Quel tremendo Galeazzo Maria Sforza
(1444-1476)
Un ottimo statista ed un intellettuale di
buon livello, ma anche un uomo sadico, amante dei piaceri
della vita e dai costumi sessuali libertini
Piero del Pollaiolo, Ritratto di Galeazzo Maria Sforza, 1471, Galleria degli Uffizi, Firenze (Italia)
«Che peccati ho io? Ne ho pochissimi. Io non ho dell’altrui, né tolgo dell’altrui indebitamente. Sono pomposo un poco: non è un gran peccato in un Signore, se sono superbo. Io ho solamente il peccato di lussuria, ma quello lo ho in tutta perfezione, perché lo ho adoperato in tutti quei modi e forme che si possa fare»[1]. Così disse di sé il giovane Galeazzo Maria Sforza, quinto Duca di Milano, in confidenza al Marchese di Mantova, amico ed alleato.
Di lui si può dire che fu uomo di grandi doti, esperto d’armi, di lettere e di musica, politico conosciuto e rispettato, amministratore di grande intuizione e diplomatico attento, ma anche amante della bella vita, orgoglioso, vanitoso, megalomane, vendicativo, sadico ed esageratamente dedito ai piaceri della carne. Ben definito dallo scrittore Guido Lopez[2] come un «genio con sregolatezza».
L’8 marzo del 1466 moriva in seguito ad un forte attacco di idropisia Francesco Maria Sforza, uno dei più grandi ed astuti uomini di governo del Rinascimento.
Originariamente era un capitano di ventura al servizio di chi meglio lo pagava, combatteva nello stesso anno per il Papato contro gli alleati del Duca di Milano per poi passare con Filippo Maria Visconti contro il Pontefice Eugenio IV.
Fu proprio durante una delle battaglie campali per la conquista dell’Umbria e delle Marche che a Fermo nacque, il 24 gennaio del 1444, Galeazzo Maria; e siccome il Papa odiava Francesco Maria al punto di identificarlo col diavolo, alla notizia esclamò: «È nato un altro Lucifero»[3].
Francesco Maria si presentò sulla scena politica milanese al momento giusto: l’era dei Visconti era ormai giunta al termine e molti a Milano si davano da fare per istituire, come nella vicina Venezia, una «Repubblica Ambrosiana».
Combatté per difendere il suocero e il 26 febbraio del 1450 entrava in una Milano in festa per assumere il governo ducale.
Fu esempio di lungimiranza e capacità amministrative: eresse numerose chiese e conventi, commissionò al Filarete la costruzione dell’Ospedale dei Poveri, fortificò le mura cittadine, ristrutturò i castelli, introdusse l’arte della stampa, incrementò i commerci e le produzioni agricole, intensificò i rapporti diplomatici ed investì denaro nelle nuove invenzioni, regalando ad amici e diplomatici una novità assoluta per quei tempi, per la quale aveva una forte predilezione: gli occhiali. Seppe guadagnarsi la fiducia degli altri governanti e soprattutto la stima dei suoi sudditi.
Ebbe otto figli legittimi, fra i quali Ascanio, che sarebbe divenuto uno dei più grandi Cardinali del Rinascimento, Ludovico Mauro che sarebbe divenuto Duca col soprannome di «Moro» e Galeazzo Maria, il primogenito. Proprio nei confronti di Galeazzo il Duca aveva un forte attaccamento, pretendendo per lui un’educazione di primo livello in tutte le arti sotto la supervisione dalla madre Bianca Maria.
Tuttavia il giovanotto Galeazzo andava forgiato col ferro e col fuoco e preparato all’arte della guerra. L’occasione si presentò con la Guerra del Bene Pubblico, quando alcuni principi e feudatari francesi si sollevarono contro il loro Sovrano Luigi XI di Valois: il Duca Francesco inviò quante più truppe poteva raccogliere e vi mise a capo niente meno che il giovane Galeazzo Maria. La spedizione aveva del rocambolesco, non tanto per l’inconsistenza dei nemici o gli errori di valutazione sul percorso, quanto per il continuo bisogno del denaro che non c’era, la proibizione di Francesco Maria di accettare soldi dal Re o beni dai Francesi e soprattutto per la necessità di arrivare a mangiarsi i cavalli per la fame. La madre ansiosa gli inviava tre corrieri alla settimana, ed altri tre gli erano mandati dal padre desideroso di notizie. Assistito da un’incredibile fortuna (intere città si arresero senza sparare un colpo), il figlio del Duca di Milano passò per quello che salvò il Re, facendo così guadagnare al padre onore e stima. Tuttavia Galeazzo Maria dovette rientrare in fretta e furia a Milano, travestendosi addirittura per non essere scoperto durante il transito nel Ducato di Savoia: Francesco Maria era morto ed era lui ora il nuovo Duca di Milano.
