Paradosso e sogno degli Americani secondo John Steinbeck
Queste pagine, tratte da un’opera John Steinbeck (scrittore, giornalista e cronista di guerra, a cui nel 1962 fu conferito il Premio Nobel «per le sue scritture realistiche ed immaginative»), dipingono un vivace affresco della società americana nella metà degli anni Sessanta

Una delle generalizzazioni osservate più spesso nei confronti degli Americani è che sono un popolo insoddisfatto, irrequieto, sempre alla ricerca di qualcosa. Mordono il freno e si impennano sotto un fallimento e si infuriano di insoddisfazione di fronte al successo.

Passano il loro tempo a cercare la sicurezza e detestano ciò che riescono ad ottenere. In maggior parte sono un popolo intemperante: mangiano troppo appena possono, bevono troppo, indulgono troppo al piacere dei sensi. Anche nelle cosiddette virtù sono intemperanti; un astemio assoluto non si accontenta di non bere alcool, ma deve smettere di bere ogni bibita di questo mondo; un vegetariano è disposto a mettere fuori legge il mangiare un solo pezzettino di carne. Gli Americani lavorano troppo sodo e molti muoiono sotto la tensione; e poi, per pareggiare questo eccesso, si danno al gioco della violenza, che è spesso il suicidio.

Il risultato di ciò è che sono di continuo in uno stato di tumulto e di disordine, sia fisicamente che mentalmente. Sono capaci di credere che il loro governo è debole, stolido, prepotente, disonesto ed incapace e nello stesso tempo sono profondamente convinti di avere il governo migliore del mondo e vorrebbero imporlo ad ogni altro popolo. Parlano dello stile di vita americano come se questo implicasse le norme fondamentali del governo celeste.

Un uomo disoccupato ed affamato per la stupidità propria e degli altri, un uomo battuto da un poliziotto brutale, una donna costretta alla prostituzione dalla sua stessa indolenza, dai prezzi troppo alti, dalla disponibilità e dalla disperazione, tutta questa gente si inchina con riverenza davanti allo stile di vita americano, anche se ognuno resterebbe stupito, perplesso e irato, se richiesto di definire che cosa sia esattamente l’«American Way of Life».

Gli Americani si trascinano e si dimenano sulla via sassosa verso la pentola d’oro, che ritengono rappresentare la sicurezza. Calpestano amici, parenti e sconosciuti che tagliano loro la strada che li porta alla méta; e appena raggiungono questa méta, la diffondono e la seminano sugli psicanalisti, per cercare di scoprire perché sono infelici ed infine, se posseggono oro a sufficienza, lo restituiscono alla Nazione sotto forma di fondazioni ed istituti di beneficenza. Combattono per avere la loro strada d’ingresso e cercano di comperare la loro via d’uscita. Sono vigili, curiosi, pieni di speranza e consumano più medicine adatte a renderli incoscienti di ogni altro popolo al mondo. Hanno una grande fiducia in loro stessi e nello stesso tempo dipendono completamente dall’esterno. Sono aggressivi ed indifesi.

Gli Americani indulgono anche troppo nei confronti dei loro bambini, ma non li amano; i bambini a loro volta dipendono eccessivamente dai genitori, verso i quali sono pieni di odio.

Si compiacciono di quello che posseggono, delle loro case, della loro educazione; ma è difficile trovare un uomo o una donna che non desideri qualcosa di meglio per la generazione avvenire. Gli Americani sono notevolmente gentili, ospitali e aperti tanto con gli ospiti quanto con gli estranei; e tuttavia formano un largo circolo intorno a un uomo che agonizza in mezzo alla strada. Spendono patrimoni per far scendere gatti dai rami degli alberi e per salvare cani dalle condotte delle fognature; ma una ragazza minacciata e che urla dal terrore invocando aiuto in mezzo alla strada riesce soltanto a farsi sbattere porte e finestre in faccia e a trovare un profondo silenzio.

