«Ladri della Chiesa». I principi protestanti e le confische di beni cattolici
Il caso di Ulrich di Württemberg

Gli inizi del Protestantesimo sono stati segnati anche, purtroppo, da una lunga serie di appropriazioni indebite da parte dei nuovi gruppi religiosi alle spese di conventi e diocesi della Chiesa Cattolica. Lo studioso britannico Christopher Ocker parla di «Church robbers», «ladri della Chiesa»:

«Le chiese protestanti furono molto spesso erette sulla base di violazioni dei diritti ecclesiastici (i diritti sia del clero che di patroni laici), e la riorganizzazione della proprietà ecclesiastica da parte dei sostenitori di Lutero provocò centinaia di dispute legali contro questi “ladri della Chiesa”»[1].

Ovviamente, i Protestanti si difendevano dicendo che intendevano tutelare la fede agendo così; ma non era sempre vero, anzi: molto spesso le élites si lasciarono tentare dai cospicui beni di cui la Chiesa disponeva e che, di norma, servivano in particolare ai più bisognosi (o anche ad altri scopi, come insegnamento, cultura eccetera). Tuttavia, dopo la metà del XVI secolo si giunse a una lunga serie di accomodamenti pratici che posero fine alle cause: difatti, il numero dei casi discussi e delle diatribe fu impressionante. Ma furono soprattutto i principi (basti pensare a quanto fatto in Inghilterra da Enrico VIII[2]) ad approfittare al massimo di questo mezzo, per rimpinguare regolarmente casse statali esauste per i motivi più vari. Vediamo qui un caso emblematico, che forse potrà essere più significativo di una lunga spiegazione o di un’accurata statistica: è la storia del duca Ulrich di Württemberg (1487-1550), che fu forse il più accanito nelle confische dei beni cattolici.

Ulrich era diventato duca nel 1498 per volere dell’Imperatore Massimiliano d’Asburgo[3], quando questi aveva sottratto il ducato allo zio di Ulrich stesso, il duca Eberhard II. Il ragazzo aveva allora solo 11 anni: la sua educazione aveva lasciato molto a desiderare, soprattutto dal lato affettivo, dato che la madre era morta prestissimo, poco dopo la sua nascita, mentre il padre Heinrich era stato imprigionato fino alla morte a causa di una malattia mentale. Il ragazzo era stato cresciuto così da tutori, ma era ombroso, impulsivo e diffidente. Già da giovane, il suo governo suscitò non pochi malumori e il 1514 vide scoppiare una rivolta di contadini, provocata dal profluvio di tasse cui Ulrich ricorreva per finanziare le sue campagne militari e i suoi agi. In ogni caso, l’Imperatore gli fece sposare nientemeno che Sabina di Baviera, la figlia della propria amata sorella, Cunegonda, maritata a sua volta al duca Wilhelm IV di Baviera. Il matrimonio vero e proprio fu celebrato solo molto più tardi, nel 1511, quando gli sposi avevano rispettivamente 29 e 24 anni. Dal vincolo nacquero due bambini, Anna nel 1513 e Cristoph nel 1515. Ma la pacifica vita di famiglia si interruppe quando Ulrich si innamorò follemente di Ursula, figlia del siniscalco di Corte e moglie del cavaliere Hans von Hutten, addetto alla direzione delle scuderie e che a Corte non riuscì a tacere il proprio disappunto. Durante una partita di caccia nella foresta di Bobingen, nel 1516, i due uomini cominciarono una lite, che si concluse con l’omicidio di Hans da parte del duca (pare che Ulrich lo abbia pugnalato ben 7 volte).

Successe, come c’era da aspettarsi, il finimondo: la duchessa Sabina si rifugiò in Baviera dai suoi, il padre della vittima, Ludwig, e un altro parente, il celebre cavaliere Ulrich von Hutten, che poi si distinse nella rivolta dei cavalieri a sostegno di Lutero, attaccarono il duca con dei «pamphlet» di pubblica accusa (la pratica del «pamphlet» politico poi non sarebbe stata tralasciata da von Hutten); infine, l’Imperatore Massimiliano privò Ulrich del ducato e lo bandì con un editto dell’11 ottobre 1516. Non che però Ulrich avesse lasciato i suoi territori per davvero: ancora nel 1519, ben tre anni dopo, conquistò per proprio conto la libera città di Reutlingen, cosicché per rappresaglia la Lega Sveva invase il ducato e occupò il palazzo di Stoccarda (7 aprile 1519). A quel punto, a Ulrich non rimase altro da fare che fuggire dai suoi territori e rifugiarsi a Mömpelgard. Il 12 gennaio 1519, frattanto, moriva l’Imperatore Massimiliano, cui successe il nipote, il celeberrimo Carlo V d’Asburgo.

