Ragazzi italiani e militari tedeschi sul finire della Seconda Guerra Mondiale: tra diffidenza e altruismo
«Danke Schoen!»

Negli ultimi tempi della Seconda Guerra Mondiale, i successi ottenuti dalle truppe germaniche nell’ipotizzata «Blitzkrieg» (la Guerra Lampo di Hitler) erano sempre più lontani nella memoria, sostituiti piano piano dalle batoste che quotidianamente erano costrette a intascare. Insomma, le cose andavano sicuramente male per loro. In sostanza, la presenza dei militari teutonici nell’Emilia Orientale si limitava a qualche striminzito gruppuscolo isolato in un qualche ufficio con la funzione di tenere sott’occhio ciò che stesse succedendo attorno a loro e di capire che cosa la gente locale pensasse della loro ormai incomoda presenza; anche perché sapevano che i partigiani stavano abbandonando le montagne per spostare le loro azioni di lotta armata clandestina verso il fiume Po. In effetti, chiunque poteva essere un partigiano, per cui non si fidavano di nessuno e non giravano le spalle nemmeno ai conoscenti. Altra funzione era quella di coordinare i lavori previsti dalla Todt, cioè l’ente che organizzava opere da eseguire da parte di nostri connazionali, fra cui quella di scavare buche lungo le strade per consentire agli autisti di salvare la pelle dalle mitragliere degli aerei inglesi, che dominavano il cielo. Si trattava di buche simili a quelle che servono alla tumulazione nei cimiteri, lunghe attorno ai due metri, larghe sullo zero e settanta e profonde un paio di metri, o poco più, nelle quali, in occasione di un attacco aereo, i poveretti potessero mettersi al sicuro dalle sventagliate di proiettili provenienti dal cielo. Eh, sì, perché il dominio dell’aria era riservato ai velivoli inglesi. Infatti – e non credo che la mia memoria mi tradisca – non ricordo che, durante tutta la guerra, mi siano passati sopra la testa aerei né da trasporto né da caccia contraddistinti dalla classica croce nera della Luftwaffe. Se si vedeva qualcosa in cielo, si trattava di qualche falco in volo planato che, a un certo momento, si fermava a mezz’aria puntando a un topo o a una talpa, oppure di qualche gabbiano (allora era veramente raro vedere gabbiani nell’entroterra come si vede oggi, perché essi trovavano sufficiente sostentamento in mare) intento a individuare la sagoma di un pesce sotto la superficie d’acqua di un canale, o di qualche altro essere volante, concentrato nelle sue attività abituali o, ancora… di aerei da caccia inglesi, isolati o in coppia. Erano questi il terrore degli autisti tedeschi, perché per loro c’era la possibilità di essere, all’improvviso, inquadrati nel mirino di un pilota anglosassone e, non accorgendosene a causa del rumore del motore del veicolo, di essere mandati direttamente al Creatore.

Un giorno, mentre in bici andavo a comprare il pane per la giornata in un negozio sulla strada provinciale, vidi due farfalle che a una decina di metri dal suolo si inseguivano in vorticosi movimenti con giravolte da ballerine del Bol’šoj di Mosca; ricordo esattamente di che razza fossero quelle due farfalle: il colore bianco delle loro ali rotto da puntini neri mi diceva che erano Cavolaie, belle ma detestate dagli orticoltori, perché i loro bruchi fanno devastazione di cavoli, appunto; comunque, era veramente uno spettacolo bello e simpatico. Mi fermai e mentre ero intento a osservare le evoluzioni dei due lepidotteri, mi passò di fianco un camioncino, avente sul pianale un soldato tedesco, aggrappato al tettuccio. Mi guardò, scrutò il cielo tutt’attorno, ma non vedendo nulla, a scanso di fraintendimenti, diede disperatamente con la mano colpi sulla lamiera del tettuccio; il mezzo si fermò con una brusca frenata e il motore fu spento. Sul momento non compresi il significato di quella manovra. Il Tedesco guardò dove era concentrata la mia attenzione, scosse la testa, e poi con un colpo sulla lamiera con la mano diede il segnale per la ripartenza. Più tardi, ripensandoci, mi resi conto che il mio sguardo verso l’alto avrebbe potuto rappresentare per quel soldato la presenza di un aereo nemico a caccia di qualcosa da distruggere e annientare, e sorrisi sotto quei baffi che solo dopo anni sarebbero spuntati.

