrebbe dovuto sposare il cugino e capo del partito protestante, Enrico di Navarra (futuro Enrico IV).

Questo matrimonio nacque sotto una cattiva stella e per più motivi. In seguito sarebbe stato annullato sulla base che Margot vi era stata obbligata; per di più, i due sposi, per quanto giungessero a un certo grado di amicizia, non ebbero mai la benché minima compatibilità, tanto che ebbero entrambi delle vite sessualmente molto promiscue, ma si tennero costantemente alla larga l’uno dall’altra (in sostanza, accettavano come amanti tutti, tranne il o la coniuge). Ma il peggio era che un matrimonio del genere non poteva che aizzare le paure e la disapprovazione di cattolici e protestanti in una volta: e la richiesta della dispensa papale non poteva certo bastare a quietare gli animi, anche perché la Regina si affrettò alla celebrazione ancor prima che la dispensa arrivasse. Il rito fu celebrato il 18 agosto 1572 ed Enrico di Navarra non poté neanche entrare in chiesa per la celebrazione; lo scambio delle promesse matrimoniali avvenne sul sagrato, fra i cattolici vestiti di vari colori e i calvinisti sobriamente abbigliati di nero. A buona parte della popolazione cattolica (estremista) della città di Parigi, ma anche ai calvinisti, una cerimonia del genere apparve un vero e proprio affronto, un sacrilegio, e non furono pochi quelli che alzarono la voce contro di essa. Ma c’era anche un altro fattore che aggravava quella che, a mio modesto avviso, fu l’imprudenza dei reali: migliaia di ugonotti convennero nella città, per di più nel caldo di agosto, col rischio palese che le collere fino ad allora sopite esplodessero da un momento all’altro, su entrambi i fronti. In definitiva, bastava una scintilla perché scoppiasse l’incendio.


Il massacro

È da secoli che gli storici discutono sulle responsabilità dell’eccidio e Dénis Crouzet ha sottolineato più volte, nei volumi cui qui si rimanda, che le fonti forniscono una gran numero di versioni; tuttavia, a mio avviso, è bene distinguere le varie fasi dei fatti, che richiedono valutazioni, probabilità e coinvolgimenti differenti.


I atto: l’attentato a Coligny

Quando, finiti i festeggiamenti per le nozze, riprese l’attività di governo, il mattino del 22 agosto 1572 l’Ammiraglio di Coligny, il capo più prominente della fazione protestante, tornava a piedi da un consiglio reale tenutosi al Louvre dalla sua dimora in Rue de Béthizy (oggi Rue de Rivoli). Mentre si chinava per riallacciarsi una scarpa davanti a una casa vicina appartenente al duca d’Aumale (un membro dei Guise) si udì uno sparo: il sicario Maurevert, sicuramente protetto dai Guise, gli spezzò il braccio sinistro e l’indice della mano destra, ma lo avrebbe ucciso se lui non si fosse piegato. L’Ammiraglio era odiatissimo, perché era il difensore più rigido della causa protestante e insisteva per aiutare militarmente i rivoltosi protestanti dei Paesi Bassi contro Filippo II. È chiaro che i Guise, i quali continuavano ad accusare Coligny della morte del loro duca François – avvenuta nel 1563 per un’imboscata – portavano una responsabilità considerevole nell’attentato; ripeto, il problema era anche e soprattutto la faida tra clan rivali e in questo caso i Guise ritenevano di non avere mai ricevuto giustizia. Ma è rimasto aperto un interrogativo: la Regina madre ebbe un ruolo nell’attentato? C’è chi pensa di no (come Crouzet), perché ella stava cercando in tutti i modi di conseguire la pace con il matrimonio della figlia; ma il personaggio di Caterina de’ Medici non era immune da incoerenze, per cui potrebbe, come sostiene Léonie Frieda[10], essere stata tra i mandanti perché riteneva Coligny pericoloso e ne era gelosa: Coligny era considerato infatti un mentore da parte del figlio Carlo IX, su cui lei avrebbe preteso un’influenza esclusiva.


