Battello a vapore
Addio all’angolo morto

La navigazione, da quando l’uomo calpesta la superficie terrestre, è stata il mezzo per tenere in contatto popoli che vivevano anche molto lontani fra di loro, perché consentì, percorrendo prima i fiumi e successivamente, affrontandone le difficoltà e i pericoli, i mari, il più rapido spostamento. Però, soprattutto quando ciò avveniva nelle aperte immensità del mare, il navigare diventava dipendente dalle condizioni atmosferiche, sicché con il vento a favore era una delizia vedere scorrere i vascelli sull’acqua, ma quando questo era contrario, per andarvi contro era necessaria la capacità di marinai esperti per eseguire le manovre richieste nella maniera giusta, cioè girare la barca sì da evitare quell’angolo morto (tra i 40° e i 45°) dove le vele fileggiano, cioè si sgonfiano.

E, così, ci furono coloro che iniziarono a pensare se ci fosse un modo per superare questa enorme difficoltà, partendo dal presupposto che la soluzione sarebbe stata quella di produrre potenza ed energia, in modo autonomo, senza dover ricorrere al contributo del vento o anche delle correnti. Però, il pensare non basta, e per fortuna ci furono anche quelli che agirono, rimuginando fra sé e sé se non fosse possibile inserire nei natanti un motore a vapore.

Per quanto riguarda l’uso del motore per produrre energia meccanica, già in un lontano passato qualcuno aveva intuito la potenzialità derivabile dal vapore acqueo. Stando a quanto è noto, uno di questi era Erone di Alicarnasso, vissuto nel I secolo dopo Cristo, che aveva inventato la cosiddetta eliopila. Sinteticamente, si tratta di una sfera cava, sostenuta da un filo, riempita d’acqua, munita al centro di due tubicini formanti un angolo di 90°, applicati su parti opposte; riscaldando la sfera, all’interno si forma vapore che, sotto pressione per l’aumento della temperatura, cerca una via di sfogo, causandone la rotazione per il principio della fisica di azione e reazione. Fu sicuramente un successo ma, non avendo nessuna applicazione per le conoscenze di allora, entrò nella storia semplicemente come una curiosità.

Bisognò attendere il 1670 per incontrare l’interessamento da parte del Francese Denis Papin per far muovere un pistone, sotto il quale era acqua, entro un cilindro posto verticalmente; l’acqua scaldata, si trasformava in vapore la cui pressione spingeva il pistone verso l’alto e, lasciandola poi raffreddare, calando la pressione, il peso del pistone prevaleva su questa e scendeva. Tutto questo non ebbe applicazioni utili, però il fatto non passò ignorato, come lo dimostra la costruzione del cosiddetto «motore atmosferico», messo a punto dall’Inglese Thomas Newcomen nei primi anni del XVIII secolo: anche questo era basato sull’uso del vapor acqueo, che agiva su un cilindro scorrente entro un cilindro. Però, questa volta l’acqua era in un bollitore esterno e il vapore veniva iniettato alla base del pistone; la pressione aumentava e il pistone saliva fino al suo «fine corsa», quindi si sostituiva il vapore con acqua, che raffreddava, facendo scendere la pressione e, perciò, anche il cilindro. La novità, fra l’altro, stava anche nell’aiuto dato da un contrappeso che si alzava e si abbassava. Ma non ebbe un grande successo, essendo molto ridotta l’efficienza. Tuttavia, diede lo spunto per la costruzione di pompe idrauliche utilizzate nelle miniere per evacuare le venute d’acqua.

Nel 1705 fu inventata la macchina di Newcomen, dal cognome del suo creatore Thomas, che fu un notevole passo in avanti, apprezzato dallo scienziato scozzese James Watt, che era in attività a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo, al punto che, con gli opportuni adeguamenti e miglioramenti, giunse alla costruzione di quella che fu definita la prima macchina a vapore nel vero senso della parola. Nei motori precedenti, c’era sempre un intervallo di tempo necessario per formare il vapore. L’invenzione del cassetto di distribuzione che faceva entrare il vapore sotto il cilindro costringendolo a salire, e poi al disopra dello stesso facendolo scendere, ne rendeva il moto continuo: questo fu ciò che lanciò finalmente il motore a vapore nelle attività dell’uomo. L’invenzione, brevettata nel 1769, consentì all’uomo di demandare alle macchine molte delle fatiche che erano a lui riservate, concedendogli la disponibilità di potenza e lavoro meccanico: un passo eccezionale verso la rivoluzione industriale e il progresso degli ultimi secoli.