Gli Americani sembrano vivere, respirare e funzionare in base ad un paradosso; ma in nessuna cosa sono così paradossali, quanto nella ferma credenza dei loro miti. Si ritengono veramente dei meccanici nati e gente che sa farsi tutto da sé. Passano la loro vita in automobile, ma la maggior parte di loro, almeno moltissimi, non conoscono abbastanza un’automobile da saper guardare nel serbatoio della benzina, quando il motore non funziona. La loro vita, quale la vivono, non funzionerebbe senza elettricità, ma è raro che un uomo o una donna, quando la corrente elettrica viene a mancare, sappia cercare una valvola bruciata e sostituirla. Credono implicitamente d’essere gli eredi dei pionieri, di aver ereditato l’autosufficienza e la capacità di badare a loro stessi, particolarmente in rapporto alla natura.

Non vi è tra loro un uomo su diecimila che sappia macellare un bovino o un maiale e tagliarlo a fette per mangiarlo, per non parlare nemmeno di un animale selvatico. Per dote naturale, sono grandi tiratori di fucile, ma quando si apre la stagione della caccia si verifica un macello di esseri umani e di animali domestici, ad opera di uomini che non potrebbero colpire un vero bersaglio, anche se lo riuscissero a vedere. Gli Americani tesaurizzano il concetto di vivere accanto alla natura, ma sempre meno agricoltori riescono a nutrire un numero di persone sempre più grande, e appena se lo possono permettere, mangiano cibi in scatola, comperano pranzi surgelati da consumare davanti alla TV e si recano a fare acquisti presso i rosticcieri specializzati in «delicatessen».

L’incremento urbanistico significa trasferirsi nelle zone suburbane, ma il pendolare americano vede, quando gli riesce, meno campagna del cittadino che abita in un appartamento di città con le sue finestre che sporgono, invetriate, e le sue violette africane teneramente curate sotto la luce. In nessun Paese si comperano più semi, piante ed attrezzature adatte allo scopo e si coltivano meno vegetali e fiori.

I paradossi si trovano da per tutto: gli Americani gridano con quanta voce hanno in gola che sono una Nazione retta dalle leggi, non dagli uomini, e poi passano a infrangere ogni legge possibile, se riescono a farlo senza rischio alcuno. Orgogliosamente ripetono ad ogni piè sospinto che loro fondano le loro posizioni politiche sui problemi che li assillano, ma poi votano contro un uomo a causa della sua religione, del suo nome o della forma del suo naso.

Talvolta hanno l’aria di essere una Nazione di puritani pubblici e di dissoluti privati. Non ci sono davvero eccessi come quelli perpetrati da uomini di famiglia retti, che sono lontani da casa per partecipare ad una riunione d’affari. Credono nella virilità dei loro uomini e nella femminilità delle loro donne, ma arrivano al massimo delle spese e delle scomodità per nascondere ogni prova naturale che sono l’una e l’altra cosa. Fin dalla pubertà, sono ossessionati dalla sessualità; ma i loro tribunali, i loro consiglieri ed i loro psichiatri hanno di continuo a che fare con casi di fallimenti sessuali, o accuse di frigidità o d’impotenza. Un piccolo fallimento d’affari può in modo del tutto normale rendere un uomo sessualmente impotente.

Gli Americani immaginano di essere dei realisti tenaci, ma comperano qualunque cosa su cui vedono la pubblicità, segnatamente alla televisione; e la comprano non in riferimento alla qualità o al valore del prodotto, ma direttamente in conseguenza del numero di volte che l’abbiano udita o vista menzionare. La stupidaggine più impudente in merito ad un prodotto, non la discutono mai. Hanno paura di essere desti, paura di essere soli, paura di restare un momento senza il fracasso e la confusione che chiamano divertimento. Vantano la loro antipatia per l’arte e la musica intellettualistica e popolano sempre più, sempre meglio e più di ogni Paese al mondo saloni di concerti sinfonici, pinacoteche e teatri.

Detestano profondamente l’arte astratta, eppure ne creano più di tutto il resto del mondo messo insieme.

Una caratteristica che rende più perplessi gli osservatori stranieri è il sogno profondo e imperituro d’ogni Americano. A pensarci bene, si scopre che questo sogno ha poco a che vedere con la realtà nella vita americana. Riflettono al sogno e alla fame di una casa: la stessa parola può ridurre quasi tutti gli Americani alle lacrime. Costruttori ed imprenditori non costruiscono mai delle case, ma costruiscono la «casa».