II fase: l’esecuzione dei capi protestanti

A questo punto, divenne molto difficile trattenere i capi protestanti, i quali reclamavano giustizia (o piuttosto vendetta) a gran voce; i Guise si chiusero in casa. Si giunse così alla riunione segreta al Louvre tra alcuni alti esponenti del partito cattolico, vari appartenenti alla famiglia Guise, la Regina e il figlio Enrico la notte del 23 agosto 1572: e fu allora decisa l’esecuzione di alcune decine di capi protestanti, a partire dallo stesso Coligny. La manovra si sarebbe ripetuta in seguito, quando nel 1589 Enrico, ormai Re, avrebbe ordinato l’uccisione di Enrico di Guise, allora popolarissimo e ritenuto dal Sovrano una minaccia, e del fratello Cardinale di Lorena; si noti che Enrico, duca d’Angiò, era il figlio prediletto di Caterina, quello probabilmente più vicino alla sua indole e alle sue decisioni; ed egli fu difatti molto attivo quella notte. Per quanto riguarda il Re Carlo IX, è probabile che Caterina lo abbia convinto con lo spettro di un colpo di mano protestante, scaturito dall’attentato a Coligny, ma può darsi che dapprincipio egli non sapesse nulla. In effetti, il Re era considerato autorizzato alle esecuzioni sommarie in casi estremi: ma che questa fosse una via politicamente praticabile, era un altro paio di maniche.

Comunque, questo significa che, all’una e mezzo di notte del 24 agosto 1572, al rintocco della campana di Saint Germain-d’Auxerre, file di guardie reali, di soldati e di Svizzeri cominciarono le esecuzioni sommarie cogliendo di sorpresa prima al Louvre, poi nei pressi, coloro i cui nomi si trovavano su di una lista di proscritti, lista che, non a caso, non fu mai ritrovata. Il primo a cadere fu Gaspard de Coligny: fu ucciso nel letto in cui giaceva malato dal capitano boemo Charles Danowitz, quindi il suo corpo fu gettato dalla finestra, eviscerato, evirato e decapitato in cortile, infine gettato nella Senna e ripescato per poi essere trascinato per le strade da dei bambini(!) e appeso per i piedi alla forca di Montfaucon, il luogo delle esecuzioni ufficiali. Secondo alcune fonti, quali il celebre cortigiano Brantôme, la testa fu fatta imbalsamare e inviata in dono al Papa (qualcun altro dice al duca d’Alba).

In questo orrore si possono già operare due osservazioni capitali: primo, il venire meno di tutte le regole secolari della cavalleria in un conflitto che da entrambe le parti non aveva più remore; secondo, il fatto che pure i bambini dai sei anni in su partecipavano alle torture ed esecuzioni degli eretici, come se la loro «innocenza» costituisse un ingrediente in più per questi rituali, che si volevano ispirati ai castighi biblici; il che è tutto da vedere, dato che alcune fonti li descrivono a bestemmiare e ciò lascia intendere a che punto venissero manipolati e il loro candore stravolto dagli adulti[11]. Ma purtroppo, l’eccidio non si fermò qui.


III fase: il massacro vero e proprio

Si è discusso molto sulla responsabilità dei reali per la fase in cui invece l’eccidio andò ben oltre le decine di esecuzioni sommarie previste: i protestanti, ovviamente di parte, accusarono i Valois e «in primis» Caterina de’ Medici, di averli attirati con l’inganno nella capitale per poi sterminarli e che quindi ci fosse premeditazione. In realtà, non ne esiste alcuna prova e gli ugonotti, per motivi comprensibili, da tempo soffrivano di una sorta di ipersensibilità, che li induceva a vedere complotti dappertutto. Ora però, già l’idea che il Re, per quanto assoluto, potesse darsi a una serie di esecuzioni sommarie senza preavviso, a tradimento e sulla base di quello che, in sostanza, era il suo arbitrio personale, era di per sé molto, ma molto pericolosa e tale da dare fuoco alle polveri persino in tempi normali: non a caso i protestanti parlavano di diritto di resistenza al tiranno (e agivano di conseguenza). Ma che un ordine del genere venisse dato in una città come Parigi, caricata a molla contro gli ugonotti da predicatori fanatici, in un momento in cui i protestanti abbondavano in città e certi cattolici non aspettavano altro che di farli fuori, in un’atmosfera surriscaldata da varie concause e non solo a livello meteorologico, è semplicemente folle. Come potevano pretendere o prevedere, Caterina, Enrico o anche Carlo IX, che la situazione non sarebbe degenerata?

