Brunilde Tanzi (1908-1947)
Un’Ausiliaria della Repubblica Sociale Italiana: attiva nel dopoguerra e assassinata dalla Volante Rossa

La caduta del fascismo italiano, fissata convenzionalmente nella data del 25 aprile 1945, fu sancita dalla resa delle ultime formazioni combattenti, ritardata di qualche giorno in alcuni casi sporadici, e per circostanze talvolta fortuite. Da quel momento in poi, le vendette a carico della «parte sbagliata» si sarebbero protratte a lungo, in un clima affidato alle cosiddette Corti Straordinarie, che pronunciavano sentenze generalmente stabilite a priori; più spesso, in un’atmosfera da tregenda non aliena dalle iniziative partigiane di condannare a pene capitali senza una minima parvenza di giudizio, ma con l’aggiunta preliminare di sevizie innominabili.

Le Ausiliarie – sia quelle del Servizio Ausiliario Femminile (SAF) che avevano in dotazione armata soltanto una rivoltella per mera difesa propria, sia quelle degli altri Corpi militarizzati – pagarono un prezzo altissimo alla nuova legge della giungla e caddero senza conforti: non a caso, furono pochissime quelle che ebbero modo di scrivere un biglietto di commiato, a fronte delle circa 1.000 vittime fucilate, oppure altrimenti massacrate; comunque, esistono talune stime superiori tra cui quelle di Guido Deconi (2004) e di Flavio Fiorentin (2018). Nondimeno, in qualche caso molto raro non mancarono le Ausiliarie che, fortunosamente sopravvissute alla «pulizia» partigiana, perseverarono nell’impegno, andando incontro alla morte dopo autentiche, memorabili avventure.

Una di queste Ausiliarie fu Brunilde Tanzi, arruolata dapprima nel SAF, ma trasferita rapidamente nelle file della Decima Flottiglia MAS, agli ordini di Valerio Borghese. Appartenente a famiglia di provata fede (il fratello aveva fondato il settimanale «Il Torchio» che ebbe un ruolo di qualche rilievo durante le origini del fascismo), si distinse nell’ultimo anno di vita della Repubblica Sociale per azioni di guerra antipartigiana, segnatamente in agro di Pavia, ed ebbe momenti di maggiore notorietà nel dopoguerra, dopo avere scontato alcuni mesi di prigionia preceduti dall’immancabile «rasatura» riservata alle Ausiliarie in segno di dileggio.

Non le mancò il coraggio, certamente ragguardevole alla luce dei tempi, di aderire ai nuovi Fasci di Azione Rivoluzionaria, che peraltro ebbero un raggio d’azione limitato proprio alla luce delle enormi difficoltà organizzative. Nello stesso tempo, promosse la diffusione del foglio naturalmente clandestino «Lotta fascista» in costante collaborazione col Generale Ferruccio Gatti[1] il cui contributo al primigenio successo dal fascismo datava dal 1921, e che – al pari della Tanzi – sarebbe scomparso verso la fine del 1947 quando fu ucciso nella sua casa di Milano per opera della cosiddetta «Volante Rossa».

Il gruppo Tanzi, guidato dal futuro parlamentare missino Domenico Leccisi[2], si rese protagonista di un episodio particolarmente importante, e come tale passato alla storia, nella notte fra il 22 e il 23 aprile 1946: il trafugamento della salma di Benito Mussolini, già inumata in forma anonima, con l’intento da darle adeguata sepoltura, non senza una straordinaria visibilità mediatica.

Non meno rilevante fu l’azione compiuta da Brunilde Tanzi il successivo 9 dicembre quando, grazie a uno stratagemma, riuscì a far inserire un disco di Giovinezza – il celebre inno del Ventennio – nella programmazione pubblicitaria in audio e video che aveva trovato spazio nella Piazza del Duomo di Milano. Fu un gesto che le valse la condanna a morte da parte della predetta «Volante Rossa», tradotta nel colpo d’arma da fuoco al petto sparato dal «commando» di turno il 17 gennaio 1947, sempre a Milano, nella centralissima Via San Protaso: al pari di quanto accadde in altri episodi analoghi, gli autori non furono scoperti[3].

Conviene aggiungere che la «Volante Rossa», la cui sede principale si trovava nella Casa del Popolo di Lambrate, avrebbe operato fino al 1949 non soltanto in Lombardia, ma anche in Piemonte, in Emilia Romagna e nel Lazio, agli ordini di Giulio Paggio, già appartenente alla banda di Francesco Moranino, poi fuggito in Cecoslovacchia[4]. Lo stesso Paggio, iscritto al Partito Comunista Italiano, fu abbandonato in tempi successivi dal suo stesso partito, vista la proliferazione degli episodi poco edificanti che lo videro coinvolto e che rimasero parzialmente ignoti; fra quelli conosciuti, oltre alle uccisioni di Brunilde Tanzi, di Eva Maciachini e del Generale Ferruccio Gatti, si ricordano quelle di Rosa Bianca e della madre Liliana Sciaccaluga, e quella molto nota a livello mediatico di Franco De Agazio, Direttore del «Meridiano d’Italia»[5].