L’applicazione del motore a vapore interessò tantissimi settori dell’umana attività: pompe idrauliche, telai tessili, mezzi di trasporto, tanto per fare qualche esempio.

La novità si estese in tutta l’Europa, superò l’Oceano Atlantico e si diffuse in tutto il mondo, dando uno slancio eccezionale alla rivoluzione industriale, appunto. Il cambiamento in meglio delle attività industriali fu talmente incisivo che addirittura ci fu qualcuno che lo paragonò a quello riscontrato nel periodo Neocene, quando l’uomo, da cacciatore e raccoglitore, si trasformò in coltivatore di campi e allevatore degli animali necessari alle sue esigenze.

Tornando ai mezzi di trasporto, come ricordato all’inizio di questa nota, un notevole passo in avanti fu fatto per ciò che riguarda la navigazione, giacché il montaggio su un natante di un motore lo rendeva indipendente dai capricci del vento e dalle sue bonacce.

La prima applicazione del motore su un battello che abbia funzionato, seppure allo stato sperimentale, è quella che risale al 1783, dovuta all’ingegnere e inventore francese Claude-François-Dorothée, marchese di Jouffroy d’Abbans; con questo, denominato Pyroscaphe, egli navigò controcorrente lungo il corso del fiume Soana, che scorre nei pressi di Lione.

Nel 1787, John Fitch fu il primo costruttore di un’imbarcazione funzionante a vapore. Era un battello lungo 15 metri, con il quale, il 22 agosto, navigò nel fiume Delaware, ottenendo un pieno successo, così come lo ebbero le sue navi che solcavano le acque di vari fiumi e laghi degli Stati Uniti. Egli era un inventore valido: sue furono varie idee per ottenere la propulsione, quali l’applicazione delle pagaie, delle ruote a pale e delle eliche a vite. I costi che doveva affrontare per la costruzione delle sue imbarcazioni non lo impensierivano, ma purtroppo impensierirono i finanziatori, che lo piantarono; sicché, tutto il suo lavoro finì in un nulla di fatto.

Per quel che riguarda l’elica, i tempi non erano maturi, e perciò si ritornò a ciò che si aveva a disposizione. La soluzione era sempre quella suggerita dai mulini ad acqua, noti sin dall’antichità (Vitruvio, vissuto nel I secolo avanti Cristo, li descrisse nel suo Trattato di architettura), con la differenza che nei mulini è l’acqua a fornire l’energia necessaria a fare girare le ruote, mentre nel piroscafo è quella fornita dal vapore. I primi piroscafi, dunque, erano forniti di due enormi ruote fissate sui due fianchi dello scafo.

Un grande contributo alla navigazione con motori a vapore venne dall’ingegnere inventore americano di origine irlandese Robert Fulton, al quale si devono idee e marchingegni legati alla navigazione interna.

Fra l’altro, ritengo doveroso spendere due parole in merito a un’invenzione non capita e bistrattata da coloro che avrebbero dovuto finanziarla. Fu sua l’invenzione del sottomarino. Egli si recò a Parigi, dove espose al Governo Francese la sua idea, chiedendo che gli fosse concesso il finanziamento necessario per la sua costruzione, cercando di convincerlo con l’affermazione che un tale mezzo di guerra sarebbe potuto essere decisivo per gli esiti del conflitto in atto con l’Inghilterra. Per meglio far comprendere il peso di una tale arma bellica, tratteggiò uno scenario apocalittico per il nemico che si trovava sulle navi, colto di sorpresa e indifeso contro la nuova arma. Ebbene, Napoleone e il suo Governo ritennero che l’uso di quello strumento di guerra sarebbe stato «un modo vile e disonorevole di combattere», per cui non ne vollero sapere nulla. (Questa soluzione mi lascia perplesso, perché un conto può essere che l’invenzione non convinca fino in fondo, e va bene, ma sentire dei governanti che dichiarano che quel modo di combattere sarebbe stato vile e riprovevole, scusate, ma da quando in qua i combattenti di una parte si preoccupano di quelli che si trovano di fronte? Mistero!...). Comunque, egli costruì il Nautilus, e le sue vicissitudini sono tutta un’altra storia, per cui ritorniamo sulla strada per un attimo lasciata.

