Un Atlantismo d’altri tempi
Vita vissuta

Oggi parliamo molto di Atlantismo perché la recente guerra in Ucraina ci ha messo nella condizione di riposizionare Oriente e Occidente. Ma l’Atlantismo è storia antica per l’Europa.

Desidero portare al riguardo esperienze di vita vissuta che bene rendono l’idea di quanto sto affermando. Vivere la propria infanzia accanto a prozie speciali non è di tutti i giorni. Ma io non lo sapevo. Le mie prozie apparivano ai miei occhi di bambina come anziane signore in nero, sempre in nero, con strane abitudini e un particolare modo di esprimersi. Anche di camminare. Vivevano la loro condizione di donne appartenute a un mondo, quello nobiliare di spada, che poi le aveva rifiutate perché la loro mamma non era nobile e non aveva le conoscenze e le frequentazioni in società del marito.

Eppure, nonostante questo, il padre e questa madre scomoda avevano dato loro un’educazione e formazione che ci riportano proprio a quell’Atlantismo di antichissima origine, che nei loro discorsi si manifestava.

Una di queste zie, Vittoria (il riferimento era alla Regina Inglese, morta nel 1901, esattamente un anno dopo la sua nascita) conosceva perfettamente la storia inglese, la lingua e cultura inglese e ciò che questo comportava.

Mai si sarebbe sognata di raccontare a me, bambina, le sue vicende personali. Ma i suoi racconti mi avvicinavano proprio a quell’Atlantismo di cui oggi tutti ci ammantiamo. Guerra delle Due Rose. Le quattro casate inglesi che si fronteggiavano e di cui mi parlava, York, Lancaster, Winchester e Tudor, la vincente. Poi riferimenti a una casata, quella Stuart, ormai in declino. Un mondo, la sua descrizione, quello che con Elisabetta I, si apriva al Nuovo Mondo.

Questo la prozia non lo diceva ma lo lasciava trasparire. Non condannava mai i Tudor, nonostante gli Stuart la rappresentassero maggiormente, in quanto dal più profondo Medioevo il legame della sua famiglia con la casata Stuart, che aveva soggiornato anche a Bagni di Lucca, terra d’origine dei suoi feudi e possedimenti, lo evidenziasse.

La sua era la Chiesa, quella matildica, quella di Anselmo da Baggio, poi Papa Alessandro II, che proprio in terra d’Albione aveva vissuto le sue esperienze più profonde sia culturali che spirituali e che aveva costruito quell’humus ideale che permise successivamente agli Stuart stessi di rappresentare la vecchia Inghilterra.

Elisabetta I non veniva nominata se non con profondo rispetto, finanche ammirazione. Non era comunione la sua, questo no, ma sicuramente rispetto e analisi dei successi della Sovrana, non quelli del padre Enrico VIII, colui che aveva vinto l’anarchia feudale inglese e dato a quel Paese la possibilità di avere una Regina vergine e belligerante sui mari, ma uomo anche «sanguinario», che in ogni modo aveva tradito la causa cattolica.

Elisabetta I sui mari esportò il suo mondo, il mondo inglese. E l’Europa tutta diventò ufficiosamente Atlantista. Questo traspariva dal racconto della prozia.

I rapporti europei col Nuovo Mondo erano partiti con Cristoforo Colombo e con le scoperte geografiche. Prima degli Inglesi, Portoghesi e Spagnoli avevano incarnato e sostenuto tutto ciò in ogni dove.

Paradossalmente il vecchio Portogallo e la Grande Spagna poco rappresentavano il mondo cui la prozia si richiamava.

Lucca era stata sempre profondamente legata a Londra, a partire dalla Canterbury che generò la Via Francigena, passante proprio da Lucca e diretta a Roma; ma che non si fermava a Roma, di fatto proseguiva in Puglia, per dirigersi in Terra Santa. Un mondo che Lucca con le Crociate e la partecipazione attiva a esse aveva sempre sostenuto. Incontriamo, addirittura nel 1412, dei Canonici di San Frediano, la Basilica esoterica lucchese, inviati da Papa Gregorio XII alle Tremiti, ancora disabitate. Legami ancestrali, fieri di esserlo.

