Roma nel Rinascimento: la Capitale del Mondo
Dalla decadenza all’inizio di un periodo di grande splendore: dallo Scisma d’Occidente al Pontificato di Niccolò V

È Gregorio XI a riportare, definitivamente, il Papato a Roma. Siamo nel 1377. La Città Eterna è squallida e immiserita: la Basilica di San Paolo è in rovina, quella di San Pietro tatuata di crepe, il Laterano semidistrutto da un incendio, greggi di pecore pascolano al Colosseo[1]; strade fangose, selciati sconnessi e cariati di pantani, mura diroccate, palazzi cadenti, casupole ammucchiate alla rinfusa, nessuna industria, plebi cenciose. I Cardinali Francesi, che governano gli Stati della Chiesa (Lazio, Umbria, Marche e Romagna, per un totale di circa 26 città) in veste di Legati Pontifici, si sono comportati come proconsoli in terra di conquista, dissestando le finanze e mandando in rovina tutta l’opera pacificatrice del Cardinale Albornoz; i nobili spadroneggiano dai loro castelli: Caetani, Orsini, Colonna, le famiglie più in vista, dettano legge, fomentano sommosse, tramano complotti, aizzano il popolino sempre pronto a scendere in piazza e a menare le mani per un tozzo di pane. L’Urbe manca di una borghesia mercantile e imprenditoriale capace d’inserirla in un circuito economico vasto e dinamico, come avviene a Firenze, a Milano e nella maggior parte delle città del Nord Italia: si dedica esclusivamente alla pastorizia e al minuto commercio. La plebe vive di elemosine, i nobili di rendita e di rapine, il clero di decime, di usure e di simonia. Usciti di città, si presenta un aspetto ancora più squallido al viaggiatore: nell’agro romano infuria la malaria, le paludi non vengono prosciugate.

Alla scomparsa di Papa Gregorio, i problemi si aggravano: il popolo assedia il Laterano, dove si tiene il Conclave per l’elezione del successore, minacciando di morte i Cardinali se non scelgono un Romano, o almeno un Italiano. I Cardinali sono sedici, in maggioranza francesi (gli Italiani sono solo quattro), ma di fronte al tumulto eleggono l’Arcivescovo di Bari, Bartolomeo Prignano, che prende il nome di Urbano VI. Poi, alcuni si rinchiudono in Castel Sant’Angelo, altri fuggono dalla città.

Sulla carta, Urbano VI avrebbe tutte le qualità che si possano desiderare: viene per nascita (Napoli) dal dominio angioino, ha grande pratica degli affari di curia, è stato a capo della cancelleria di Gregorio XI; si considera solo un soldato della Chiesa, è frugale, devoto, senza esibizionismi né ambizioni personali. Ma, una volta eletto Papa, annunzia un’immediata e radicale riforma della Chiesa partendo dal vertice, cioè dall’alto clero di cui, nelle sue pubbliche prediche, denuncia il malcostume in termini violenti; abolisce privilegi ed entrate dei Cardinali, minaccia di scomunica i simoniaci, crea Cardinali numerosi Italiani per riavere per sé la maggioranza nel Conclave. Se sia delirio di potere o eccesso di zelo, non è questa la sede per stabilirlo. Sta di fatto che i Cardinali Francesi, vedendo compromesso il loro primato, si ritirano e il 20 settembre 1378 coronano ad Avignone Roberto di Ginevra col nome di Clemente VII; costui è subito riconosciuto dal Re di Francia. È l’inizio di quella grande spaccatura che passerà alla storia col nome di Scisma d’Occidente: per un quarantennio, l’Europa sarà divisa in due parti, una comprendente gli Stati fedeli al Pontefice di Roma (gli Stati della Penisola Italiana, l’Impero, la Boemia, l’Ungheria, la Polonia, la Lituania, l’Inghilterra, la maggior parte dei Paesi Bassi, il Portogallo) e l’altra comprendente gli Stati che appoggiano l’antipapa di Avignone (la Francia, la Castiglia, la Scozia, l’Aragona, la Navarra, la Baviera, l’Austria). Ognuna delle due parti ritiene nulli i sacramenti somministrati dall’altra, e un’intera generazione europea vive senza sapere se è stata regolarmente battezzata e muore nel dubbio di aver ricevuto una valida assoluzione.