L’eredità che gli si presentava era davvero gravosa per i suoi ventidue anni: sarebbe stato in grado di eguagliare il padre nelle sue doti di amministratore?
Per prima cosa ne riconfermò il segretario, l’astuto e capace Francesco Simonetta, detto Cicco, che lo avrebbe guidato durante gli anni di governo e che riporterà nei suoi diari l’attività e le azioni del nuovo Duca.
Galeazzo si dimostrò subito padrone del proprio ruolo, caparbio ed insofferente ai consigli della madre Bianca Maria, verso la quale aveva un rancore crescente al punto che finì, si disse, per avvelenarla.
Si trasferì con la Corte nel castello di Porta Giova (cosa che il padre non aveva fatto per ricambiare la fiducia che i sudditi gli avevano dimostrato) ed iniziò una vita fatta di lusso e di magnificenza.
Seppe incrementare e soprattutto liberalizzare l’arte della stampa, redasse i nuovi statuti per le corporazioni, incanalò molti corsi d’acqua, fece pavimentare diverse strade cittadine, trasformò le colture obbligando i proprietari terrieri a piantare alberi di «moroni» (gelso), incentivò la coltivazione «de li vermi li quali fanno la seta» e soprattutto diede inizio alla produzione del riso, considerato fino ad allora una spezia.
Amava la caccia alla follia, tanto da far aspettare ambasciatori e funzionari diversi giorni prima di essere ricevuti. Cicco Simonetta annotava il tutto accuratamente nei suoi diari: «Questa matina ad bon’hora, el Signore s’è partito da Abia’ et andato a disnare a Cusago. Dapoy el disnare el Signore montò a cavallo et andò a caciare et prese cinque porci salvatici», ed ancora «in questo dì el Signore, in la sua casa de ursi, prese un grossissimo urso de libra grosse 250; guastò tre homini et amazò un cane». Non si scomodava neppure per l’ambasciatore del Sultano: «L’ambaxadore del Soldano, quale venne per acqua, ad Venexia, et deinde giunse ad Milano ad dì VII del presente, et, ritrovandose l’Excellentia del Signore ad Varese, alla caccia di orsi, scripse al dicto ambaxatore fosse facto intendere dovesse exponere al Consiglio l’ambaxata sua…»[4].
Gli mancava ora una moglie per adempiere completamente ai suoi doveri di uomo di Stato, dal momento che la prima promessa sposa, Susanna, figlia del Marchese di Mantova, era stata respinta quando ancora Galeazzo aveva undici anni perché gobba; anche la seconda figlia del Marchese, Dorotea, subì la stessa fine, nonostante l’innamoramento autentico fra i due. Il contratto prematrimoniale venne rotto con banali scuse poiché, nel frattempo, le mire di Francesco Maria Sforza erano dirette ad un più nobile casato. Egli voleva per il figlio qualcosa di più dei Gonzaga e cercò, prima di morire, di combinare un fidanzamento con Bona di Savoia, figlia del Duca Amedeo IX e cognata del Re di Francia.
Nonostante sia i Savoia che i Valois non vedessero proprio di buon occhio l’imparentarsi con una famiglia ritenuta di non adeguato lignaggio, nel 1468 il fratello di Galeazzo, Tristano, si recò nel castello di Amboise per sposare, su procura, la giovane Bona.
I due, durante la cerimonia, si toccarono le gambe nude e si sdraiarono nello stesso letto, come prevedeva l’usanza francese, cosa curiosa che Tristano volle subito comunicare al fratello Duca.
Galeazzo gli rispose divertito: «Grazie, fratello. Di voi ci saremmo comunque fidati, anche sotto le coperte, trattandosi della nostra Bona e non del vostro amico Battista al quale, sappiamo, non usereste quella continentia»[5].
Galeazzo Maria ebbe da Bona di Savoia quattro figli, verso i quali nutriva un forte amore paterno: Gian Galeazzo, che sarebbe diventato il sesto Duca di Milano, Bianca Maria, che sarebbe andata in sposa a Massimiliano d’Austria, Anna, che avrebbe sposato il Duca di Ferrara Alfonso d’Este ed Ippolita, che sarebbe divenuta moglie di Alessandro Bentivoglio.
Il matrimonio comunque era per Galeazzo Maria l’ultimo dei pensieri, dal momento che non rappresentava per lui un impedimento alle sue abitudini sessuali fin troppo libertine.
Già da molto tempo aveva un flirt con Lucrezia Landriani, che frequentò anche dopo essere stato sposato e dalla quale ebbe tre figli (fra i quali Caterina), ma non mancava di incontrare donne di ogni classe sociale e persino prostitute. «Questa sira, circa le XXII hore, el Signore se partite da Milano et andato ad piacere ad Bruzano, dove stete quella nocte»[6], scrive ancora nei suoi diari il fedele Cicco Simonetta. L’amante di quella sera sarà stato di sesso femminile o maschile? Il dubbio è lecito, dal momento che Galeazzo Maria aveva volentieri rapporti sessuali anche con persone del suo stesso sesso.
