Richelieu, Armand-Jean du Plessis
Il Cardinale con propositi laici che diede un grande contributo al potenziamento dello Stato

Richelieu

Philippe de Champaigne, Ritratto del Cardinale Richelieu, 1633-1640, National Gallery, Londra (Gran Bretagna)

Cardinale e uomo politico francese (Parigi, 1585-1642).

La madre, Susanne de la Porte, figlia di un celebre avvocato parigino, rimase vedova di un piccolo nobile del Poitou quando il futuro ministro aveva appena cinque anni; dapprima ella destinò il figlio alla carriera delle armi, e perciò il Richelieu entrò al Collegio di Navarra, ma qualche anno dopo, in seguito alla rinuncia del fratello Alfonso al Vescovado di Lucon, al quale la famiglia aveva diritto e a cui non voleva rinunciare, egli vi fu preconizzato.

Era tuttavia giovane e dovette attendere fino al 1608 per coprire effettivamente quella cattedra episcopale, dopo aver studiato all’Università di Parigi ed essere stato a Roma, guadagnandosi la simpatia di Paolo V e della corte pontificia.

Negli anni seguenti il Richelieu fece alcuni tentativi, rimasti però infruttuosi, di partecipare alla vita politica, soprattutto dopo la morte di Enrico IV (1610); solo nel 1614 poté essere nominato rappresentante del clero del Poitou agli Stati Generali e rimanere in tal modo a Parigi, abbandonando la sua diocesi. Peraltro aveva tenuto il suo Vescovado con dignità ed esso gli aveva consentito di procurarsi una grande esperienza amministrativa e importanti relazioni nel mondo cattolico, che più tardi gli saranno molto utili.

I primi passi non furono fortunati, ché, nel 1617, Alberto di Luynes, il favorito del giovane Re Luigi XIII, provocò la disgrazia della regina madre, Maria de’ Medici, che aveva notato il Richelieu e ne aveva favorito la nomina, da parte del ministro Concini, a Segretario di Stato (1616). Così anch’egli dovette lasciare Parigi e ritirarsi ad Avignone, dove si immerse in studi di teologia. Ma il volontario esilio fu breve, perché gli venne offerta l’occasione propizia per acquistare un notevole titolo alla riconoscenza della corte negoziando la pace tra Luigi XIII e la madre (agosto 1620). Infatti, due anni dopo, ottenne per intercessione di Maria de’ Medici il cappello cardinalizio, e il 12/8/1624 fu nominato ministro. Alla fine di quell’anno era riuscito a diventare arbitro del Consiglio del Re, essendosi liberato di tutti i rivali.

Molto abilmente agiva anche sul sovrano, lusingandone il desiderio di esercitare una piena autorità. Ebbe inizio così, dapprima più incerta e poi via via sempre più decisa, la sua azione per ridare al Paese una posizione di predominio in Europa e per affermare all’interno il potere della monarchia sui privilegi feudali e sui ceti che si ritenevano autonomi.

Nella politica estera il Richelieu rialzò il prestigio della Francia, facendola attivamente intervenire nelle più gravi questioni del tempo, e soprattutto lottando contro gli Asburgo d’Austria e di Spagna, i quali estendevano la loro potenza su gran parte del continente.

A tal fine, cercò inizialmente di rendere più difficili i passaggi fra la Lombardia e la Germania, passaggi che erano di vitale importanza sia per Filippo IV, sia per l’Imperatore Ferdinando II; così nel 1626 riuscì a consolidare il potere dei protestanti Grigioni sulla cattolica Valtellina aiutata dalla Spagna. Inoltre nella penisola sostenne più attivamente tutti coloro che temevano l’eccessiva preponderanza spagnola e desideravano che essa fosse equilibrata da un altro Stato. Occupò Pinerolo e la Savoia per punire il Duca di Savoia Carlo Emanuele I, che aveva contrastato i suoi piani nella questione della successione al Ducato di Mantova, per cui il Richelieu aveva avanzato la candidatura di un principe francese.

Dal 1630 al 1635 appoggiò la Svezia e il suo Re, Gustavo Adolfo, sceso in guerra contro l’Impero e, nel 1635, dopo aver stretto alleanza con i Paesi Bassi e con parecchi principi tedeschi, entrò nella lotta egli stesso, forte della nuova potenza militare francese (19/5/1635).