La questione, in realtà, non è religiosa ma politica: lo Scisma è frutto della formazione degli Stati Nazionali, ognuno dei quali vuole un Papa suo, che possa essere controllato dal potere centrale. È il tentativo da parte della Francia di conservare il vitale appoggio del Papato nel conflitto che la sta opponendo all’Inghilterra (la «Guerra dei Cento Anni») e in qualsiasi conflitto futuro con la Germania e con l’Italia. Ne è prova che, morti i due protagonisti, lo Scisma continua. Si cerca di porvi fine indicendo un Concilio a Pisa per il 1409, ma l’elezione d’un nuovo Pontefice, Alessandro V, cui segue dopo un anno Giovanni XXIII (l’Arcivescovo di Bologna Baldassarre Cossa) non fa che peggiorare la situazione, perché i Papi diventano tre. Sarà l’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo, in cerca di prestigio, ad indire un nuovo Concilio a Costanza, nel 1414: tre anni dopo, dismessi i tre Papi eletti contemporaneamente (Gregorio XII, legittimo, e Benedetto XIII e Giovanni XXIII, antipapi), viene eletto Martino V. È la fine dello Scisma: quando nel 1447 viene eletto Papa Tommaso Parentuccelli di Sarzana (Niccolò V), non fa più paura l’ultimo antipapa, il duca Amedeo VIII di Savoia.

Il compito di questo Papa non è punto facile: all’alba del Quattrocento, Roma occupa una superficie dieci volte inferiore a quella dei tempi d’Aureliano e coi suoi 60.000 abitanti è meno popolosa di Milano, Venezia e Firenze. Le mura sono diroccate, le torri appaiono mozze e sbrecciate, le strade disselciate e affogate in pozzanghere fetide e melmose vengono ripulite solamente nelle grandi occasioni come nei Giubilei e nell’entrata ufficiale di qualche personaggio importante, gli acquedotti intasati e slabbrati rendono difficoltoso e precario il rifornimento idrico, e molti Romani sono ridotti a bere l’acqua del Tevere. I Fori sono trasformati in putridi catini, il Colosseo e il teatro di Marcello sono adibiti a depositi d’immondizia, e il Campidoglio (chiamato Monte Caprino per le capre che brucano sulle sue pedici) è costellato di catapecchie sbilenche e maleodoranti. Il Palatino è una zona rurale, quasi deserta, e gli antichi palazzi da cui ha preso il nome sono cave di pietra polverose. La città del Vaticano è un piccolo sobborgo al di là del fiume, rispetto al centro della città, e si addossa tutt’attorno al tempio di San Pietro in rovina. Vacche, pecore, maiali pascolano sui sagrati di chiese simili a ruderi, e i palazzi apostolici hanno perduto il nitore e il fasto d’un tempo. Col buio nessuno osa uscir di casa e avventurarsi per le strade, propizie agli agguati e infestate dai briganti: la vigilanza notturna è scarsa e complice di coloro che dovrebbe contrastare. Pestilenze e carestie decimano la popolazione più delle guerre.

Niccolò V nasce a Pisa, figlio di un chirurgo, cresce in povertà a Sarzana, si laurea in teologia a Bologna, poi a Firenze viene a contatto con gli umanisti e sprofonda negli studi classici: legge avidamente gli autori latini e greci, partecipa alle dispute letterarie e filosofiche e spende tutto quello che guadagna in manoscritti. Formula la speranza che, un giorno, le sue possibilità finanziarie bastino per raccogliere in una sola biblioteca tutti i grandi libri del mondo: la Biblioteca Vaticana trae origine da questo desiderio. È unicamente per meriti culturali che viene fatto prima Cardinale e poi Papa.

Niccolò V

Peter Paul Rubens, Papa Niccolò V, 1612-1616, Museo Plantin-Moretus, Anversa (Belgio)

Niccolò V si propone tre scopi: essere un buon Papa, ricostruire Roma e riportare in vigore la letteratura classica, lo studio e l’arte.

Sotto il suo Pontificato, Roma vive uno splendido periodo: la città si trasforma, perde il suo carattere medioevale, scompaiono i quartieri angusti e maleodoranti. Vengono riparate le mura, restaurate basiliche, conventi, chiese, palazzi, innalzati nuovi edifici, tracciate e pavimentate strade, costruiti ponti, fogne e acquedotti; dopo aver rimesso in sesto l’acquedotto dell’Acqua Vergine, al suo sbocco fa innalzare una fontana ornamentale. Spende migliaia di scudi per pagare architetti come Leon Battista Alberti (a cui affida il progetto di palazzi, piazze pubbliche e viali spaziosi, riparati dal sole e dalla pioggia per mezzo di portici ad arcate) e Bernardo Rossellino (per ripristinare San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, San Paolo e San Lorenzo fuori le mura) o pittori come Andrea del Castagno e il Beato Angelico (che incarica di decorare le sale del Vaticano). In occasione del Giubileo del 1450, che vede affluire a Roma 100.000 pellegrini (un giorno, 200 persone rimangono uccise in un pigia-pigia che trascina molti nel Tevere), per facilitare l’accesso a San Pietro fa demolire numerose case; richiede che la città accolga i visitatori con «edifici maestosi, che unissero in sé buon gusto, bellezza e proporzioni grandiose» e che «giovassero immensamente all’esaltazione della Cattedra di San Pietro». Presta persino denaro a cittadini eminenti, per aiutarli a costruire palazzi che siano di ornamento a Roma.

