La nascita delle Signorie
L’alba di un’epoca nuova: principi, miliardari e condottieri

Gli anni che intercorrono tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento segnano un’epoca di enorme cambiamento nel panorama politico italiano: è il periodo in cui al Centro-Nord declina la grande istituzione del Comune e sorge, grazie all’intraprendenza di homines novi, una nuova forma di Governo – quella della Signoria, in cui il potere è nelle mani di un solo individuo, come in una piccola Monarchia assoluta!

Per comprendere le ragioni del passaggio dal Comune alla Signoria bisogna innanzitutto sapere bene come si governa il Comune. Dopo la grande vittoria su Federico Barbarossa, nel 1176, i cittadini dei Comuni Italiani possono considerarsi liberi e indipendenti: non più sottomessi all’autorità dell’Imperatore, si governano da sé, promulgano le leggi e nominano i propri rappresentanti. A capo del Comune vi sono due o più consoli: durano in carica un anno e hanno il compito di fare osservare le leggi che i cittadini emanano in Parlamento (o Arengo). Il Governo dei Comuni è dunque democratico (dal greco «dèmos», popolo e «cràtos», potenza), un Governo in cui il popolo può far valere i propri diritti: ma un tale sistema può sussistere solo col consenso dei cittadini!

Già nei primi tempi della storia dei Comuni, sono i cittadini nobili, discendenti delle antiche famiglie feudali, ad avere una posizione di primissimo piano: soltanto essi possono ricoprire la carica di console. Ma l’ambizione di arrivare a tutti i costi a questa massima carica pubblica fa scoppiare delle discordie tra le varie famiglie nobili, discordie che spesso si trasformano in vere e proprie zuffe e scontri violenti fra le vie della città. Per di più, alcuni nobili, ottenuta la carica di console, ne approfittano per imporre al popolo la loro autorità: proprio sul nascere, vengono messe in grave pericolo la pace e le libere istituzioni comunali.

Così i cittadini, per maggior sicurezza, preferiscono porre a capo del Comune un forestiero, al quale danno il nome di «Podestà»: un forestiero non darebbe motivo di discordia fra le famiglie nobili della città, ed inoltre è meno probabile che gli venga l’interesse di farsi tiranno, perché, dopo essere rimasto in carica un solo anno, viene rimandato al Paese di provenienza.

Ma anche questa non è che una fase passeggera perché, verso la metà del XIII secolo, la vita operosa e tranquilla di quasi tutti i Comuni Italiani viene turbata ancora una volta da gravissime discordie interne.

Questa volta la lotta scoppia violentissima fra i nobili e la borghesia, cioè quella parte del popolo che è rappresentata soprattutto da ricchi mercanti e grossi artigiani, e che reclama anche per sé il diritto di accedere alle più alte cariche del Comune, privilegio ancora concesso soltanto ai nobili. E poiché la nobiltà si mostra pronta a difendere le sue posizioni anche con la forza, la borghesia non esita ad armarsi: nomina infatti un «capitano del popolo», al quale dà l’incarico di tenere una guardia armata.

Da quel momento scoppia una vera e propria guerra civile: le due forze avversarie hanno scontri sanguinosissimi, riempiendo le vie cittadine di stragi e di rovine.

In alcuni Comuni la borghesia riesce a spodestare i nobili e ad accaparrare per sé le più alte cariche pubbliche. Ma ciò non porta la pace, perché la borghesia si trova a dover lottare a sua volta contro il popolo minuto (artigiani minori, piccoli commercianti, operai) che, scontento per essere escluso da ogni carica pubblica, decide di lottare per ottenere gli stessi diritti che la borghesia è riuscita a conquistare.

Se pensiamo che nel frattempo i Comuni, invidiosi l’uno della potenza dell’altro, si combattono tra loro, possiamo farci un’idea del grave disordine che ormai domina.

Di fronte a tanta rovina e a tanti odi spietati, non è più possibile salvare le libere istituzioni comunali: coloro che invitano la popolazione alla concordia e all’ordine per il bene del Comune non sono ascoltati.

