Francisco de Orellana
Un coraggioso esploratore

L’esplorazione del bacino del Rio delle Amazzoni è stata un’impresa molto pericolosa, impegnativa ed estenuante, affrontata nel 1542 da Francisco de Orellana insieme con i suoi 60 soldati. Questi l’affrontò con coraggio, serenità e consapevolezza dei rischi che si potevano correre. Egli era un capitano, nato forse nel 1511 a Trujillo nell’Estremadura in Spagna, e come esploratore era al servizio di Francisco Pizarro Gonzàles, il condottiero spagnolo rimasto famoso per la sua partecipazione alla conquista e alla colonizzazione dell’immenso Impero Inca e fondatore della capitale Lima del Perù.

Orellana, dopo aver partecipato alla conquista dell’Ompero Incaico, fondò la città di Guayaquivil nell’Ecuador.

Successivamente, al servizio di Gonzalo Pizarro, fratello di Francisco, ebbe da questi l’ordine di accompagnarlo nella ricerca di civiltà indigene ricche o, meglio, del cosiddetto «El Dorado», territorio ignoto, situato al di là delle montagne, stando a quanto dicevano gli indigeni, produttore della cannella, una spezia preziosissima che, qualora fosse stata trovata in abbondanza, avrebbe resi ricchi tutti; inoltre, come dice il nome, si riteneva che fosse il luogo dal quale gli Inca avevano scavato l’oro di cui si circondavano e decoravano, pertanto anche questo sarebbe stato più che gradito.

Verso la fine del 1540, Francisco Pizarro iniziò a organizzare una spedizione, composta da 220 Spagnoli e 4.000 indigeni, avente lo scopo di esplorare il versante orientale della Cordigliera delle Ande, che affidò al fratello Gonzalo. Questi partì da Quito nel febbraio 1541, avviandosi verso Oriente, e il mese successivo fu raggiunto, presso il vulcano Zumaco, da Orellana che, invitato da Francisco Pizzarro a dare un aiuto al fratello, aveva accettato volentieri. Dopo che la Cordigiera fu superata, iniziò la discesa nella valle del fiume Coca dove, per la gioia di tutti, si riuscì a raccogliere un discreto quantitativo di oro. Ma, se da un lato tutto procedeva per il meglio, dall’altro erano sorti diversi problemi di cui il più grave era la scarsità di viveri, in una zona che non forniva nessuna risorsa. Per questo, Gonzalo decise di mandare avanti Orellana, affinché provvedesse a racimolare vettovaglie e, per consentirgli di spostarsi rapidamente, per evitare le difficoltà da superare per gli intrighi della vegetazione, fu costruita un’imbarcazione. Orellana, con un equipaggio di una sessantina di uomini, navigò prima nel fiume Coca e poi nel Napo, ma dopo diversi giorni non incontrò nessuno e tanto meno trovò dei viveri. A quel punto, ritenne che sarebbe stato meglio ritornare da Gonzalo, ma si rese conto che l’intensità della corrente, con la velocità media di 10 chilometri all’ora, avrebbe impedito la navigazione e ritornare via terra, attraversando la foresta impraticabile, non era nemmeno da pensare. Fecero un consulto, quasi una votazione, e tutti furono d’accordo che il ritorno sarebbe stato una pazzia, per cui, con la speranza che Gonzalo riuscisse a cavarsela da solo, concordarono di andare avanti, sperando di trovare qualche anima buona che li sfamasse.

Intanto, Gonzalo Pizarro, preoccupato perchè non aveva notizie di Orellana, venne finalmente a sapere da uno dei suoi che era scappato dalla spedizione ed era ritornato, che il fiume non consentiva di fare ritorno e che, costruiti altri velieri, aveva deciso di andare avanti, per perlustrare quel bacino idrico, senza rendersi conto di quanto fosse molto più grande di quanto lo si era immaginato, come Orellana venne a sapere, molto più tardi. Ed effettivamente era così, quando si poté valutarne l’immensa estensione con i suoi 7 milioni di chilometri quadrati e con un fiume avente una portata idrica di circa 157.000 metri cubi al secondo (nei suoi confronti, il nostro Po, con la sua portata pari circa a un decimo di quello del Rio delle Amazzoni, è un ruscello, magari il «Rio Bo» di Palazzeschi).

Mentre Pizarro, rassegnato a non ricevere aiuti e a doversi arrangiare, si avviò per ritornare con i suoi a Quito, affrontando una terribile marcia interminabile, Orellana scese il corso di Rio Roca. E la fortuna ha voluto aiutarlo: il 3 gennaio 1542, quasi un anno dopo la partenza da Quito, sul fiume Napo incontrarono un villaggio di indigeni i quali diedero ospitalità a quell’orda di affamati, che là sostò fino al 2 febbraio. Il capo degli indigeni parlò dell’immensità del territorio che stavanno attraversando, tanto che Orellana si rese conto che la sua esplorazione sarebbe stata molto importante e storica. Perciò, decise di andare avanti, usando pure un secondo brigantino, il Victoria, fatto costruire dai suoi uomini. Questa decisione fu appoggiata dal frate domenicano Gaspar de Carvajal, originario come lui di Trujillo. Così, purtroppo, non si pensò a Gonzalo Pizarro e Orellana cessò di essere il suo luogotenente e divenne capo del suo gruppo di 60 persone che lo votò. Essi speravano sempre di trovare, lungo il viaggio, tanta cannella, e, giacché c’erano, perché no?, tanto oro. Anzi, per la verità, a proposito di quest’ultimo, la speranza sembrò diventare realtà quando essi notarono che le donne indigene si ornavano con piattelli d’oro sul petto, cavigliere e orecchini.