La casa del sogno si trova o in una cittadina o in una zona suburbana dove alberi e prati simulano la campagna. La casa del sogno è una sede permanente, di cui non si paga l’affitto, ma di cui si è proprietari. È un centro dove un uomo e sua moglie invecchiano dolcemente, graziosamente, scaldati dal fulgore di figli e nipotini puliti. Si costruiscono migliaia di queste casette ogni anno, le si progetta, le si fabbrica, le si propaganda e le si vende, e tuttavia la famiglia americana di rado resiste in un posto più di cinque anni. La casa e tutti i suoi accessori sono acquistati a rate e gravemente ipotecati. Il potere del capo famiglia è quasi sempre superiore alle sue energie, così dopo qualche anno egli non è più in grado di far fronte al pagamento dei suoi impegni finanziari. Ciò avviene quando la situazione è di quelle cosiddette precarie.

Supponendo che l’uomo che guadagna abbia successo ed il suo reddito accresca, immediatamente, la casa non è abbastanza grande o non si trova nei paraggi preferiti. O magari la vita suburbana diventa monotona e noiosa e allora la famiglia si trasferisce in città, dove l’attirano gli svaghi e le comodità.

Alcuni di questi movimenti avanti e indietro sembrano semplicemente il risultato di una pura irrequietezza, di un puro nervosismo.

Vi sono persone che mantengono lo stesso posto di lavoro per vent’anni, o anche trenta o quaranta, e ricevono un orologio d’oro in premio; ma il numero di questi vecchi e fedeli impiegati è in continua diminuzione. Una parte di questi trasferimenti è legata alla natura dell’impiego stesso. I lavori in fabbrica, nei supermercati, nelle imprese di mediazioni per lavori edili, nella costruzione di ponti, edifici pubblici, o altri stabilimenti industriali sono spesso temporanei; il lavoro portato a termine, le tasse, gli stipendi locali in aumento o le vendite in diminuzione possono obbligare una impresa d’affari a trasferirsi in una nuova zona. Inoltre, molte grandi società anonime seguono la tattica di trasferire i dipendenti dall’una all’altra delle loro molte filiali. Il dipendente, col suo sogno di una casa, si accorge di perdere quattrini ad ogni trasferimento. Coloro che vendono case traggono profitto dalla svalutazione dell’immobile e dagli interessi sul prestito, ma il proprietario privato che vuole cedere la sua casa di sogno e traslocare in un’altra si accorge di subire sempre una perdita. Ma il sogno, comunque, non muore: assume semplicemente un’altra forma.

Oggi, con l’antica tendenza americana di cercare pascoli sempre più verdi ancora vivissima, il nuovo sogno è divenuto quello della casa su ruote, la casa mobile. Non è una roulotte; è una vera e propria casa d’abitazione, dalla forma allungata e stretta, e con le ruote che permettono, se necessario, di correre sulle autostrade per giungere ad una nuova regione.

In una casa mobile, un uomo non deve rimetterci quando lo trasferiscono; la sua casa lo accompagna ovunque vada.

Fino a pochissimo tempo fa, quando le autorità locali si erano accinte a trovare il modo di far pagare al signor Ebreo Errante i suoi trasferimenti, un proprietario di casa su ruote, che abitava in una zona affittata in un parco per roulotte, poteva evitare le tasse ed i tributi locali, mentre si serviva delle scuole pubbliche e delle altre comodità che le cittadine americane consentono alla loro popolazione. Lo stile di vita mobile, il «mobile way of life», non è naturalmente una cosa nuova al mondo.

È più che probabile che gli uomini siano vissuti in questo modo per centinaia di migliaia di anni prima di concepire addirittura lo stanziamento in comunità stabili: i mandriani seguivano gli armenti, i cacciatori seguivano la selvaggina e tutti fuggivano davanti alle intemperie. I Tartari trasferivano interi villaggi sulle ruote e gli zingari, duri a morire, non hanno mai abbandonato le loro carovane. Le popolazioni ritornano con entusiasmo alla vita mobile per ritrovare qualcosa che esse riconoscono, e se possono raddoppiare il loro sogno, avere nello stesso tempo una casa mobile come simbolo e la mobilità, riescono a realizzarlo.

