Progressismo e definizioni
Impegni per l’etica della famiglia

Le cronache giudiziarie degli ultimi tempi stanno proponendo alla comune attenzione non pochi esempi di accentuata gravità circa importanti violazioni del diritto di famiglia, fino al punto di non ritorno costituito dal ricorrente delitto per opera del «bestione di tutta ferocia» di cui al pensiero del Vico, e in cui si consuma la negazione assoluta dei valori morali, con particolare riguardo a quelli di matrice cristiana certamente prioritari, ma senza escludere gli altri, ivi compresi quelli di derivazione laica. Si tratta di un effetto, oggettivamente inaccettabile, riveniente dalla perdita di ogni riferimento etico, iniziando dalla stessa legge naturale, ancor prima di quella positiva; e del triste successo di un individualismo spinto alle conseguenze estreme, con riguardo prioritario al rifiuto dei principi primari della socialità, iniziando proprio dalla famiglia.

In questo senso, il riferimento al progressismo quale custode di quei valori sostanzialmente universali deve ritenersi impertinente, come avrebbe detto il celebre politologo Giovanni Sartori, perché difforme dalla realtà contemporanea: essendo inteso alla stregua di una bandiera programmatica della sinistra, finisce per diventare un «nome vano senza soggetto» che, ben oltre la concezione poetica, attesta una sostanziale latitanza di referenti oggettivamente probanti, sostituita da una semantica vaga, e come tale, idonea a qualsiasi interpretazione. A tale riguardo, basti rammentare che esistono diverse definizioni del progressismo, talvolta in dissonanza l’una rispetto all’altra, tra cui sarebbe utile, se non anche necessario, programmare una chiara e netta scelta, previa utile riflessione.

Alla stregua di quella che individua nel progressista chi «sostiene la necessità di accelerare l’evoluzione della società nell’ambito politico, sociale ed economico, e agisce di conseguenza con riforme e innovazioni contrapposte a conservatorismo e reazione» (confronta Il Vocabolario Treccani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Milano 2003, pagina 1.356), il progressismo dovrebbe intendersi – in primo luogo – quale aggregato di tutte le azioni volte a perseguire «perfezionamento, evoluzione, trasformazione graduale e continua dal bene al meglio, sia in un ambito limitato sia in un senso più ampio e totale».

Nondimeno, nella prassi corrente, ferma restando l’impronta miglioratrice di base, da una parte esiste un progresso di tipo «evoluzionistico», per non dire deterministico, ravvisabile in un percorso umano di adattamento graduale alla realtà, il cui fattore sociale, e a più forte ragione quello etico, diventano momenti di un unico processo naturale e «positivista» di sviluppo e di crescita, anche sul piano economico, quale presupposto funzionalmente indispensabile. Dall’altra parte, invece, esiste un progresso di carattere «storicistico», interpretato alla stregua di un percorso graduale di transizione verso un’organizzazione ottimale della società umana, se non altro quale obiettivo di valenza teleologica, e quindi, sostanzialmente indefinita.

In altri termini, possono esistere concezioni piuttosto discordanti di progresso, e comunque non certo univoche: nel primo caso, quello naturale, ma non sempre necessariamente razionale, e nel secondo, quello che muove, sulle orme di Benedetto Croce e dell’idealismo italiano del Novecento, dal ruolo trainante della volontà, e come tale indubbiamente più veloce dell’altro, ma suscettibile di possibili influenze esogene maggiori.

Ne consegue che, quando si parla di progressismo e della sua presunta, e peraltro non dimostrata prevalenza su altri sistemi di vita associata, sarebbe necessario indicare quale sia la tipologia assunta come obiettivo condiviso della sua azione politica, con evidenti riflessi sui tempi di programmazione, sui mezzi per raggiungerlo, e sul tipo di società ipotizzato per l’avvenire. Da una parte, con scelte di tipo sostanzialmente lineare, perché volte a governare un ciclo conforme alla natura, e dall’altra, di carattere meno rigido, perché fondate sulle volontà di singoli protagonisti, governate dal «libero arbitrio» e quindi, non necessariamente ottimali (donde la necessità di un opportuno «contemperamento» come da pertinente definizione di Giovanni Botero).

In entrambi i casi, il risultato corre il rischio di approdare all’idea generale, se non anche generica, di un progressismo non esattamente definibile che espone all’avvento di scelte approssimative e di commistioni ideologiche senza tenere conto di valori ormai consolidati nella storia dell’umanità. Sono tali, in primo luogo, quelli fondamentali della famiglia, «consortium omnis vitae», e degli altri fattori primari di organizzazione sociale, quali la scuola, il luogo di lavoro, il volontariato attivo, le comunità laiche o religiose, e via dicendo. Ciò, ben s’intende, ferma restando la pur necessaria presenza di un sistema pubblico impostato sulla logica di servizio, ivi compresa la necessaria tutela della sicurezza, piuttosto che sulle attività di controllo e di smodate ingerenze nell’area culturale.