No, la zia, che fu chiamata appunto Vittoria, guardava a Londra, e ben sapeva come la casata tedesca Hannover che la Regina Vittoria rappresentava, era la punta dell’iceberg di quella realtà dinastica inglese a cui Elisabetta I aveva dato i natali.

Che cosa mai poteva davvero significare in quel caso Atlantismo?

La creazione di colonie, peraltro protestanti, come Protestanti furono i Tudor e l’Inghilterra che si allontanò definitivamente con loro dall’Europa Cattolica, per approdare fuori, per riconoscere e far riconoscere la sua peculiarità transoceanica e «in primis» Atlantista. New England appunto, un modello che riconosceva questa nuova realtà. Più che valvola di sfogo per un’Europa in difficoltà, definirei quel Nuovo Mondo un bisogno socio-culturale. Quasi affettivo, che la Lucca cattolica ma al tempo stesso con gli occhi puntati al calvinismo elvetico, nel corso del Cinquecento espresse a tutto tondo. Molti furono i fuoriusciti lucchesi a Ginevra, che abbracciarono un modo diverso di guardare all’Europa.

Gli Inglesi divennero in definitiva ciò che nel Mediterraneo e non solo erano stati i Veneziani. E la prozia ben conosceva i Veneziani. Venezia fu un modello per Londra, credo che questo aspetto non venga riconosciuto e analizzato a sufficienza dagli storici. Venezia non era propriamente una città «cattolica» modello, l’Interdetto fu la risposta della Chiesa Romana a ciò che quella città rappresentava in Europa. Spesso gli storici ci ricordano che gli Inglesi furono i concorrenti nel Mediterraneo per Venezia. Niente di più reale. Ma lo scontro commerciale e politico non mise mai in ombra il ruolo guida che la Repubblica Marinara per antonomasia aveva avuto anche per la vecchia Albione. E per il Nuovo Mondo. L’esperienza sui mari, la capacità di essere davvero all’avanguardia, con una flotta che sino alla caduta della Serenissima fu decisiva, facendone un modello. Ancestrali erano anche i rapporti tra la mia città, Lucca, e la Serenissima.

I mari «in primis» rappresentavano l’Atlantismo. Presumo che l’Atlantismo più recente venisse percepito dalla prozia come qualcosa di distante, di misterioso. Ma è una mia riflessione questa. Elisabetta I invece veniva vissuta come colei che aveva saputo dare slancio, non solo al suo Paese, ma all’intera Europa. Certo, aveva isolato l’Inghilterra, da allora in poi gli Inglesi si sentirono sempre meno Europei e più «Americani», ma ciò non impediva, a chi aveva da sempre conosciuto quel mondo inglese marinaro, di vedere in questo qualcosa di assolutamente rimarchevole. L’Atlantismo non era necessariamente mondializzazione, come la percepiamo noi oggi. Era piuttosto riconoscimento di valori condivisi, linguistici, culturali, in contrapposizione a mondi diversi. Mondi ben frequentati nell’«esperienza» del narratore (la prozia) perché i cavalieri-marinai medievali non erano stati solo Crociate, ma anche affari «oltre cortina».

Tuttavia noi Europei, tutto sommato, non avevamo condiviso apparentemente gran che con questi mondi lontani.

Quello che mi colpiva nella descrizione che della realtà inglese mi veniva fatta da bambina, in riferimento soprattutto agli Stuart, era la totale assenza di emozioni. Gli Stuart non erano stati all’altezza, non avevano saputo mantenere le promesse; l’Europa Cattolica, la sua Unità Medievale incrinata da Lutero, non poteva sicuramente dir loro grazie. Perché nell’avamposto inglese non erano riusciti a mantenere le aspettative romane. Aspettative che comunque vedevano abbracciare, nella visione della anziana signora in nero, un futuro Atlantico cui anche il profondo Medieovo, quasi in modo fatalista, si era dovuto arrendere.