Allora, i cittadini desiderosi di pace e di giustizia e decisi ad evitare maggiori disastri alla propria città, divengono propensi ad affidarne il Governo a un capo capace di farsi rispettare da tutti e di instaurare, anche con la forza, l’ordine e la tranquillità. Così, scelto il personaggio più energico e risoluto della città (di solito un uomo d’armi), lo creano «capitano del popolo» non più per un solo anno, come il Podestà, ma a vita.

Ecco come termina il suo discorso un cittadino di Padova, durante il Gran Consiglio del Comune del 1318: «Cittadini, per dare finalmente pace alla nostra città non c’è che un mezzo. Se riflettiamo un momento, non possiamo fare a meno di riconoscere che tutte le cose del mondo hanno un capo. Per esempio, le membra del nostro corpo obbediscono al cervello e gli animali seguono il loro pastore. Ebbene, anche i popoli hanno bisogno di un capo che li guidi. Scegliamo quindi un capo che governi da solo la nostra città, che faccia le leggi, che sia insomma il nostro Signore!». Tutti i consiglieri accettano questa proposta, e Giacomo da Carrara viene posto a capo della città.

È naturale che i «capitani del popolo» eletti a vita si considerino i capi assoluti della città: eliminano ben presto le cariche del periodo comunale, si fanno chiamare «Signori» della città e non permettono più che il popolo esprima la sua volontà. Il Comune si trasforma in Signoria, ossia in una piccola Monarchia assoluta!

A reggere le città italiane col titolo di Signori sono coloro che – grazie alla grande ricchezza che è affluita in Italia, al commercio florido, alle flotte che recano dall’Oriente sete e spezie – possono beneficiare di grandi capitali, i miliardari. Ma a farsi strada sono anche i grandi capitani e i condottieri.

Quello delle Signorie è un tempo di grandi personalità che si affermano o con l’astuzia, o con l’intelligenza, e più spesso col delitto.

Di solito, sono capi di milizie ad impadronirsi del Governo della città: con qualche buon matrimonio, sistemi di alleanze e un bel gruzzolo di soldi, i capitani di ventura riescono spesso a farsi riconoscere dall’Imperatore e dagli Stati vicini come Signori dei territori conquistati con le armi; ma è una fortuna instabile e che va sempre difesa con le armi dai nemici esterni ed interni, feriti nelle loro ambizioni e nei diritti. Le guerre si succedono alle guerre, e ciascun Signore cerca di ingrandire il proprio Stato a scapito del vicino; per difendersi dagli assalti dei nemici, i Signori costruiscono palazzi che sono vere e proprie fortezze. Il popolo non è più il protagonista di questa nuova epoca: viene relegato ai margini, in ombra. E fin da ora, si disinteresserà degli intrighi politici: per il popolo, un capo vale l’altro.

Tra il XIII e il XVI secolo, i principali Comuni d’Italia cadono sotto la Signoria di potenti famiglie. Uno dei primi Signori italiani è Ezzelino IV da Romano: egli domina su Treviso e sulle principali città del Veneto, e muore in battaglia nel tentativo d’impadronirsi di Milano (1259). Gli Estensi governano a Ferrara e a Modena. A Verona, quando il Podestà Mastino della Scala viene ucciso, suo fratello Alberto ne prende il posto e diventa Signore della città. A Padova dominano i Carrara, a Parma i Farnese, i Gonzaga soppiantano i Bonaccolsi a Mantova. Milano passa dai Torriani ai Visconti, e poi agli Sforza. A Firenze, s’impongono i Medici. In Piemonte si affacciano i Savoia con Umberto Biancamano, il cui figlio Oddone sposa la marchesa Adelaide.

Alcuni Comuni Italiani riescono però a non cadere sotto l’autorità di un Signore e divengono delle Repubbliche: le più importanti sono Genova e Venezia.

(maggio 2014)

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