Raccontai il fatto alla «banda» dei miei amici del caseggiato. Questi si fecero matte risate e vollero provare a loro volta, guardando in alto e facendo finta che un aereo fosse nelle vicinanze, mentre un mezzo tedesco, con la solita vedetta sul pianale, percorreva la strada; ma si trattò di un divertimento breve, perché si accorsero che i Tedeschi non solo non la prendevano troppo bene, ma anche s’infuriavano rischiosamente e si correva il pericolo di essere presi a scapaccioni e a calci nel didietro. Del resto, come si sarebbe potuto dar loro torto!

Una mattina stavo andando, sempre in bici, a comprare una bottiglia di latte in campagna, da un contadino. E mentre ero ancora sulla strada provinciale in un tratto distante dalle abitazioni, sentii ancora molto lontano il rumore caratteristico del motore a pistoni di un aereo; mi girai verso Levante e vidi, sopra l’area di Ferrara, un puntino nero che si stava avvicinando. In quel momento mi affiancò un camion pesante che riconobbi per un FIAT 18 BL, sicuramente un residuato della Prima Guerra Mondiale, che viaggiava nella direzione di Bondeno. In effetti, era uno di quei mezzi di trasporto dei materiali e degli esplosivi, con le gomme massicce, che notevolmente contribuirono al conseguimento dei risultati positivi nel Conflitto Mondiale. I densi fumi azzurrognoli di scarico ammorbavano l’aria, dando una mano all’inquinamento; ma era ancora molto lontana la creazione del termine «ecologia», scienza che s’interessa del rapporto fra uomo, animali, vegetali e ambiente. Ma dove l’avevano trovato? E com’erano riusciti a farlo funzionare? Misteri dell’intelligenza e della manualità dell’uomo! Comunque sia, all’interno sedevano due soldati, mentre un terzo era di vedetta, in piedi, sul pianale e scrutava il cielo, guardandosi attorno. Questi mi guardò e si rese conto che stavo osservando il cielo dietro le mie spalle. Non potei fare a meno di indicargli il punto che rapidamente si stava avvicinando. Egli batté energicamente il pugno sul tettuccio del mezzo che prontamente si fermò. I tre scesero e, senza perdere tanto tempo, si diressero rapidamente verso la prima buca scavata a fianco della strada. Nel frattempo, io continuai a pedalare lungo una carrareccia che si addentrava nella campagna. Non passarono molti minuti, e il monotono rumore di un aereo in volo normale si trasformò in quello caratteristico, assordante emesso durante la picchiata; poi, il crepitio di una mitragliera ruppe il silenzio della calda mattinata. Io ero già lontano, ma mi fu possibile seguire la scena: dopo aver colpito l’autocarro, il caccia stava velocemente cabrando e, soddisfatto, scompariva all’orizzonte verso Occidente.

Quando ripassai sulla mia bici, con la borsa contenente la bottiglia di latte, i tre militari stavano discutendo, forse valutando l’entità dei danni; e, dal loro atteggiamento e dalle parole incomprensibili che animatamente si scambiavano, compresi che solo qualche officina (se non qualche Santo) avrebbe consentito al mezzo di riprendere a funzionare con le sue sole forze e che pertanto la loro meta era raggiungibile soltanto andando a piedi. L’autocarro, colpito in pieno, era tutto sforacchiato, sicuramente inutilizzabile, ma non solo non era scoppiato, nemmeno aveva preso fuoco. Vedendo i film attuali, ci ho ripensato: chissà perché in casi del genere tutto si incendia, tutto salta in aria, causando disastri enormi e combinando il caos, magari per colpa di una semplice pallottola di rivoltella; bah, viene spontaneo chiedersi se si tratti di uno dei misteri della fede.

Quando mi videro, mi fecero segno di fermarmi e io mi avvicinai a loro abbastanza impaurito. Uno dei tre – riconobbi quello che era all’esterno del mezzo – mi diede una pacca sulla spalla e mi sussurrò: «Danke Schoen!»; gli altri approvarono, sorridendo. Fui sorpreso di quel comportamento, poi mi resi conto che probabilmente avevo salvato loro la vita e me ne tornai a casa, abbastanza soddisfatto per aver effettuato una buona azione con il semplice cenno della mano.

(agosto 2019)

Tag: Mario Zaniboni, aerei alleati, Blitzkrieg, Luftwaffe, soldati tedeschi in Emilia, Todt, ragazzi italiani e militari tedeschi sul finire della Seconda Guerra Mondiale, truppe tedesche in Emilia.