Infatti si può dire che il Richelieu abbia costituito per primo un grande esercito stanziale, portandone rapidamente gli effettivi da dieci a dodicimila uomini prima, a sessantamila, e poi a centocinquantamila. Creò anche gli intendenti, con l’incarico di fornire le armi e il materiale ai combattenti e soprattutto di organizzare i rifornimenti requisendo viveri e carriaggi (una delle deficienze più gravi degli eserciti sino allora era la mancanza di un pronto vettovagliamento). Nei primi anni la guerra non si svolse favorevolmente (nel 1636 l’armata spagnola e imperiale, dopo la vittoria di Corbie, aveva invaso la Piccardia, minacciando direttamente Parigi), ma più che sul piano militare l’abilità del Richelieu si rivelò, come al solito, sul piano diplomatico.

Approfittando del malcontento diffuso nella Penisola Iberica e delle difficoltà in cui si dibatteva il governo spagnolo, riuscì infatti a far sollevare il Portogallo e la Catalogna, che nominò Luigi XIII conte di Barcellona: fra il 1640 e il 1642 occupò l’Artois, la Cerdagna e il Rossiglione, province da lungo tempo desiderate dai sovrani francesi. In Italia, l’offensiva dei Francesi condusse a risultati importanti; infatti essi riuscirono ad occupare quasi tutto il Piemonte e, mantenendo saldamente le fortezze di Casale e di Saluzzo, poterono resistere ai ripetuti attacchi spagnoli, fra cui particolarmente pericoloso fu quello del 1639, che ridiede al nemico il possesso di buona parte della regione; respinto questo attacco, il Richelieu riprese l’offensiva e nel 1641 le sue truppe occupavano Ceva, Carrù, Mondovì e giungevano ad assediare Cuneo; poco prima della sua morte, nel novembre del 1642, espugnavano la Rocca di Tortona, facendo supporre non difficile una invasione dello Stato di Milano.

Il suo successore, il Cardinale Mazzarino, raccoglierà i frutti di questa abile condotta e preparerà il predominio francese sull’Europa, sancito dalla pace dei Pirenei (1659), e poi dalla grandiosa politica di Luigi XIV.

All’interno occorreva combattere gli Ugonotti e abbassare la nobiltà, perché in un regime monarchico fortemente accentrato non poteva esservi posto per una politica di opposizione a quella del Re, come non poteva esservi posto per una politica autonoma dei riformati.

I protestanti avevano ottenuto, con l’editto di Nantes, il diritto di occupare alcune piazzeforti, fra cui la più importante era La Rochelle, e si schieravano apertamente contro la nuova affermazione del potere sovrano, mostrando l’intenzione di ricorrere al Re d’Inghilterra, Carlo I; d’altra parte, il Cardinale non poteva tollerare che si attentasse alla monarchia, di cui era rigido difensore; inoltre la fortezza di La Rochelle gli era indispensabile per la creazione di una grande marina da guerra. In tal modo ebbero origine le due spedizioni contro la piazzaforte: la prima, con l’aiuto olandese, terminò con una battaglia navale in cui il duca di Soubise fu sconfitto (febbraio 1626); la seconda, guidata personalmente dal Re e dal Cardinale, viene ricordata per l’assedio di La Rochelle, la chiusura del porto con una lunga diga e l’allontanamento degli Inglesi di Buckingham che avevano tentato di impadronirsi dell’isola di Ré (1627); la fortezza dovette arrendersi per fame il 30/10/1628.

Richelieu e i suoi prigionieri

Hippolyte Delaroche, Richelieu trascina i suoi prigionieri sul Rodano, 1829, Wallace Collection, Londra (Gran Bretagna)

L’editto di pacificazione di Nimes (24/7/1629) riconobbe ai riformati la libertà religiosa, ma impedì loro per il futuro di agire contro lo Stato, essendo state soppresse tutte le garanzie militari di cui godevano.

Contro i nobili irrequieti il Richelieu fu inesorabile, anche quando si trattò di colpire personaggi imparentati con la famiglia reale. Nel 1626 una congiura di palazzo si propose di uccidere il Cardinale e di proclamare l’avvento al trono di Gastone, fratello di Luigi XIII, che avrebbe dovuto sposare, subito dopo la morte del sovrano, allora assai gravemente ammalato, la cognata Regina Anna d’Austria. Ma il Richelieu, informato da un perfetto servizio di spionaggio, arrestò i congiurati, costrinse Gastone a sposare una ricca principessa, esiliò parecchi nobili e fece decapitare il marchese di Calais, Enrico di Talleyrand, che ricopriva un alto ufficio a corte. Nel 1630, dopo aver vinto nella cosiddetta giornata «des dupes» (10 novembre) i feudatari che speravano nel suo allontanamento dal governo, non solo esiliò alcune fra le personalità più in vista del regno, ma obbligò la stessa Maria de’ Medici a rifugiarsi nei Paesi Bassi e poi a Colonia (dove morì nel 1642), nonché Anna d’Austria a ritirarsi a Val-de-Grace; confinò inoltre Gastone, prima a Besancon e poco dopo a Nancy (in quella giornata il Re dimostrò di riporre solo in lui la sua piena fiducia).