La Lega Sveva lasciò il ducato del Württemberg a Ferdinando, fratello di Carlo e ora arciduca d’Austria, cessione confermata da Carlo V nel 1522. Ulrich era quindi ormai fuori gioco, ma nel frattempo stava divampando lo scisma luterano: la scomunica ufficiale di Lutero fu comminata da Leone X nel 1521. Ulrich allora cercò degli alleati e li provò un po’ tutti: la Confederazione Elvetica, il Re di Francia, i contadini svizzeri, i contadini svevi riuniti da Hans von Bulgenbach in una fraternità evangelica, il landgravio Filippo di Assia, che si era convertito al Luteranesimo, altri principi preoccupati di contenere il potere asburgico, alcuni confederati svizzeri e, infine, svariati Luterani. Quando si formò nel 1530 la famosa Lega di Smalcalda, fondata da personaggi come il succitato landgravio d’Assia e dal principe elettore di Sassonia per contrastare la condanna di Lutero, Ulrich si rifece una verginità politica aderendo al nuovo movimento religioso con velleità da riformato modello: infatti, agli occhi dei Protestanti, Ferdinando, che portava il titolo di Re dei Romani (cioè di Germania) e concupiva persino la corona di Santo Stefano, quella d’Ungheria, appariva come una specie di usurpatore e avido accaparratore di potere e titoli, da contenere a ogni costo.

I veri nemici di Ulrich erano però i membri della Lega Sveva, tanto è vero che il duca si riappropriò del Württemberg quando il trattato di formazione della Lega non fu rinnovato nel 1534; invase così il territorio del suo ducato assieme a Filippo d’Assia e col sostegno del Re di Francia (che non mancava mai, quando si trattava di minare il potere degli Asburgo) e dei duchi di Baviera (udite, udite! I suoi cognati, fratelli di Sabina). Ulrich giunse a Stoccarda il 15 maggio 1534, esibendo uno stendardo che ostentava l’acrostico VDMIE (= «verbum Domini manet in aeterno», cioè Isaia 40,8, un versetto molto amato dai Protestanti). Il successivo 29 giugno l’arciduca Ferdinando dovette scendere a patti e si raggiunse il trattato di Kaaden: Ferdinando, che quale Re dei Romani non era accettato dai principi protestanti, decise di chiedere questo riconoscimento in cambio della restaurazione di Ulrich, che ritornò così in possesso del suo ducato.

Rimanevano però i debiti: grossi debiti. Per recuperare il ducato, Ulrich ne aveva contratti un po’ ovunque, soprattutto con Filippo d’Assia e con il Re di Francia. Non solo: il trattato di Kaaden prevedeva delle immunità da pagare al signore di Ulrich, Ferdinando stesso. Furono queste le premesse della più audace azione di confisca attuata nella Germania che si avviava a divenire per metà protestante: nel giro di soli due anni, dal giugno 1534 al giugno 1536, Ulrich si impossessò di tutti i benefici disponibili, comprese le rendite di ben 160 monasteri (come quello di Hirsau, dal cui sito ho ricavato numerose notizie), con religiosi e monache sbrigativamente indennizzati con una pensione e rispediti a casa (se intendevano rimanere, venivano sottoposti a predicatori luterani). I preziosi e veri e propri cumuli di tesori artistici in possesso di chiese e conventi furono trasportati a carrettate fino al tesoro di Stoccarda; e, come conclude Ocker:

«Such was Reformation Germany» («Questa era la Germania della Riforma»).

I predicatori luterani arrivarono a riempire i vuoti formatisi, inneggiando al fatto che la Santa Messa fosse stata eliminata e sostituita con servizi protestanti; così scrive con entusiasmo quantomeno ingenuo il teologo protestante Ambrosius Baurer, di Tubinga, in una lettera al collega zurighese Heinrich Bullinger, che riforniva Stoccarda di pastori[4]:

«Quanto al resto qui corre e viene glorificata la parola di Dio. È stata prescritta la riforma dello studio» (vengono citati poi vari teologi e altri studiosi, medici, giuristi, docenti di lingue convocati o esortati a unirsi alla locale Università, con ottimi stipendi).

«A Stoccarda, Herrenberg, Canstatt eccetera la Messa papistica è stata del tutto estinta, non per il fatto che il principe l’abbia abrogata per suo decreto; bensì ci sono stati altri motivi perché i sacrifici cessassero. E quanto a ciò che non c’è da noi, qui appare certamente che ne saranno poste le estreme vestigia. La cena è stata istituita da Schnepf [il soprintendente agli affari religiosi del duca] a Stoccarda in tal maniera, che non avresti in essa molto da desiderare: non vengono elevati il pane e il calice, chi è ministro non si riveste degli abiti liturgici; vengono cantati alcuni salmi, vengono lette delle letture, si canta l’inno angelico e In terra; alcune parti sono pronunciate in latino, altre in tedesco.

Il principe appare sempre più confidare nel Signore, tanto che più lo osservo a fondo, tanto più venero e adoro [Dio] tra me e me; lo ritengo riservato dal Signore a realizzare grandissime cose».