Intanto, Gaspar teneva un diario di viaggio, nel quale raccontava tutto quanto succedeva giorno per giorno e, naturalmente, rispettava il calendario liturgico; così, il mercoledì e il giovedì santi digiunarono. Però, la verità fu un’altra: gli indigeni di Ymara, la capitale del Regno di Aparia, li lasciarono a secco, cioè senza vettovaglie. Nel diario si trova che la loro sopravvivenza dipendeva dalle piante di yucca e dalle tartarughe che incontravano. A Pasqua andò meglio, e gli Spagnoli poterono saziarsi a volontà. Importante furono gli elogi di Gaspar per il buon comportamento di Orellana con i suoi.

Gli Spagnoli, non appena il Victoria fu pronto, lo caricarono di provviste insieme con il San Pedro e dopo aver mangiato insieme con il Cacicco (capo di alcune tribù del Messico e dell’America del Sud) e dopo averlo salutato, il 24 aprile ripresero il viaggio. Durante il tragitto, interminabile, incontrarono tribù di indigeni che si dimostrarono accoglienti, con offerta di uova di tartaruga, e altre tutt’altro che amichevoli, che, non fidandosi troppo dei viaggiatori, li accoglievano con nuvole di frecce. E infatti, gli Spagnoli furono aggrediti più volte da nativi su canoe, vestiti con pelli di leopardo, lamantino, tapiro; la loro carica era preannunciata dal suono rauco e rumoroso dei corni. Questo accadde anche quando un gruppo di soldati era alla caccia di tartarughe (ne furono catturate un migliaio), subì l’attacco di circa 2.000 nativi: poteva finire molto male, ma se la cavarono indenni, se si esclude un ferito a un braccio.

In ogni modo, sopravvissero alla fame, mangiando tartarughe, uccelli abbattuti con le balestre e pesci pescati, come raccontò Carvajal.

Nel loro viaggio senza fine, il giorno 12 maggio giunsero al villaggio Machiparo, un Regno con circa 50.000 sudditi governato da un Cacicco. Il suo territorio era al confine con la terra di Omagna, i cui abitanti avevano una fisionomia caratteristica con le loro fronti piatte. Gli Spagnoli erano intenzionati a prendere terra per procurarsi del cibo, essendo abbastanza scarsa la scorta, ma quei «signori» fecero loro chiaramente intendere che sarebbe stato opportuno che avessero continuato per la loro strada, cosa che, «obtorto collo», fecero malvolentieri. Così, continuarono a navigare finché, giunti al porto di Oniguayal, cioè a distanza di 1.700 chilometri da Aparia, decisero di scendere a terra e di combattere i nativi, approfittando delle loro balestre e dei loro archibugi, e in tal modo riuscirono a sfamarsi, consumando e apprezzando, per la prima volta, il pane di manioca.

Orellana aveva capito che il fiume, su cui essi stavano navigando, era molto pìù importante di quanto si potesse pensare all’inizio del viaggio, anche perché si rese conto che quel fiume, con tutti i suoi affluenti, era eccezionale; della sua grandiosità ebbe la conferma già quando giunsero alla confluenza fra il Marañón e l’Ucayali.

Il giorno dell’Assunzione, 15 agosto, i navigatori si trovarono fra tre isole, che furono chiamate Isole della Trinità. Andando avanti, incontrarono un villaggio dove trovarono pregevoli manufatti di terracotta e idoli di piume. Più avanti, si trovarono in un villaggio dove furono sorpresi dall’aspetto degli abitanti, caratterizzato da grandi orecchie dilatate: erano gli «orecchioni di Cuzco». Poi fu la volta di un villaggio da un abitante del quale vennero a sapere che il Regno di Paguana era ricco di argento e di allevamenti di pecore, per cui fu facile pensare che fosse pure l’origine dell’oro degli Incas. Orellana non trovò nulla di tutto questo, ma in compenso trovò ananas e avocado.

Dal punto raggiunto, secondo quanto riportato nel diario del frate, il fiume era talmente largo che non era possibile vedere nessuna delle due sponde.

Dopo Paguana, Orellana inviò 11 uomini a esplorare le Isole del Cacao, vicino a Leticia e altri territori dell’Aparia Maggiore, che rappresenta il trapezio in cui convergono Columbia, Brasile e Perù. E Orellana ricordò con piacere che le tartarughe erano abbondanti.

Il 3 giugno, gli Spagnoli ebbero la sorpresa di navigare in un’acqua nera come l’inchiostro e per questo egli chiamò quel fiume Rio Negro. In verità, le acque non erano nere, bensì molto scure, come il tè forte, se si vuole. Quel colore, così diverso da quello delle acque del Rio delle Amazzoni, è causato dalla presenza di sostanze uniche provenienti dalla degradazione incompleta della vegetazione delle forese pluviali ed è tale da ridurre il passaggio della luce, limitando la crescita di piante e alghe.

Tornato in Spagna, Orellana si trovò di fronte l’infuriato Gonzalo Pizarro, che l’aveva accusato di tradimento, ma egli non ebbe difficoltà a discolparsi anche e soprattutto perché aveva indotto i suoi compagni di ventura a firmare una dichiarazione in cui si chiariva che essi non gli avevano consentito di tentare il ritorno, ritenuto irrealizzabile.

Dopodiché, Orellana fu nominato Governatore del territorio denominato «Nuova Andalusia», che consisteva in una bella porzione di tutto il territorio da lui esplorato con il suo gruppo di soldati.

(gennaio 2024)

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