Nel 1806, Fulton iniziò la costruzione della nave Clermont, nome del terreno di Livington sul fiume Hudson. I vicini ritennero che ciò che stava facendo fosse una pazzia, tanto che denominarono il vascello «Fulton’s Folly» (Follia di Fulton). L’anno successivo, sulla Clermont, lunga 47 metri e larga 6, fu applicato uno dei motori inventati da Watt, della potenza di 18 cavalli, che faceva ruotare le pale di 5 metri di diametro. E i denigratori dovettero ricredersi, giacché il suo viaggio inaugurale, con a bordo illustri ospiti, il 17 agosto navigò con successo lungo il fiume Hudson dalla città di New York ad Albany, a una velocità valutata non meno di sei volte quella delle navi a vela: pertanto fu un successo in tutti i sensi. Invero, la nave percorse i 241 chilometri di distanza fra le due città in 32 ore contro le quattro giornate necessarie per le navi a vela; il ritorno, con il favore della corrente, fu di 30 ore.

A questo punto, ci si rese conto che era il momento si sistemare la nave in modo da accogliere i passeggeri degnamente, preparando le cabine, coprendo il motore e munendo le ruote di paraspruzzi; dopodiché, essa iniziò il suo servizio di trasporto di passeggeri e merci sullo stesso percorso, ripetuto ogni quattro giorni, fino all’arrivo dell’inverno con i ghiacci galleggianti che ne ostacolavano la navigazione.

Durante quel periodo iniziale, sorsero diverse difficoltà, più che per questioni tecnico-meccaniche, per l’attrito esistente fra la Clermont e i comandanti delle navi a vela che, guarda caso, qualche volta sbagliavano manovra con i loro natanti e andavano a sbattere contro le sue ruote. Infatti, se da un lato la prova fu altamente positiva, dall’altro diede decisamente fastidio a coloro che esercitavano la professione di barcaioli del fiume e che temevano che la concorrenza del piroscafo fosse tale da lasciarli senza lavoro; e così, per evitare il peggio, credettero bene di procedere alla sua demolizione.

Comunque, non demorse, e nel 1810 costruì la nave New Orleans, che fu adibita al trasporto di passeggeri e merci lungo il corso inferiore del Mississippi. Gli affari andavano per il meglio, tanto che, nel 1814, il fratello Edward di Livington, aveva un servizio regolare lungo il Mississippi con partenza da New Orleans, con le navi che raggiungevano la velocità di 5 chilometri orari andando contro corrente e 13 chilometri orari con il suo favore.

Intanto, nel 1812, gli Stati Uniti erano in guerra con l’Inghilterra e il Governo Statunitense assunse Fulton per fargli progettare una nave a vapore da guerra, battezzata con il nome Demologos, che fu la prima nella storia. Consisteva in due scafi galleggianti paralleli con sopra batterie di cannoni, mentre dentro l’una era la caldaia, dentro l’altra era il motore a vapore; erano separate nel mezzo per alloggiare la ruota motrice a pale che, in tal modo, era maggiormente protetta. Naturalmente, la nave, fortemente corazzata, pesava un’esagerazione (2.745 tonnellate), per cui la sua velocità non poteva essere eccessiva, limitandosi agli 11 chilometri orari. Le prove diedero risultati soddisfacenti, ma in ogni modo, quella corazzata non fu mai utilizzata in battaglia.

Ciò che dispiace fu la morte prematura di Fulton, avvenuta nei primi mesi del 1815. Mentre con un amico camminava sul ghiaccio del fiume Hudson, questi lo ruppe cadendo nel foro provocato; Fulton, per salvarlo si gettò nell’acqua ghiacciata e il grosso raffreddore, che già lo faceva soffrire, si trasformò in una micidiale polmonite, che il 25 febbraio non gli dette scampo.

Intanto, nel 1816, ci fu l’intervento di Henry Miller Shreve, che costruì il suo battello a vapore Washington, che percorse il tragitto di 1.136 chilometri fra New Orleans e Louisville in 35 giorni: un risultato sorprendente.

Naturalmente, il mezzo di trasporto diede ottimi risultati nell’economia del Paese: per avere un’idea di ciò, basti pensare che gli attracchi di navi a New Orleans, erano passati dai 20 iniziali, ai 1.200 l’anno, con il trasporto, oltreché di passeggeri, di merci, fra cui primeggiavano lo zucchero e il cotone. Ma i miglioramenti si susseguirono, tanto che quel percorso, nel 1853, poteva essere superato in appena quattro giorni.

Impressionato favorevolmente dai risultati ottenuti da Fulton, l’imprenditore capitano francese Pietro Andriel fu intenzionato a farsi costruire una nave che montasse la nuova tecnologia. Per questo, nel 1817, si rivolse al Sovrano delle Due Sicilie, Ferdinando I di Borbone, che si dimostrò entusiasta del progetto, tanto che non solo gli finanziò la costruzione del vascello, ma gli concesse pure l’esclusiva della navigazione a vapore nelle acque del suo Regno. La nave, denominata inizialmente Real Ferdinando per diventare successivamente Ferdinando I, lunga 38,80 metri e larga 6,15, fu costruita nel cantiere navale di Castellammare di Stabia dal capocantiere Stanislao Filosa; il costo finale fu di 5.780 ducati pari, secondo alcuni, a un centinaio di migliaia di euro odierni.