Anche se lo studio locale venne rinnovato, l’effetto finale delle riforme sulla liturgia e sugli arredi ecclesiastici fu un depauperamento senza precedenti. L’effetto delle confische operate da Ulrich fu paragonabile alla devastazione prodotta da un ciclone, anche dal punto di vista artistico. La collegiata della Santa Croce, chiesa di Corte del ducato di Württemberg, che possedeva ben 17-18 altari e una quarantina tra canonici, sacerdoti, cappellani eccetera, fu ridotta ad avere due predicatori e due diaconi soltanto; gli altari vennero per lo più eliminati. I canonici rimasti disoccupati mantennero una pensione pagata dal duca, addirittura gli fecero causa per danni; alcuni divennero protestanti e più o meno si adattarono (magari sposandosi, dirigendo il coro o partecipandovi – il sovrintendente luterano Erhard Schnepf ebbe infatti l’indulgenza di lasciare il canto dell’ufficio in latino), altri rimasero cattolici. Come abbiamo visto, ben 160 monasteri e conventi furono stravolti.

Sul lungo periodo prevalse a Stoccarda la linea di Schnepf, che accordava concessioni alla vecchia maniera cattolica, tanto che alcuni teologi protestanti si preoccuparono e nel 1538 Blaurer, che rappresentava una via più vicina a Zwingli e al Protestantesimo Svizzero, fu espulso. Quando si giunse all’«interim» di Augusta del 1548, cioè a una tregua transitoria (poi, dal 1555, definitiva) che accettava entro certi limiti la pratica protestante, ma ristabiliva anche chiese cattoliche in città passate alla Riforma, i canonici cattolici poterono ritornare: non tutti però lo fecero; alcuni si limitarono a fare causa a Ulrich per recuperare le rendite perdute (il che non aiutò certo la situazione e lascia capire che queste confische possono essere state incoraggiate anche da un diffuso senso di malessere nei confronti dell’accumulo di proprietà ecclesiastiche). Quattro di loro invece si accollarono il compito di rifare emergere il vecchio Cattolicesimo rimasto latente nella pratica religiosa di Stoccarda durante il periodo riformato. Ma, in definitiva, l’«interim» fu una sorta di primo accomodamento per l’annoso problema della proprietà ecclesiastica, problema per cui nessuno aveva delle vere e proprie soluzioni, dato il vuoto normativo in merito. Alla fine, come è noto, con la pace di Augusta del 1555 vennero riconosciute le secolarizzazioni compiute fino al 1552 e, in sostanza, fu accettato lo «status quo»[5].

Quanto a Ulrich, rimane l’interrogativo su quanto sia stata sincera la sua conversione al Protestantesimo: certi interrogativi ricevono risposta però più nell’aldilà che nell’aldiqua. Stranamente, la moglie Sabina (1492-1564)[6], che apparteneva a quanto di più cattolico le classi dirigenti europee potessero esibire all’epoca e aveva passato buona parte della vita a litigare con lui, giunta a 60 anni si convertì al Protestantesimo, come già aveva fatto il figlio Cristoph, e si diede a una vita di studi teologici, opere di carità e interessi religiosi: fondò addirittura una biblioteca. Dopo tante traversie (Sabina era dovuta fuggire per ben due volte da Urach, la sua Corte nel Württemberg, a causa del marito), ella poté assicurare il ducato al figlio Cristoph, che resse infine il suo Stato nella pace e nel benessere.


Note

1 Confronta Cristopher Ocker, Financial Interests and the Secularization of Church Property, in Gert Melville-Josep Ignasi Saranyana Closa edd., Lutero 500 anni dopo. Una rilettura della Riforma luterana nel suo contesto storico ed ecclesiale. Raccolta di Studi in occasione del V centenario (1517-2017), Roma, Libreria Editrice Vaticana, 2019, pagine 210-237. L’opera principale dello storico è Church Robbers and Reformers in Germany, 1525-1547: Confiscation and Religious Purpose in the Holy Roman Empire, Leiden, Brill, 2006. Di Ulrich si parla alle pagine 90-94. Si veda anche il breve ritratto sulla pagina del monastero di Hirsau, https://www.klosterhirsau.de/en/interesting-amusing/figures/ulrich-von-wuerttemberg

2 Confronta Carlo Capra, Storia moderna (1492-1848), Firenze, Le Monnier Università, 2011, pagine 103-105.

3 Su Massimiliano d’Asburgo si veda ad esempio Sabine Weiss, Maximilian I. Hbsburgs faszinierenden Kaiser, Innsbruck-Wien, Tyrolia Verlag, 2018.

4 Confronta Lettera di Ambrosius Blaurer a Heinrich Bullinger, Tubinga, 15 febbraio 1535, in Briefwechsel der Bruder Ambrosius und Thomas Blaurer, 1509-1548, Traugott Schiess ed., Bd.I (1509-giugno 1538), Freiburg in Brisgau, Friedrich Ernst Fehsenfeld Verlag, 1908, pagine 653-655.

5 Confronta Carlo Capra, Storia moderna (1492-1848), Firenze, Le Monnier Università, 2011, pagina 100.

6 Si veda la pagina dedicatale a https://www.schloss-urach.de/en/interesting-amusing/figures/sabina-von-wuerttemberg

(novembre 2022)

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