Il Pontefice, profondendo somme immense, fa dell’Urbe un grande centro di cultura: vi chiama molti studiosi, fonda la Biblioteca Vaticana (5.000 volumi, la più grande raccolta di libri del mondo cristiano), compera preziosi manoscritti; affida a Lorenzo Valla la traduzione in latino di Tucidide per 500 ducati, ne paga altrettanti a Niccolò Perotti per quella di Polibio, commissiona a Guarino da Verona quella di Strabone per 1.500 ducati, dona a Filelfo – in cambio della versione latina dei poemi omerici – una bellissima casa a Roma, una vasta tenuta in campagna e 10.000 ducati. Offre 5.000 ducati per chiunque gli procuri il Vangelo secondo Matteo nella lingua originale, incarica Giannozzo Manetti e Giorgio di Trebisonda di tradurre Cirillo, Basilio, Gregorio Nazianzeno, Gregorio di Nyssa ed altri letterati patristici, e dà al Manetti e ai suoi aiutanti il compito di fare una nuova versione della Bibbia, dagli originali ebraici e greci. Si circonda di una Corte composta di scrittori, poeti, artisti, che tiene ai propri stipendi e colma di favori; se li porta dietro quando viaggia, discute familiarmente con loro di Orazio, di Virgilio, di Aristotele. La sera si chiude nel suo studio e fino all’alba rilegge le traduzioni che gli umanisti gli approntano, e che poi fa rilegare in velluto rosso e riporre in eleganti scaffali. Lui stesso è calligrafo, fa accuratamente trascrivere le sue traduzioni su pergamena, da esperti scrivani, e i fogli vengono assicurati con fermagli d’argento.

L’unico evento drammatico di un Pontificato senza scosse è l’esilio a Bologna e poi la decapitazione di Stefano Porcaro, che tenta di sobillare il popolo alla rivolta, arrivando anche a progettare un assalto al Vaticano, per la restaurazione della Repubblica.

Niccolò V muore nel 1455, a 58 anni, di gotta e di crepacuore, dopo aver tentato invano di lanciare i principi cristiani d’Europa alla riconquista di Costantinopoli, caduta nelle mani dei Turchi. Un cronista dedica a questo Papa modesto e competente, ma non amato dal popolo, l’epitaffio: «Fu giusto, saggio, benevolo, magnanimo, pacifico, affettuoso, caritatevole, umile, virtuoso». È stato il primo Papa mecenate, il primo di una lunga serie. In meno di un decennio, ha lanciato Roma fra le grandi capitali europee: ha scritto Will Durant che sotto Niccolò V e dopo di lui per un secolo la Chiesa «diede alla mente italiana una libertà così ampia […] e offrì all’arte protezione, incoraggiamento e impulso tali, e con tale discernimento, da rendere Roma il centro del Rinascimento, facendole vivere una delle epoche più brillanti e felici nella storia del genere umano»[2]. Veramente, la Capitale del Mondo!


Note

1 Una profezia di Beda il Venerabile (VIII secolo) dice che Roma e il mondo sussisteranno finché il Colosseo si reggerà in piedi («Quamdiu stabit Colyseus stabit et Roma; / cum cadet Colyseus cadet et Roma; / cum cadet Roma cadet et mundus»). Ma, per la lontananza dei Papi da Roma, l’incuria rischia di far sparire il celebre monumento.

2 Will Durant, I secoli d’oro (volume V della collana Storia della civiltà), Arnoldo Mondadori Editore, 1957.

(gennaio 2015)

Tag: Simone Valtorta, Italia, Rinascimento, Roma, Amedeo VIII di Savoia, mecenatismo papale, Biblioteca Vaticana, Will Durant, profezia di Beda il Venerabile, Colosseo, Gregorio XII, Martino V, Tommaso Parentuccelli di Sarzana, Benedetto XIII, Niccolò V, Gregorio XI, Papato, Urbano VI, Giovanni XXIII, Clemente VII, Sigismondo di Lussemburgo, Scisma d'Occidente, Capitale del Mondo.