Nel 1632 fece giustiziare il maresciallo Luigi di Marillac e il duca di Montmorency, governatore della Linguadoca ribellata. Infine, nel 1636, prese le armi contro il conte di Soissons, che venne ucciso, e contro il duca di Bouillon, che si salvò cedendo Sedan al Re; e nel 1642 mandò a morte il marchese di Cinq-Mars, colpevole di aver ordita un’altra congiura.

In tal modo, i privilegi nobiliari furono abbattuti e la monarchia assoluta fu saldamente stabilita; i feudatari perdettero ogni potere politico e si raccolsero alla corte diventando una nobiltà di palazzo, il che rese possibile la successiva affermazione del potere regio con Luigi XIV.

Bruciato, per così dire, dalla visione di grandi progetti e di grandi imprese, il Richelieu è stato visto come il rappresentante della ragion di Stato e la sua implacabile durezza è stata opposta alla debolezza del Re e alla generosità della nobiltà. In realtà, egli non ebbe che una sola ambizione: quella di rendere l’autorità del sovrano e dello Stato superiore al privilegio feudale, e di rialzare il prestigio della Francia in Europa approfittando della decadenza dei suoi nemici tradizionali, la Spagna e l’Impero. Per questo egli si rifiutò di sostenere Carlo I d’Inghilterra, cognato di Luigi XIII, nelle difficili condizioni in cui si trovava nel suo Paese, e si alleò in Germania con i protestanti, suscitando scandalo nei Cattolici. Senza dubbio il giudizio, ormai tradizionale, che ne ha fatto quasi esclusivamente un grande diplomatico ha molta parte di vero e starebbe a dimostrare l’esattezza la scarsa cura da lui prestata al rinnovamento della vita interna francese. Per tale motivo si può forse dire che la sua personalità non raggiunse l’altezza dei grandi uomini politici, perché egli non capì che il nuovo ruolo a cui chiamava la Francia in Europa doveva essere accompagnato da un intenso sviluppo della vita economica e sociale.

La mancanza di nuove concezioni nella vita interna fu rivelata anche dal fatto che egli, combattendo i feudatari, non seppe scorgere la necessità di favorire l’ascesa di una nuova classe sociale, la borghesia, sicché la lotta contro la nobiltà risultò fine a se stessa e minacciò di isolare la monarchia, lasciandola senza un ceto su cui appoggiarsi. Inoltre, non seppe o non poté, armonizzare la politica estera con quella interna; infatti nella prima fu costretto ad allearsi con i protestanti, che invece combatté in Francia. Senza dubbio, però, con lui la Francia cominciò ad uscire dal feudalesimo. La monarchia assoluta è un notevole passo avanti rispetto alla monarchia feudale; è l’indispensabile premessa alla monarchia illuminata della seconda metà del Settecento.

I Francesi sentirono il cambiamento: non solo la nobiltà, che si vide privata dei privilegi di cui aveva sino ad allora goduto, ma tutte le classi, perché la grandiosa politica europea perseguita dal Cardinale costrinse ad aggravare le imposte per sanare il deficit del bilancio, ormai cronico. L’eccessiva fiscalità divenne, in tal modo, il motivo o il pretesto di numerose insurrezioni, che si tramutarono talvolta in vere e proprie guerre contadine, come la sollevazione del 1637 della Guascogna e del Pèrigord, per domare la quale si dovette inviare un’armata; oppure come la ribellione dei «Nus-Pieds» (piedi nudi), contadini della Normandia che volevano impedire la percezione di tutte le imposte stabilite dalla morte di Enrico IV in poi.

Queste difficoltà interne erano rese ancor più gravi dalla mancanza di una chiara politica rivolta a favorire l’ascesa economica di un ceto sociale. Richelieu colpì tutti, la nobiltà come il basso popolo e la borghesia.

Concludendo, sembra veramente di poter affermare che alle sue grandi doti di diplomatico non corrisposero altrettanto grandi doti di uomo politico.

(anno 2002)

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