Il cacao, dono degli dèi
Per le sue origini esotiche, per lungo tempo fu considerato tra i generi di lusso; oggi, tutti lo conoscono – e lo apprezzano – come prodotto alimentare, ma i suoi usi sono diversificati

La storia del cacao abbraccia un arco di tempo vastissimo, dove realtà e leggenda si fondono insieme. Secondo i botanici alcune varietà dell’albero del cacao crescevano spontanee già 4.000 anni prima di Cristo, nei bacini dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni. I primi a coltivarlo per mangiarne i semi mescolati al mais o per ricavarne bevande dopo averli pestati furono probabilmente i Maya, seguiti dai Toltechi e dagli Aztechi, popolazioni che si insediarono a partire dal XVII secolo avanti Cristo nell’America Centrale. In particolare è a Quetzalcoatl che gli Aztechi fecero risalire l’origine del cacao, ritenuto dono divino, che alleviava la fatica e rallegrava il riposo. Oltre ad essere l’ingrediente di una bevanda molto amara che solo le classi privilegiate potevano bere, chiamata «xocoatl»[1], nella società azteca il cacao fungeva da moneta per gli scambi di poco valore (per esempio, un mantello veniva pagato con 100 chicchi di cacao, oppure cento fogli di carta, oppure una canoa). Ciò spiega il suo nome latino, «Amygdalae Pecuniariae», letteralmente «mandorla di denaro», sostituito nel 1753 dal botanico svedese Linneo con «Theobroma cacao», ovvero «cibo degli dèi», evidenziando in questo modo gli aspetti divini e culinari della pianta, riconoscendone proprietà uniche ed eccezionali.

Sembra che sia stato Cristoforo Colombo il primo Europeo a scoprire i frutti del cacao, nel corso del suo quarto viaggio esplorativo nel Nuovo Mondo, nel 1502. Nel 1528, Hernán Cortés dopo aver conquistato il Messico, sorpreso dall’infaticabilità degli indigeni e riconducendola alla loro alimentazione, fece arrivare in Spagna i primi sacchi di cacao presentandolo a Carlo V, suscitando forte interesse nei botanici per quei semi esotici. La leggenda vuole che lo stesso Re Azteco, Montezuma, avesse fatto assaggiare a Cortés una bevanda ottenuta dal cacao che fu molto apprezzata dal conquistador.

Dai semi di cacao si ottenne la cioccolata, bevanda che però per molto tempo non fu apprezzata in Europa: il suo sapore era troppo amaro per i palati occidentali, e per renderla bevibile venivano aggiunte spezie come il peperoncino. All’inizio del XVII secolo si diffuse l’uso di addolcirla con lo zucchero e di aromatizzarla con anice, cannella e vaniglia.

In Italia, la cioccolata fu introdotta tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento. Alcuni cioccolatieri di Venezia, di Firenze, ma soprattutto di Torino, divennero grandi esperti nella lavorazione del cacao ed esportarono i loro prodotti in tutta Europa. Il 1587 segnò la data fondamentale della storia del cioccolato in Piemonte: il matrimonio tra Carlo Emanuele I di Savoia e Caterina di Spagna introdusse nei salotti europei la tazza di cioccolata fumante come bevanda raffinata, riservata alle grandi occasioni. La dolce bevanda divenne popolare nel Paese Iberico e quando Anna d’Austria, figlia del Re di Spagna, nel 1615 sposò Luigi XIII di Francia, a Parigi la cioccolata divenne una vera e propria moda, che presto si sarebbe diffusa tra i nobili di tutta Europa. Nel 1693, in Piemonte, la vendita della cioccolata venne liberalizzata e così spuntarono i primi fabbricanti di cioccolata, insieme ai «limonadier» che la vendevano per strada. Durante la Rivoluzione Industriale gli artigiani piemontesi, con l’aiuto delle nuove tecnologie, crearono gianduiotti, cremini, praline, uova pasquali, creme e gelati. Fino a tutto il Settecento la cioccolata venne considerata la panacea di tutti i mali, e le si attribuirono virtù miracolose.

Una signora versa la cioccolata

Jean-Étienne Liotard, Una signora versa la cioccolata, circa 1744, National Gallery, Londra (Gran Bretagna)

All’inizio dell’Ottocento gli Inglesi introdussero il cacao, fino allora coltivato in Brasile e Venezuela, in alcuni Paesi dell’Africa Occidentale, dove acquisì un ruolo di primo piano nella struttura economica locale, anche se tuttavia fu solo con il processo di decolonizzazione che il giro di affari e di iniziative collegato alla coltivazione del cacao assunse un’effettiva rilevanza per l’economia interna dei Paesi Africani produttori, di pari passo con la progressiva assunzione del controllo della produzione da parte di operatori nazionali. L’Ottocento fu anche il secolo che vide l’affermazione del cioccolato solido, a Torino, e le invenzioni che costituirono una vera e propria svolta nella lavorazione del cacao. I giornali del tempo raccontano del vento al profumo di cioccolato che proveniva dalla Val di Susa, in Piemonte, in cui si trovavano alcune fabbriche di cioccolato; tra le più conosciute possiamo citare Caffarel, Ferrero e Pernigotti.