Già le guardie che cominciarono a inseguire gli ugonotti al Louvre e che non vedevano l’ora di fare piazza pulita di loro, non risparmiarono nessuno che capitasse loro a tiro e indulsero a non pochi eccessi: la stessa Margot si vide piombare in camera un poveretto ferito e che la supplicò di salvarlo, cosa che lei, spaventatissima e con la camicia macchiata del suo sangue, riuscì a ottenere dal capo delle guardie. Ma quando altri cittadini, borghesi o armati si resero conto di quanto accadeva, al massacro non ci fu più limite e confine: e la violenza degenerò. Oltre agli alti dignitari protestanti, spesso validi militari, la strage si allargò anche ai poveri, convenuti a Parigi per i festeggiamenti; furono massacrate famiglie intere, compresi donne e bambini; morivano quasi tutti sgozzati, talora anche eviscerati e mutilati, e le donne incinte venivano sventrate; «ceste piene di bambini piccoli morti o morenti furono gettate nella Senna»[12], così come i corpi, da tanti che erano. Nei cortili del Louvre si ammassavano mucchi di cadaveri. I beni degli uccisi vennero depredati; non pochi, inoltre, approfittarono del caos per regolare conti personali ed eliminare creditori, vicini scomodi e nemici, molti anche cattolici. Tuttavia, non tutti i cattolici impazzirono: alcuni salvarono da morte certa degli ugonotti in fuga, altri si chiusero in casa per la paura. Per quanto riguarda il Re e la Regina, è giocoforza però ammetterlo: anche se non premeditarono l’eccidio, ne furono comunque politicamente responsabili (specie Caterina), dato che ne avevano fatto scaturire le prime scintille. Non a caso, dopo la morte di Michel de l’Hôpital, alcuni mesi dopo, fu diffusa una sua lettera latina, che implicava chiaramente il Re e in sostanza gli dava del criminale[13].

Nel corso del 24 agosto il Re si rese conto, con orrore, che non era in grado di fermare il massacro, nonostante i suoi ordini. Dal Louvre partirono a getto continuo dispacci reali volti a mantenere l’ordine nelle province e a spiegare che il Re non aveva alcuna responsabilità in quel che stava accadendo; poi, con la tipica incoerenza dei Valois, cominciò a circolare la notizia che gli ugonotti erano stati puniti per un complotto (tutto da dimostrare). Man mano che le notizie arrivavano nelle cancellerie di tutta Europa, si diffuse l’orrore, persino nella Spagna di Filippo II (che dapprima aveva gioito, credendo alla vittoria su di una congiura); racconti confusi non riuscivano a rendere conto del caos avvenuto. E intanto i massacri continuavano. Infine, Carlo IX dovette procedere a quello che forse era l’unico atto possibile per frenare la carneficina: si presentò in Parlamento la mattina del 26 e avocò a sé e a sé soltanto la responsabilità dell’accaduto. Paradossalmente questo atto di assunzione di responsabilità frenò la mattanza, che cominciò a spegnersi, anche se i massacri proseguirono in provincia fino a ottobre, col risultato di portare alla morte forse 25.000-30.000 persone. Forse non sono molto lontani dal vero quegli storici secondo cui la notte di San Bartolomeo condusse alla morte lo stesso giovane Re, schiacciato dai rimorsi, e pesò poi come un macigno sul successore Enrico III, ucciso a sua volta da un monaco fanatico.


Conclusione

Sarebbe lungo spiegare le numerose interpretazioni che sono state proposte di questi fatti atroci, volte spesso a sfumare le responsabilità dei reali[14]: Crouzet, per esempio, cerca di spiegare l’assunzione di responsabilità e l’accettazione della violenza da parte di Carlo IX e Caterina con il neoplatonismo, una filosofia basata sulla «concordia oppositorum», la «convergenza dei contrari», quindi anche di amore e odio, pace e violenza[15]. Una spiegazione molto erudita e possibile, ma, secondo me, come scusa a posteriori. Altri, come Bourgeaud, hanno pensato a una rivolta aizzata dai Guise, con l’ausilio della Spagna di Filippo II. Ritengo tuttavia che le varie spiegazioni offerte da storici recenti non abbiano sufficientemente preso in considerazione l’aspetto irrazionale della violenza, che trascina oltre ogni limite: un irrazionale che albergava negli stessi reali. È vero che Caterina fece di tutto per giungere alla pace: ma la pacificazione era subordinata in lei alla volontà ferrea di conservare il Regno per i figli. Se questo veniva posto in pericolo, anche lei rinunciava allora a ogni remora; e non era immune dalla gelosia. Ritengo quindi che la radice prima dell’eccidio, oltre al fanatismo religioso, sia stata la volontà di mantenere il potere a tutti i costi in un momento di relativa debolezza della dinastia: e questo non solo da parte dei Valois, ma anche delle famiglie principesche che si azzannavano in campo. Il potere pervertisce la fede: e come sosteneva Michel de l’Hôpital, che osservava «un mondo alla rovescia», in cui la religione portava alla guerra:

«Se si tratta della religione cristiana, quelli che la vogliono piantare con le armi, spade e pistole, vanno proprio contro la loro professione, che è di subire la forza, non di farla»[16].

Note

1 Sull’argomento si veda soprattutto Dénis Crouzet, La Nuit de la Saint-Barthélemy: un rêve perdu de la Renaissance, Paris, Fayard, 1994; Léonie Frieda, Caterina de’ Medici, Firenze, Giunti, 2022 (I edizione inglese, London, 2003); Irene Mahoney, Madame Catherine, London, 1976; Joel Cornette, Le Roi absolu. Une obsession française. 1515-1715, Paris, Tallandier, 2022.

2 Confronta Léonie Frieda, Caterina de’ Medici, Firenze, Giunti, 2022 (I edizione inglese, London, 2003), pagine 23-35.

3 Confronta Ugonotto, «Enciclopedia Treccani», https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/ugonotto/

4 Confronta Dénis Crouzet, Le haut cœur de Cathérine de Médicis. Une raison politique aux temps de la Saint-Barthélemy, Paris, Albin Michel, 2005, capitolo 6.

5 Citato in Dénis Crouzet, La sagesse et le malheur. Michel de l’Hospital, chancelier de France, Seyssel, Champ Vallon, 1998, pagina 237.

6 Lettera di Renata di Francia citata in Odette Turias, Renée de France, duchesse de Ferrare, témoin de son temps 1510-1575, tesi di dottorato diretta da Michel Vergé-Franceschi, Università di Tours, 2 volumi, dicembre 2004, tomo 1, pagine 368-375, citata in Dénis Crouzet, Le haut cœur de Cathérine de Médicis. Une raison politique aux temps de la Saint-Barthélemy, Paris, Albin Michel, 2005, pagine 130-131. La «Religione» per antonomasia all’epoca era, almeno in Francia, il calvinismo.

7 Fin da Ivan Cloulas, Cathérine de Médicis, Paris, 1979 (tradotto in italiano da Sansoni, Firenze, nel 1980).

8 Le numerosissime lettere di Caterina de’ Medici sono pubblicate in Hector de la Ferrière-Percy, Gustave Baguenault de Puchesse, André Lesort (éd.), Lettres de Catherine de Médicis, Paris, Imprimerie Nationale, 1880-1943, 11 tomi.

9 Confronta Dénis Crouzet, Le haut cœur de Cathérine de Médicis. Une raison politique aux temps de la Saint-Barthélemy, Paris, Albin Michel, 2005.

10 Confronta Léonie Frieda, Caterina de’ Medici, Firenze, Giunti, 2022 (I edizione inglese, London, 2003), pagina 399 sulla riunione preparatoria dell’attentato, che sarebbe stata tenuta dalla Regina.

11 Su questo aspetto, si veda Dénis Crouzet, Les Enfants bourreaux au temps des guerres de Religion, Paris, Albin Michel, 2020.

12 Cito da Léonie Frieda, Caterina de’ Medici, Firenze, Giunti, 2022 (I edizione inglese, London, 2003), pagina 416.

13 Confronta Dénis Crouzet, Le haut cœur de Cathérine de Médicis. Une raison politique aux temps de la Saint-Barthélemy, Paris, Albin Michel, 2005, capitolo 31.

14 Si veda un’utile sintesi in Joel Cornette, Le Roi absolu. Une obsession française. 1515-1715, Paris, Tallandier, 2022, pagine 119-123.

15 Confronta Dénis Crouzet, Le haut cœur de Cathérine de Médicis. Une raison politique aux temps de la Saint-Barthélemy, Paris, Albin Michel, 2005.

16 Confronta Dénis Crouzet, La sagesse et le malheur. Michel de l’Hospital, chancelier de France, Seyssel, Champ Vallon, 1998, citazione a pagina 242.

(ottobre 2023)

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