Va da sé che il ruolo di Brunilde Tanzi e del suo gruppo rimase assolutamente marginale sia nello scorcio conclusivo del fascismo, sia in quello del biennio successivo, nel senso che ebbe scopi puramente dimostrativi, nella volontà di attestare, se non altro, che la storia non era finita il 25 aprile 1945. In realtà, eventi come il trafugamento della salma del Duce, o come il canto di Giovinezza risuonato nel centro di Milano a un solo semestre dalla vittoria della Resistenza, lasciarono una traccia nella memoria di taluni sopravvissuti, non disgiunta dal «memento» per uso e consumo dei nuovi «padroni del vapore» che ne avrebbero tratto lo spunto per richiamare le comuni attenzioni sul rinnovato «pericolo» fascista e per alimentare una «vulgata» molto pervicace, i cui effetti si sono estesi, con le opportune modifiche, anche al nuovo millennio.

Almeno per questi aspetti, il «caso Tanzi» merita di essere rammentato a futura memoria, perché conferma che qualche volta la cronaca può ergersi alla dignità di storia, e soprattutto, che la forza volitiva individuale è sempre in grado, se non altro, di «inseguire un sogno»[6].


Note

1 Secondo un’informazione riportata da Arturo Conti nel suo Albo di Caduti e Dispersi della Repubblica Sociale Italiana, Brunilde Tanzi si sarebbe unita in matrimonio con il vecchio Generale Gatti, ma la notizia manca di adeguate conferme. Analogamente, non sono attendibili le attestazioni, tra cui quella dell’Archivio «Luigi Valentini», secondo cui la predetta Ausiliaria sarebbe caduta nel gennaio 1946.

2 Leccisi ha ricordato Brunilde Tanzi anche nelle sue Memorie, definendola come «una bella ragazza slanciata dai grandi occhi neri» e come persona veramente «decisa e instancabile nel servire la causa comune». Per maggiori dettagli sulla vicenda umana e «militare» della stessa Tanzi, si veda: Antonio Carioti, Gli Orfani di Salò (1945-1951), Edizioni Mursia, Milano 2008, pagina 58. Un ricordo importante dell’Ausiliaria in questione è anche quello di Antonio Pannullo, nel «Secolo d’Italia» del 17 gennaio 2016 (anniversario della scomparsa per azione partigiana). Accenni alle azioni e alla fine di Brunilde Tanzi sono reperibili, infine, nell’opera di Giorgio Pisanò e Gian Guglielmo Rebora, Storia della Guerra Civile in Italia (1943-1945), Edizioni FPE, volume terzo, Milano 1966, pagina 1.799. Conviene precisare che proprio il 17 gennaio 1947 fu comunicata la notizia definitiva del trattato di pace e dei suoi contenuti specifici, provocando «grande costernazione» soprattutto in Venezia Giulia e in Istria (Flaminio Rocchi, L’Esodo dei 350.000 Giuliani, Fiumani e Dalmati, Difesa Adriatica, quarta edizione, Roma 1999, pagina 627: una coincidenza forse casuale, ma non priva di possibili correlazioni).

3 Nel medesimo giorno che vide la morte di Brunilde Tanzi fu uccisa anche Eva Maciachini nel quartiere milanese di Viale Brianza. Questa vittima operava da diverso tempo nell’ambito delle cosiddette SAM (Squadre d’Azione Mussolini). Si deve aggiungere che il 16 gennaio, vigilia dell’uccisione della Tanzi, un gruppo di neofascisti armati, composto da due uomini e da una donna, avrebbe tentato un’incursione nell’auditorio radiofonico di Piazza Eleonora Duse, peraltro senza successo perché l’annunciatore ebbe modo di interrompere tempestivamente le trasmissioni; mancano dettagli sui nomi degli incursori, ma non si può affatto escludere che fosse stata proprio la stessa Tanzi a costituire la componente femminile del drappello.

4 Sulla storia dell’oltranzismo comunista nei primi anni del dopoguerra e della non facile dissociazione da parte del Partito Comunista Italiano, un contributo storiografico di buona rilevanza, mutuato dall’elaborazione di una specifica tesi di laurea, è quello di Francesco Trento, La guerra non era finita: i partigiani della Volante Rossa, Edizioni Laterza, Roma-Bari 2014, 200 pagine. Tale organizzazione fu attiva in modo particolare fino al 1948 ma entrò in crisi dopo l’attentato di Antonio Pallante a Palmiro Togliatti, avvenuto in luglio, quando cominciò a diffondersi l’evoluzione del Partito Comunista Italiano in crescente dissenso dalle precedenti vocazioni massimaliste.

5 La «Volante Rossa» fu oggetto di un tentativo d’imitazione anche molto più tardi: a esempio, nel corso del 1980, con l’uccisione di Angelo Mancia (Movimento Sociale Italiano) avvenuta a firma, per l’appunto, di una sedicente «Nuova Volante Rossa».

6 Confronta Walter Jonna, Inseguendo un sogno: noi, i ragazzi della Decima, Edizioni Ritter, Milano 2006, 260 pagine. Il Capitano Jonna, combattente della Seconda Guerra Mondiale, è noto per la sua attività patriottica nel lungo dopoguerra, e soprattutto, per essere sfuggito a ben due fucilazioni, dapprima nella ritirata di Russia, e poi nelle concitate giornate milanesi dell’aprile 1945.

(ottobre 2023)

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