Nel 1806, il blocco imposto da Napoleone provocò una drastica riduzione dell’importazione di cacao in Europa, facendo inevitabilmente lievitare i prezzi. Fu allora che Michele Prochet e i cioccolatieri piemontesi pensarono di unire il cacao ad un prodotto locale ed economico: la nocciola tonda gentile delle Langhe, con gusto deciso e delicato. Il cioccolatino ottenuto dalla società torinese Caffarel, il gianduiotto[2], deve il suo nome a Gianduja, Gian d’al Duja o Giovanni del Boccale, maschera piemontese simbolo della lotta per l’indipendenza. Fu questa maschera che distribuì i golosi cioccolatini al pubblico festante per le strade, durante il carnevale del 1865. Nei bar del centro di Torino nacque invece il Bicerin, una bevanda a base di cioccolato, caffè e panna. Da questo momento in poi il cioccolato sarà uno dei prodotti tipici del Piemonte, e Torino una capitale assoluta in questo campo, ruolo che detiene tuttora. Dai primi anni del Novecento i piccoli laboratori di pasticceria subirono un processo di industrializzazione, molte aziende si spostarono fuori dal comune di Torino per avere spazi maggiori. Si crearono così altri centri produttivi del cioccolato a Novi Ligure in provincia di Alessandria e ad Alba in provincia di Cuneo.

Nel commercio le numerose qualità di cacao si distinguono con i nomi dei Paesi da cui provengono: ciascuna qualità ha sue proprie caratteristiche di forma, grandezza, colore, peso, gusto e via dicendo; così, ad esempio, il rinomato «cacao caracca» è quello che viene da Caracas, in Venezuela.

Sebbene la parola «cacao» porti subito la mente a pensare a qualcosa da mangiare, i suoi usi sono diversificati: i semi di cacao contengono circa il 50% di grasso, del quale – nella fabbricazione delle polveri e di altri preparati del cacao – una parte viene estratta per pressione a caldo e costituisce il cosiddetto burro di cacao, che si adopera per aggiungerlo allo stesso cacao nella fabbricazione di talune qualità di cioccolata o di altri dolciumi, nonché per cosmetici e per usi farmaceutici (il cioccolato è un alimento di elevato valore energetico dovuto all’alto contenuto di grassi e zucchero: la sua assunzione stimola il rilascio di endorfine, in grado di aumentare il buon umore, aumenta il desiderio sessuale e fa bene al cuore, anche se il suo uso eccessivo può provocare dipendenza – non dimentichiamo che si tratta pur sempre di una droga). È anche un alimento prezioso per chi deve affrontare imprese estreme: tavolette di cioccolato si trovano regolarmente nel kit di sopravvivenza che i militari portano con sé durante una missione, e il cioccolato viene spesso consumato dagli sportivi prima di una prestazione perché è uno dei pochissimi alimenti che contiene zuccheri semplici, rapidamente assimilati dall’organismo, e quindi fornisce al nostro corpo energia immediata. Inoltre, il cioccolato si conserva molto a lungo, e questo ne fa un componente ideale di una scorta di sopravvivenza.

L’ Accordo internazionale sul cacao, concluso a Ginevra il 16 luglio 1993 e in Italia ratificato con la legge 1994/641, mira alla promozione dello sviluppo e al rafforzamento della cooperazione in tutti i settori dell’economia mondiale del cacao, ad agevolare l’espansione del commercio internazionale e ad incentivare la ricerca scientifica del settore. Esso ha previsto la costituzione di un Consiglio internazionale del cacao quale autorità suprema rispetto all’Organizzazione internazionale del cacao.

Oggi il cioccolato sta diventando un protagonista di tutte le tavole. Si sta tornando ad una produzione sempre più artigianale, spesso nei centri storici delle città nascono micro laboratori per soddisfare i palati più esigenti e raffinati.


Note

1 Per aromatizzare una bevanda a base di cacao e peperoncino, gli Aztechi utilizzavano la vaniglia, una pianta originaria del Messico giunta in Europa coi Conquistadores Spagnoli. Il nome vaniglia deriva dalla parola spagnola «vaynilla» («piccolo baccello») e fu coniato da un botanico, Padre Pulmer, nel 1703.

2 Il gianduiotto viene ottenuto impastando cacao, zucchero e burro di cacao con la nocciola tostata e macinata. L’alta qualità delle nocciole usate non permette che il cioccolatino sia prodotto in stampi, quindi viene tagliato a mano nella sua forma tipica di barca rovesciata. Alcune ditte piemontesi lo continuano a produrre manualmente.

(marzo 2015)

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