Ormai esistono enormi stanziamenti di queste case metalliche raggruppate ai margini delle città americane. Piantano appezzamenti di prato e cespugli, vengono tesi tendoni e compaiono le sedie a sdraio da giardino. La vita comunitaria sorge in breve, una vita che ha tutti i segni di quella sedentaria, i criteri del successo o del fallimento che si trovano altrove in America.

Non si vuol dire che la vita americana sta subendo una fase di trasformazione, ma, come sempre nella storia dell’uomo, porta con sé un po’ del suo passato.

I costruttori d’automobili hanno scoperto e incrementato l’aspirazione americana alle condizioni sociali. Cambiando i ritrovati e gli accessori ad ogni nuovo modello d’automobile, sono riusciti a dare la sensazione a ogni proprietario d’auto che la sua macchina perfettamente buona era antiquata e non più desiderabile. E dato che l’idea del successo nel mondo di una famiglia, o del suo stato sociale, dipende in una certa misura dal genere d’automobile che una persona guida, questa persona ne compera una nuova anche se non è necessario.

Case mobili antiquate portano la stessa stigmate. Ogni anno compaiono nuovi modelli. Una famiglia che abbia un modello un po’ antiquato, anche se comodo e sano, in breve si sente «declassée». E così le persone più modeste acquistano le case usate, cedute in pagamento di quelle più nuove.

E le città di roulotte hanno paraggi così mostruosamente snob come qualunque altro sviluppo suburbano: ognuno ha il suo «Sugar Hill», il quartiere della classe media superiore e le sue estensioni di baracche.

Il sogno della casa è soltanto una delle illusioni americane profondamente radicate, che, dato che è possibile cambiarle, agiscono da elemento di coesione per tenere stretta insieme tutta la Nazione e renderla diversa da tutte le altre.

Il sogno nazionale americano è tutto un quadro di pensieri e sentimenti e può ben essere un ricordo storico un po’ deformato. Inoltre, coloro che partecipano al sogno non hanno bisogno di discendere da gente a cui la realtà sia veramente occorsa. Questo quadro di pensieri e di comportamento che è il carattere nazionale americano, è assimilato perfino dai figli, nati in America, degli emigrati, ma non viene mai agli stessi immigrati per quanto possano desiderarlo; nascere sul suolo americano sembra un requisito indispensabile.

Fino a poco tempo fa «casa» era un termine reale, e nella lingua inglese è una parola magica. L’antica radice «ham», da cui proviene la parola americana «home» (casa, tetto, focolare) significa il triangolo dove si incontrano due fiumi, che, con un breve vallo, possono essere difesi. Dapprima il termine «home» significò innanzitutto sicurezza e poi, gradatamente, conforto, comodità.

Il simbolo della sicurezza e del conforto per gli Americani rimane solo e soltanto la casa.

È sogno tipicamente americano che essi siano grandi cacciatori, battitori, boscaioli, tiratori infallibili con un fucile o con una doppietta tra le mani; e questo sogno è profondamente alimentato da Americani che non hanno mai sparato un colpo di fucile o cacciato niente di più grosso o più pericoloso di uno scarafaggio.

Un sogno nazionale non ha bisogno di (e infatti non lo deve) essere definito ed esatto.

Pensiamo al sogno della Francia, basato sul ricordo e arso nella fornace della sconfitta e dell’occupazione, seguito dalla frustrazione dei crocevia dalle molte diramazioni, fino al momento in cui Charles-le-plus-Magne (Carlo Magno) rilustrò l’antica parola «gloria» e la fece luccicare.

«La Gloire» fece brillare gli occhi ai Francesi; l’arroganza difensiva si accentuò, più dura, e perfino i filosoficamente disperati si sono rivelati gloriosi e possessivi nella loro disperazione, e i fuligginosi lasciati dai secoli sono stati lavati dalle facciate dei gloriosi palazzi parigini.

Quando questo popolo ispirato cercò degli esempi di gloria, si ricordò del Re Sole, che lo lasciò andare in malora, e dell’Imperatore Napoleone, l’eredità che lasciò fu la disfatta e la semi-anarchia; ma la gloria esisteva tanto negli uomini quanto nei tempi, e la Francia ne aveva bisogno, perché la gloria è dignità, soltanto coloro che non l’hanno ne sentono il bisogno.