Nonostante Cesare Vicini, scrivendo la biografia del Duca, si sforzi di dimostrare nel suo libro che le voci sulla sodomia fossero tendenziose e calunniose[7], vi sono diverse testimonianze che riportano le abitudini omosessuali di Galeazzo Maria.
Nel 1473 gli inviarono da Napoli ben dodici giovani per essere impiegati come camerieri personali[8] e, per averlo a suo servizio, impose al conte Giovanni Borromeo di mandargli il figlio Ghiberto. Il padre si rifiutò, e Galeazzo gli fece sapere che se il giovane non fosse arrivato entro tre giorni, se ne sarebbe pentito. Ed infatti gli fece sequestrare i beni, cosicché il Borromeo fu costretto ad accettare[9].
Si spostava di frequente da una tenuta all’altra del Ducato ed ovunque andava si metteva a caccia di selvaggina e di compagni o compagne da letto[10], ed il Poliziano, nei suoi Detti piacevoli, fece notare che «in uso di proverbio è il detto del Duca di Milano Galeazzo Maria di un ragazzo nero e brutto, il quale disse maravigliarsi perché il padrone lo tenessi, se non avessi già qualche virtù segreta»[11].
Non si preoccupava troppo di nascondere le sue abitudini libertine, tanto che un diario ferrarese faceva notare che Galeazzo Maria era «un homo che faceva grandi pazzie e cose dishoneste da non scrivere»[12]; Bernardino Corio, entrato giovanissimo alla Corte di Galeazzo e in seguito diventato segretario generale, scrisse che «fu questo Principe molto sottoposto a Venere, et à sozza libidine, in modo che per questo i sudditi suoi erano grandemente molestati, molte ancora per denaro ne conveniva. Et peggio che quando lui havea soddisfatto alla disonesta voglia, poi da assai numero de’ suoi le faceva stuprare, usava i bagni, et con artificio si faceva cavare i peli della persona et similmente a quelli che usavano seco […]. Ad un giovane da Verona, suo favoreggiato, ligato sopra d’una tavola gli fece cavare un testicolo»[13].
Morì giovane, il 26 dicembre del 1476, ucciso in un attentato preparatogli sulla scalinata della chiesa di Santo Stefano mentre si recava ad una funzione.
Dei tre sicari due vennero uccisi sul posto, mentre Girolamo Olgiati, che fu preso in seguito, disse di essere stato spinto da motivi politici e di voler porre fine ad una tirannide.
Usciva di scena un Duca davvero particolare, forte nel suo carattere e bizzarro nei suoi costumi, lasciando una Milano prospera e, durante il suo governo, tutto sommato in pace.
1 Guido Lopez, Moro! Moro!, Camunia, Milano 1992, pagina 74.
2 Guido Lopez, I signori di Milano, Newton & Compton, Roma 2003, pagina 83.
3 Cesare Violini, Galeazzo Maria Sforza, Società subalpina editrice, Torino 1943, pagina 43.
4 Diari di Cicco Simonetta, Fondazione italiana per la storia amministrativa, Milano 1962, pagine 65, 211, 212.
5 Guido Lopez, Moro! Moro!, Camunia, Milano 1992, pagina 70.
6 Diari di Cicco Simonetta, Fondazione italiana per la storia amministrativa, Milano 1962, pagina 41, nota del 6 luglio 1473.
7 Confronta in modo particolare la pagina 149 del libro di Cesare Violini, Galeazzo Maria Sforza, Società subalpina editrice, Torino 1943.
8 Diari di Cicco Simonetta, Fondazione italiana per la storia amministrativa, Milano 1962, pagina 61, nota del 30 ottobre 1473.
9 Cesare Violini, Galeazzo Maria Sforza, Società subalpina editrice, Torino 1943, pagina 147.
10 Guido Lopez, I signori di Milano, Newton & Compton, Roma 2003, pagina 93.
11 Angelo Ambrogini, detto «il Poliziano» (1454-1494), Detti piacevoli, a cura di Tiziano Zanato, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1983 – Tratto dal sito di Giovanni Dall’Orto.
12 Cesare Violini, Galeazzo Maria Sforza, Società subalpina editrice, Torino 1943, pagina 141.
13 Bernardino Corio, L’historia di Milano volgarmente scritta, 1503, Monelli, Venezia 1554, parte VI, foglio 425v. – Tratto dal sito di Giovanni Dall’Orto. Fatti riportati anche in Cesare Violini, Galeazzo Maria Sforza, Società subalpina editrice, Torino 1943.