Ernesto Che Guevara, il mito
L’eroico combattente latino-americano
presentava in realtà degli aspetti decisamente diversi da
quelli presentati dalla letteratura agiografica
Alberto «Korda» Gutierrez, foto di Che Guevara intitolata Guerrilero heroico, 5 marzo 1960, Museo Che Guevara, Havana (Cuba)
Da sempre il guerrigliero «cubano» ma di origine argentina, è stato descritto come una figura eroica e fortemente innovativa rispetto al tipico leader comunista. Questa descrizione corrisponde in parte al vero, il «Che» era sicuramente un personaggio meno freddo e impenetrabile dei conformistici leader comunisti tradizionali, ma molto di ciò che si dice del personaggio risulta lontano dalla realtà. Scorrendo su Internet noi vediamo un gran numero di siti dedicati al personaggio, alla sua vita e ai suoi scritti. Molto raramente però leggiamo sui siti italiani quello che fu il suo primo incarico a Cuba dopo la rivoluzione, ovvero la direzione del grande carcere di La Cabaña. In tale incarico il Che si distinse per la sua volontà di persecuzione nei confronti dei detenuti politici, molti dei quali passati per le armi. Degli anni della rivoluzione il giornalista inglese Paul Johnson ricorda che gli uomini di Guevara combatterono pochissimo, e nella famosa battaglia di Santa Clara, passata alla storia come la svolta definitiva della rivoluzione, i guerriglieri riportarono non più di sei vittime. Il capo guerrigliero non mancava di alcune asprezze, in un suo intervento, un anno dopo la rivoluzione, affermò: «Nell’Esercito Ribelle si pensa che il fatto di costituire l’esercito popolare basti a porlo al di là della disciplina, e che la disciplina sia qualcosa che aveva motivo di esistere solamente nell’antico esercito e che nel nuovo non sia più necessaria. Si tratta di un’idea falsa e pericolosa».
Negli anni Sessanta si ebbero a Cuba per esplicita ammissione governativa 20.000 internati nei campi di concentramento per motivi politici, operazione pienamente avallata dal grande rivoluzionario. Come responsabile del settore economico il Che dimostrò molta insensibilità per le necessità della gente, privilegiando come di consueto nei regimi comunisti di quegli anni, l’industria pesante e la più rigida pianificazione. Il Che non era particolarmente prodigo nei confronti dei lavoratori, si espresse contro il diritto di sciopero e a proposito del ruolo dei sindacati sostenne che «i sindacati sono strettamente legati all’aumento della produttività e alla disciplina del lavoro, pilastri nell’edificazione del socialismo». Tale politica non favorì lo sviluppo economico del Paese, non solo molti progetti industriali e urbanistici rimasero incompleti, ma l’agricoltura venne danneggiata, e il Paese altamente produttivo in questo settore, vide l’introduzione del razionamento alimentare.
Dopo la rottura con il governo per la politica prudente e «realista» di Fidel Castro, intraprese la sua avventura in Congo, dove le formazioni guerrigliere erano ispirate più da finalità xenofobe che da intenti rivoluzionari. Infine raggiunse la Bolivia. Nel Paese latino-americano non ottenne il consenso del locale partito comunista, che in realtà si sentiva scavalcato dall’iniziativa, e non ottenne il consenso dei contadini indios che avevano ottenuto in quegli anni importanti concessioni dal governo di Paz Enstensoro, un social-democratico che aveva realizzato la riforma agraria in accordo con il governo degli Stati Uniti. Isolato e privo di qualsiasi piano d’azione, il piccolo gruppo di guerriglieri venne catturato e passato per le armi.