Anche per gli Americani il sogno ampio e generale ha un nome. Si chiama «The American Way of Life», lo stile di vita americano.

Gli Americani si rendono chiaramente conto che ci sono delle falle e delle punte nel loro sistema. Desiderosi di andare avanti, di trovare nuove condizioni e nuovi punti di vista, sono tuttavia riluttanti a cambiare la legge tradizionale già in vigore. Quanto è stato scritto sulla carta diffusamente è scritto nei loro cuori ed è molto difficile togliere tali lesioni.

Un simile groviglio di confusione e connessione è la loro curiosa trappola dei diritti dei singoli Stati in quanto opposti a quelli federali.

Quando fu scritta la Costituzione, c’erano tredici distinti Stati confederati, o «commonwealths», che non soltanto avevano le loro identità economiche, sociali, religiose e geografiche, ma proprio a causa delle distanze, della mancanza di comunicazioni, di strade e così via, erano costretti a conservare le loro distinte forme di governo. Gli Stati originari non erano nemmeno in grado di concepire di chiedere l’aiuto federale nel campo dell’istruzione, dell’igiene, del controllo portuale, dei disastri, delle strade, e delle vie di comunicazione nel campo delle direttive e dei sussidi.

È esatto che alcuni Stati strinsero alleanze molto libere, come quelle della Nuova Inghilterra e del Sud; ma restavano sempre tredici piccole Nazioni, singole e più o meno sufficienti.

Il bisogno della sopravvivenza ha mutato questa condizione, ma il cambiamento più profondo si verificò quando, durante la grande crisi economica, il governo federale si assunse la responsabilità della salute e del benessere di tutti i cittadini. Questa fu una seconda autentica rivoluzione. I diritti degli Stati sono, oggi, in larga misura, un anacronismo.

D’altra parte, i diritti civili ed il suffragio universale sono specificamente menzionati in tre emendamenti della Costituzione, sostenuti dalla Legge dei Diritti Civili del Congresso, come senz’ombra di dubbio responsabilità del governo federale, che è chiaramente tenuto a far rispettare la legge e punire chiunque non l’osservi.

E qui troviamo uno dei paradossi americani più straordinari.

Questi gruppi e singoli cittadini, pubblici e privati, il cui scopo è di respingere le leggi dei diritti civili e, appellandosi ai diritti dei singoli Stati, rendere nulla la legge federale, protestano a gran voce contro l’ingiustizia del regolamento federale. O crimini di violenza, in casi del genere, sono ignorati, o, se i criminali sono sottoposti a processo, e ciò accade molto di rado, vanno assolti. Il governo federale non può far entrare in vigore una legge, quando i metodi di sovversione sono al di là di dove possa arrivare il suo braccio. Gli ordini di un tribunale e le accuse di disprezzo della corte hanno ben poco effetto di fronte alla violenza impunita. L’unico ricorso del governo, l’impiego delle truppe per domare l’agitazione delle masse civili, è un mezzo che non ha mai mancato di fare più male che bene.

Oramai un governo che non sia in grado di fare rispettare la sua propria legge cessa in breve di essere un governo. La forza della pressione dei negri, sostenuta da una maggioranza di Americani bianchi, non consentirà di ricacciare i diritti civili nel limbo in cui gli emendamenti della Costituzione hanno nascosto il capo per un secolo. La sola alternativa è una legge federale che faccia di ogni reato, commesso allo scopo di negare o proibire i diritti civili, un delitto federale, soggetto a giudizio di tribunali e giurie federali, con il diritto d’opzione di un cambiamento di sede, quando le autorità locali si prendano gioco della legge.

La minaccia maggiore di tale legge potrebbe riuscire a dare ai singoli Stati il pretesto di assumersi il compito della propria salvezza. I cambiamenti di questi ultimi anni sono stati enormi, ma sono finalmente arrivati al nucleo stesso della ribellione chiusa a difesa, e questa ribellione deve essere eliminata prima che si possa avviare verso un avvenire degno di essere vissuto.

Nessuna buona società può crescere e svilupparsi se ha le radici in un suolo sterile.

(gennaio 2012)

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