Il viaggio inaugurale iniziò il 27 settembre 1818, continuò nelle acque del Mediterraneo con soste nei porti di Livorno, Genova e Marsiglia, ottenendo il successo sperato. È stata la prima nave a vapore a viaggiare nel Mediterraneo.

Ma ben presto ci si rese conto che il piroscafo aveva dei limiti, non potendo essere utilizzato per lunghi percorsi, perché la caldaia necessitava di una quantità enorme di combustibile.

E la dimostrazione di questa limitazione fu confermata da un fatto che avvenne vent’anni dopo l’inaugurazione della Ferdinando I, precisamente nel 1838.

In quell’anno, i due piroscafi Sirius e Great Western intrapresero la traversata dell’Atlantico nella quale fecero una gara di velocità per stabilire quale dei due giungesse per primo. Giunse per prima la Sirius che, però, dovette bruciare gli arredamenti delle cabine per fornire il combustibile necessario a mantenere viva la caldaia. E in quell’occasione fu proprio il costruttore della Great Western a rendersi conto che le grandi distanze potevano essere affrontate solamente da navi di grosso tonnellaggio, perché più capienti erano e più combustibile potevano portare con sé; infatti, la sua nave era di dimensioni enormi.

Un altro passo in avanti si riscontrò verso la metà del XIX secolo, quando si cominciarono a vedere scafi che, invece di essere costruiti in legno, lo erano in metallo. E comparvero vascelli misti a motore e a vela, e nello stesso tempo, le eliche al posto delle ruote; questa scelta era dovuta a tre ragioni ben precise: la prima riguardava il fatto che il legno male sopportava le vibrazioni indotte dal motore, la seconda che, in caso di moto ondoso di una certa entità, le ruote potevano uscire dall’acqua e, girando a vuoto, potevano danneggiare il motore, e la terza era chiaramente in opposizione a barcaioli che a danneggiare gli scafi si trovarono in notevoli difficoltà.

Attorno al 1870, erano in navigazione più navi a motore che a vela, anche perché le prime erano meglio governabili, per esempio, al momento di attraversare il Canale di Suez, progettato dall’Italiano Luigi Negrelli, realizzato in Egitto dal Francese Ferdinand de Lesseps e inaugurato il 17 novembre 1869. La tradizione della navigazione a vela faceva fatica a essere abbandonata, ma nel 1875 erano solamente tre i Paesi che continuavano a costruire navi a vela (Italia, Norvegia e Canada), mentre la Germania e l’Inghilterra si adoperavano per costruire grandi transatlantici di lusso. Naturalmente il progresso va avanti, e la navi a vapore ebbero la meglio, con motori che consentivano velocità attorno ai 40 chilometri orari, come quelli che facevano funzionare lo sfortunato Titanic e il fratello gemello Olympic.

E i trasporti su terra? Inizialmente, fu difficile coniugarne l’uso del motore a vapore, ma quando ci furono coloro che seppero montarlo in modo adeguato su strutture con ruote, le ferrovie fecero un vero e proprio salto in avanti, tanto da superare il predominio delle navi a vapore; ciò perché le navi erano vincolate a percorsi obbligati dettati dai corsi dei fiumi e dalle condizioni atmosferiche, mentre l’uomo poteva costruire le ferrovie dove meglio desiderava, scegliendo i percorsi verso ogni direzione, senza limitazioni; questo è tanto vero che, nel 1870, negli Stati Uniti l’uso delle ferrovie tendeva a mettere nell’angolo i vascelli a vapore.

I navigli di Fulton furono essenziali nella rivoluzione industriale americana, mettendo insieme il piacere del viaggiare e la possibilità dell’espansione verso i Paesi del Pacifico e, per di più, consentendo alla Marina degli USA a diventare una potenza militare di enorme peso nella scena mondiale.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i motori a vapore andarono tristemente in pensione, sostituiti dai meno ingombranti e più potenti motori diesel; solamente pochi mezzi a vapore continuano a mostrarsi come malinconici residui del passato.

Fulton fu uno dei personaggi chiave della storia degli Stati Uniti e il suo ricordo è sempre presente nella statua esposta nella National Statuary Hall del Campidoglio degli Stati Uniti ha e nelle cinque navi della Marina che portano il suo nome. Ma non basta: nella Fulton Hall è il dipartimento di ingegneria navale.

(ottobre 2023)

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