La Ruota degli innocenti o storia degli esposti
Quando i figli non sono desiderati: un modo per dar loro un’ultima possibilità di sopravvivenza

Anticamente il termine «esposto» stava per «neonato abbandonato». Nell’antica Roma, il padre che non desiderava riconoscere il proprio figlio, lo esponeva al pubblico presso la «columna lactaria»: là, c’erano alcune donne che non avevano figli, una si sarebbe presa cura del piccolo, adottandolo. Con l’avvento del Cristianesimo ed in particolare da Costantino in poi, la cultura della morte si trasformò in cultura della vita ed i bambini abbandonati, gli esposti, venivano presi in cura dalla stessa comunità e gli infanticidi venivano puniti con la morte dell’uccisore. Nascevano intanto i primi brefotrofi, in Medio Oriente come in Occidente, ed a Milano nel 787 fu istituito il primo ospizio per i neonati abbandonati.

La prima ruota degli esposti nacque solo quattro secoli dopo in Francia. Si trattava di un piccolo cilindro di legno dove veniva posto il neonato. Un campanello avvisava che il cilindro stava ruotando all’interno dell’ospizio e lì il piccolo veniva preso dalle mani amorevoli della guardiana di turno, la «rotara», che prestava i primi soccorsi. Essa in origine fu ideata per «proteggere» gli esposti dai cani.


La ruota in Italia

La ruota degli esposti in Italia comparve nel 1178 grazie a Papa Innocenzo III che, impressionato dai tanti cadaverini che venivano raccolti dai pescatori nel Tevere, volle che presso l’Ospedale di Santo Spirito in Sassia, da lui istituito, fossero accolti gli esposti. All’inizio della seconda metà dell’Ottocento si contavano nel nostro Paese circa 1.200 ruote. Il risultato di questo uso ed abuso della ruota fu che ogni anno circa 40.000 neonati venivano abbandonati ed ogni anno circa 150.000 bambini di età inferiore ai dieci anni avevano bisogno di cure ed assistenza.


Abolizione della ruota (1865)

L’incapacità economica da parte dei brefotrofi di gestire un numero così elevato di bambini, l’alta mortalità infantile e la convinzione da parte delle autorità che la ruota rendesse troppo facile per chicchessia liberarsi di un figlio, portarono alla decisione di abolire la ruota degli esposti.

La prima che abolì la ruota fu Ferrara nel 1867, poi Brescia nel 1871 e tutte le ruote scomparvero ufficialmente nel 1923 con il regolamento generale per il servizio di assistenza agli esposti del primo Governo Mussolini.


Meccanismo della ruota

La Ruota era un meccanismo «a torno», ossia rotondo e girevole, a forma di cilindro e diviso in due parti: una rivolta verso la strada e l’altra verso l’abitazione del custode dei trovatelli; ambedue le parti erano riparate da uno sportello. Sull’esterno, a fianco della Ruota, c’era una campanella che serviva per richiamare l’attenzione del custode. Inoltre c’era un «foro praticato nel muro a guisa della Posta delle Lettere», «con suo sportello con chiave all’interno» che serviva «per ricevere le Carte e le oblazioni spontanee dei Benefattori».

Un’iscrizione:

IMPIUS UT CUCULUS GENERAT PATER ATQUE RELINQUIT QUOS LOCOS INFANTES EXCIPIT ISTE NOTHOS («Empio come il cuculo, il padre genera ed abbandona in luoghi solitari i figli che codesta [Ruota] accoglie come illegittimi»).

Il cuculo non costruisce un proprio nido, ma depone le uova (sino a venti) in altrettanti nidi di uccelli appartenenti ad altre specie, quali pettirossi, cince, pispole, beccafichi. Questa frase, incisa sopra la Ruota, punta il dito non contro le madri che abbandonano i propri figli, ma contro l’irresponsabilità del padre che, dopo aver generato un figlio, lascia nei guai la donna con la sua creatura.


Come erano vestiti gli esposti

Solitamente gli infanti erano abbandonati nella ruota coperti e fasciati solo con pochi stracci. Era una eccezione che il bambino fosse deposto nella ruota entro un piccolo cesto.

«…Ritrovò un infante di sesso mascolino involto con una striscia con un pizzo straccia quasi tutto nudo».

«…Rilevò un infante di sesso femminino, involto con una piagetta bianca di panno alquanto lacera ed un pezzo di fascia tutta cencia».

«…Involto con una salvietta in opera alquanto lacera e per fascia una salvietta strigliata della padanella…».


Scarsa speranza di vita

In quel tempo le speranze di sopravvivenza per un neonato comune erano di poco superiori al 60%, per gli esposti erano di gran lunga inferiori.

Le cattive condizioni di trasporto, quando il bambino aveva uno o due giorni di vita, o l’assenza generalizzata di garanzie igieniche e sanitarie facevano sì che la mortalità degli esposti raggiungesse livelli eccezionali.

Le malattie più frequenti riscontrate tra i bambini del brefotrofio erano la rogna, la scabbia e altre dermatosi, i vermi, le malattie polmonari, sifilide e febbri in genere.

La culla per la vita, moderna riedizione della ruota degli esposti, non salva solo il bambino, ma anche la madre, sollevandola dall’orribile carico di una decisione di soppressione del figlio. Non è in gioco la valenza morale della responsabilità materna, ma l’urgenza di trovare una soluzione che tuteli la vita.

Nel 2002 andai a Berlino per un reportage, pubblicato da «Libero», dove scrissi delle «Babyklappe» di Berlino per noi sconosciute. Il mio articolo uscì su diverse riviste e il risultato fu la riapertura della «Ruota degli Innocenti» prima in alcuni monasteri a Milano e poi in diversi ospedali. Ora ve ne sono sparse in tutta Italia, ma non sono usate che raramente. Però sono contenta di essere stata la promotrice di una vecchia usanza dimenticata.

(ottobre 2015)

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