Non si trattava di difendere l’Europa, perché l’Europa come entità politica allora come oggi non esisteva.

Anche se nel XIX secolo, Mazzini piuttosto che Rosmini in Italia, erano stati di casa dentro le mura domestiche. Col loro europeismo. Così come il grande rivoluzionario córso Pasquale Paoli. Ma agli occhi della prozia apparivano solo come dei «visionari», magari da assecondare. Senza perdere di vista il fatto che la Chiesa Romana aveva fatto scelte diverse nel XIX secolo.

E che solo Londra era rimasta davvero fedele a se stessa. E naturalmente gli emergenti Stati Uniti.

Quando si trattò di eleggere nel 1948 alla Presidenza della Repubblica Italiana, dopo Enrico De Nicola, Luigi Einaudi, la prima scelta era caduta su Carlo Sforza, il plenipotenziario lucchese che a lungo era rimasto a Londra durante la Seconda Guerra Mondiale. Si preferì un economista al plenipotenziario Atlantico. Non che Einaudi non fosse Atlantico, ma la figura di Sforza riportava proprio a quel mondo che la prozia descriveva. Perché Carlo Sforza era figlio di Giovanni Sforza da Montignoso, ramo collaterale degli Sforza di Milano, e di Elisabetta Pierantoni, di famiglia lucchese ma di origini napoletane, con cui i nonni avevano rapporti di parentela.

Repubblicano della prima ora, seguendo quelle orme materne che vedevano nella Repubblica Lucchese un esempio di Governo illuminato, che non disdegnava valori monarchici. Quel repubblicanesimo lo avvicinava più che mai al Modello Atlantico, di nuova estrazione, illuminista. Fu tuttavia legato particolarmente a Churchill e al modello costituzionale inglese. Carlo Sforza aveva avuto il merito nel 1920 di portare a casa il Trattato di Rapallo, che permise di risolvere la questione fiumana. Nel 1947, col Trattato di Parigi, l’Atlantismo italiano divenne solo una necessità assoluta, penalizzante, visto che la guerra era stata persa. Il Presidente della Repubblica Provvisorio Enrico De Nicola per l’occasione firmò gli atti scaturiti dal Trattato di Parigi con non poche proteste. Il filo Atlantismo in quella circostanza fu pagato a caro prezzo dal nostro Paese, per quanto perdente nel conflitto, certamente messo all’angolo. Non mi spingo a dire che l’attuale Atlantismo da noi sia ancora condizionato da tale situazione, indubbiamente l’Atlantismo storico cui si richiamava la prozia era un’altra cosa e un altro mondo. Un Atlantismo dove i contraenti giocavano alla pari. Un Atlantismo che vedeva i vari Paesi Europei contribuire, con la popolazione che si recava in massa nel Nuovo Mondo, alla crescita sociale ed economica di quelle terre. Che ne fece un Melting Pot esorbitante ma al contempo reale. Con cui peraltro dovette confrontarsi per tentare di lasciar convivere anime così distanti. Non solo New England dunque, ma Stati del Sud filo tedeschi e/o filo francesi. Gli Italiani arrivarono dopo ma contribuirono comunque in massa a quel crogiolo di idee e azioni. Fu il motore della Guerra di Secessione a modificare completamente le carte in tavola. Motore che accese la miccia facendo degli Stati Uniti in specifico la mega potenza che abbiamo conosciuto e conosciamo, capace di condizionare talvolta pesantemente gli equilibri nel resto del pianeta. Di questo la prozia non parlava. Probabilmente cosciente delle difficoltà vissute anche dal di dentro. Credo forse per pudore.

(settembre 2022)

Tag: Elena Pierotti, Atlantismo, Elisabetta Tudor, Anselmo da Baggio, Carlo Sforza, Luigi Einaudi, Enrico De Nicola.