Un’attenzione particolare e prioritaria, in questo senso, è quella che si deve attirare proprio sulla famiglia, come centro motore dell’organizzazione sociale e civile, fondata su valori non certo transeunti quali la collaborazione, il reciproco rispetto, il riconoscimento dei rispettivi ruoli, e «last but not least», la fedeltà al patto di mutua assistenza implicito nel vecchio riferimento classico alla sua realtà di «mutuum auxilium». Ciò, ben s’intende, senza escludere gli adeguamenti resi necessari dai nuovi impegni che la vita contemporanea richiede alle persone che compongono il nucleo familiare, ma pur sempre nel rispetto dei valori fondamentali di ieri, di oggi e di domani.

Per meglio approfondire l’argomento, giova aggiungere che la «familia» di derivazione latina, quale partecipe della stessa radice di «famulus» (confronta Il Vocabolario Treccani, pagina 610), sottintende sin dall’etimo la sua natura, o meglio la sua vocazione di servizio, da interpretarsi alla luce della disponibilità di ciascuno nei confronti di tutti gli altri, e viceversa. Del resto, è proprio per questo che l’idea di Stato non prescinde, né avrebbe dovuto e potuto farlo, da quella di «grande» famiglia: non a caso, nell’idealismo di Georg W. Friedrich Hegel (1770-1831) l’«ethos» diventa un valore, ancor prima di forgiarsi compiutamente nello Stato «etico» attraverso la società civile e il suo fondamento primigenio costituito proprio dalla famiglia, dove l’individuo comincia a perdere l’originaria vocazione soggettiva per avvicinarsi a quella «politica» (confronta Dizionario di filosofia, Edizioni di Comunità, Milano 1957, pagina 212). Non senza rilevanti analogie, Maurice Blondel (1861-1949) sarebbe pervenuto ad analoghe valutazioni circa il ruolo di una socialità contrapposta all’individualità, riassumendosi anzi tutto nella famiglia e poi nella patria, ma trovando il cosiddetto «unico necessario» – alla fine – soltanto in Dio (Ibidem, pagina 256): sta di fatto che, nel caso contrario, il «panlogismo» portato all’inquadramento del tutto in una visione razionalista e raziocinante, avrebbe trovato uno sbocco laico soltanto nell’esistenzialismo e nei tre momenti di vita umana indicati da Kierkegaard, a seguire, nello stadio estetico del piacere, in quello etico della conformità istituzionale, e alla fine in quello religioso d’incontro con l’infinito, o meglio con l’eterno, e quindi sempre con Dio, rinnovando l’antico «credo quia absurdum».

In buona sostanza, l’etica della famiglia costituisce un passaggio d’obbligo in vari momenti della grande filosofia, e prima ancora, della speculazione cristiana. Basti aggiungere che, anche in tempi attualissimi, un’importante riflessione sul ruolo della comunità familiare, dapprima incompreso ma poi venuto prepotentemente alla ribalta, è stata offerta anche dal Governo Italiano, in persona del Ministro per la Famiglia e del suo impegnativo percorso verso la fede, coronato da convincimenti di sicuro valore (confronta Eugenia Roccella, Una famiglia radicale, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2023, 194 pagine).

Per tornare al progressismo, conviene aggiungere che può essere un valore comunque positivo, soprattutto nella misura in cui ravvisi l’opportunità di abbandonare le tentazioni di un’attività governativa indirizzata, non tanto alla tutela e all’emancipazione di un popolo finalmente maturo e consapevole, quanto al perseguimento d’interessi non propriamente generali. Tutto ciò, qualora i rapporti con le altre forze politiche lo rendano possibile se non anche necessario, in una positiva collaborazione con le varie forze di maggioranza e di opposizione, idonea – per l’appunto – a ravvisare nel «progresso» un referente di ordinato avanzamento del sistema legislativo ed esecutivo, col supporto di un apparato giudiziario davvero «super partes», abbandonando ogni residua suggestione demagogica. Oltre questi limiti, il rischio – pressoché scontato – è di indulgere alle «magnifiche sorti e progressive» di leopardiana memoria, lontane anni-luce dall’idea di uno sviluppo razionale, umano e civile, posto come antitesi alla saggezza degli antichi padri. Una saggezza – sia detto senza retorica ma con tranquilla consapevolezza – conforme al loro progetto di una società più giusta rispetto a quella dell’Antico Regime, ma nello stesso tempo, rispetto a quella di una Rivoluzione fondata sul terrore, con tanti saluti all’oltranzismo di Jean Jacques Rousseau e dei suoi epigoni, secondo cui bisogna «costringere l’uomo a essere libero».

Si tratta, in altri termini, di un «progresso» da doversi realizzare nell’attenzione e nella tutela di doveri e diritti dei cittadini senza anacronistiche distinzioni di fedi, genere o razza, ma nello spirito di una «Ragione di Stato» che, alla luce di una definizione sempre attuale, possa essere davvero «arte di ben operare nella vita associata per il perseguimento del bene comune». Ecco una speranza da condividere, un assunto da meditare, una fede da onorare, un impegno da programmare, un obiettivo da perseguire.

(gennaio 2024)

Tag: Carlo Cesare Montani, Giambattista Vico, Giovanni Sartori, Benedetto Croce, Giovanni Botero, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Maurice Blondel, Soeren Kierkegaard, Eugenia Roccella, Jean Jacques Rousseau, Familia consortium omnis vitae, Familia mutuum auxilium, Antico Regime, Rivoluzione Francese, Ragione di Stato, Vocabolario Treccani.