Storia del pomodoro
Il sole in tavola: come un prodotto venuto da lontano è diventato un emblema della cucina italiana (e partenopea in particolare)

Nota: dall’articolo qui presentato è stata tolta la ricetta della pasta con peperoni e pomodori. Essa è presente nella versione originale dell’Autrice, sul sito http://polveredilapislazzuli.blogspot.it/2014/08/peperoni-pomodoro-sanmarzano.html.


Come spesso succede molti prodotti tipici di una zona, in questo caso della Campania, sono nati altrove ma hanno trovato, nel loro lungo pellegrinare nella storia, nuove terre in cui crescere tanto da dimenticarsi della loro origine. Ciò è avvenuto per il pomodoro che ha trovato una calorosa accoglienza nelle fertili e assolate terre napoletane diventando il re dei condimenti per alcuni dei piatti più buoni e tipici della cucina partenopea, quali, per citare i due più famosi, la pizza margherita, il mitico ragù. Non va dimenticato che il pomodoro è il protagonista anche delle calde serate estive, infatti viene preparato all’insalata, cioè tagliato a pezzetti con olio, origano, cipolla, sedano e basilico, per condire una fresca fresella (un pane tostato a cui viene data una forma circolare con un buco al centro).

Il pomodoro, come scherzosamente accennato, nasce nell’America Centrale e giunge in Europa, attraverso la Spagna, durante il Seicento quando cominciarono ad essere più «frequenti» i viaggi tra i due continenti.

Inizialmente tale pianta fu usata come ornamento, infatti bisogna aspettare il XVIII secolo, e la sua diffusione nelle calde e assolate terre del Mediterraneo, per trovare le prime «testimonianze» di un suo utilizzo come alimento. Il perché ci siano voluti quasi due secoli per registrare il passaggio dall’uso ornamentale all’uso culinario, è dovuto alle leggende «nere», tramandate dai soldati di Francisco Pizarro, legate al suo utilizzo in America. Infatti, gli Aztechi cucinavano un piatto rituale preparato con spezzatino di carne umana, pomodoro, pepe e gigli triturati; ovviamente, tale piatto terrorizzò, e non poco, gli astanti.

Così i frutti del «solanum lycopersicum» suscitavano negli Europei sentimenti contrastanti, infatti, c’era chi ammirava la bellezza della pianta, chi, invece, la condannava per il suo «potere» malefico e velenoso, accentuato anche dal colore rosso sangue dei suoi frutti.

Bisogna aspettare prima che si perdessero nella storia le terribili leggende ad esso legate per vederlo in cucina; secondo una tradizione orale, il primo seme di pomodoro giunse in Campania nel 1770 come dono del Regno del Perù al Regno di Napoli; trovò nel Napoletano il suo ambiente ideale e si adattò così bene che i contadini non trovarono difficoltà a selezionare i semi migliori e a produrlo ogni estate. È grazie a questo sapiente lavoro di selezione che oggi alcune varietà campane sono tra le più rinomate, quali la varietà del Vesuvio e la San Marzano D.O.P.

Quest’ultima varietà si produce prevalentemente nell’agro sarnese-nocerino, il nome deriva da un piccolo comune, San Marzano, cuore di quest’agro la cui economia ruota intorno a tale pepita rossa. Ha una forma allungata, è usata prevalentemente per le conserve di pomodoro, sia passate che «pelate», ma la zona di produzione si estende anche nel territorio vesuviano, grazie al forte sole estivo e alla ricca e fertile terra.

Altra varietà D.O.P è il pomodoro del Vesuvio. È prodotto unicamente alle pendici del Vesuvio e del Monte Somma, terra decisamente vulcanica; sapientemente raccolto, viene messo nella famosa forma a «piennolo» («pendolo») e diventa, così, riserva preziosa che, messo ad asciugare, viene usato per preparare durante tutto l’inverno squisiti piatti a base di pesce, in particolar modo per le cene delle vigilie di Natale e di Pasqua, ma qui entriamo in un’altra storia...

Articolo in media partnership con polveredilapislazzuli.blogspot.it
(settembre 2017)

Tag: Annalaura Uccella, storia del pomodoro, Vesuvio, Francisco Pizarro, solanum lycopersicum, pasta con peperoni e pomodori, San Marzano.