Dalla Legione Córsa all’Unità Nazionale
Gli slanci mazziniani dei Bonaparte, della Lega Italica e dei religiosi che fecero il Risorgimento

Napoleone Bonaparte è la Legione Córsa. Se qualcuno può obiettare che i Bonaparte tutti si servirono della Legione per i loro interessi politici, possiamo ben dire che tutti gli importanti personaggi che gravitarono nella Legione non erano così sprovveduti come talvolta si sono voluti dipingere.

Prendiamo i Fonseca napoletani. Erano membri attivi nella Carboneria. Gestirono le sorti napoletane durante la Rivoluzione del 1820. Il loro sogno ricalcava quello murattiano, di costituire una confederazione che introducesse in via definitiva quei principi rivoluzionari che l’epopea napoleonica aveva contribuito di gran lunga sia a diffondere che a creare lei stessa. Altro nome che compare i Savelli dei marchesi di Pietramala. Un ramo familiare era finito in Corsica. Ritrovo un Savelli di stanza in Vercelli, segnalato in una pubblicazione da Padre Gioacchino De Agostini torinese, ex collega e confidente politico del religioso Padre Gioacchino Prosperi, invischiato quest’ultimo come il De Agostini nelle questioni risorgimentali del periodo.

Dunque Napoleone Bonaparte e tutti i suoi familiari ebbero a che fare con la Legione. In particolare ricordiamo i Cattaneo di Corsica, cugini dei Baciocchi, che svolsero un ruolo importante nella Legione medesima. Giovanni Gentile ebbe a scrivere nel 1832 in «Archivio di Corsica», rivista soppressa diretta da Gioacchino Volpe, che se avesse ritrovato le carte di Nicola Cattaneo avrebbe riscritto la storia d’Italia. Solo illazioni o verità nascoste? E se queste carte non sono in nostro possesso, dobbiamo prendere per oro colato quanto sin qui la storiografia ufficiale ci ha propinato? Certo che no. Anche perché di documenti ce ne sono, frammentari forse, ma quando mai i documenti storici non sono frammentari? Credo che sia necessario narrare perché non abbiamo sentore storiografico di vicende storiche come i fatti di Cefalonia a partire dal 1843 oppure sulle spedizioni in Sicilia di Paolo Fabrizi nel 1840, 1841, 1843; oppure sulle vicende rivoluzionarie córse del marzo 1846 che Padre Gioacchino Prosperi descrive in modo conciso e poco declamato in un suo documento presente all’Archivio di Stato Lucchese. E ancora le numerose lettere appartenute alla marchesa Eleonora Bernardini di Lucca, anche lei presente e attiva nelle questioni politiche del periodo. Per non parlare di personaggi come l’editore Gioacchino De Agostini e suo fratello Paolo, editore lui pure, con innumerevoli testate giornalistiche al loro attivo, tipografie che pubblicavano volumi in Torino dei principali interpreti del nostro Risorgimento, con lettere e pubblicazioni loro proprie, maestri come nel caso di De Agostini, di personaggi come Quintino Sella, che sono completamente usciti dai radar. Per cui quanto spesso leggiamo è del tutto falsato, privo di connotazioni essenziali per comprendere quelle dinamiche che in modo sbrigativo la storiografia ufficiale definisce perdenti, incostanti, senza una loro precisa linea guida. Cosa che sicuramente non fu. Le incongruenze furono sia dei vinti che dei vincitori, ma dei vinti nessuna approfondita analisi storiografica.

Antonio Mordini nel 1843 non è un garibaldino, ma un seguace di Paolo Fabrizi e della Legione Italica. Ha contatti stretti come lui asserisce con Giuseppe Mazzini che lo tiene in grande considerazione. Si sposta nel Mediterraneo e nel 1843 si trova a Cefalonia in compagnia del Barone d’Everton, una creatura del Duca Borbonico Carlo Ludovico che l’ha nobilitato sicuramente su segnalazione della Corona Britannica visto che, non appena fatto Barone, si stabilisce in Cefalonia e qui è nominato dalla Corona Governatore. Ma anche presidente di una società agraria che ha scopi politici ben precisi, come le società agrarie sparse all’epoca dappertutto. Penso a quella fondata a Torino, voluta questa nel 1840 da Carlo Alberto e a cui aderirono i principali interpreti del Risorgimento Piemontese.

Nelle vicende di Mordini è presente dunque questo Barone, che nel 1871 la Regina farà Sir per i suoi meriti, che abbocca patrioti mazziniani come Paolo Fabrizi e Pietro Giambastiani, l’interlocutore lucchese di Mordini, che finisce anche lui in Cefalonia. Giambastiani ha un altro fratello in quel periodo patriota in Spagna ma soprattutto due fratelli Padri Agostiniani, anche loro in mezzo a queste vicende. I riferimenti di Mordini in Lucca sono a Ghilardi, il patriota che morirà in Sud America per difendere la libertà di quei popoli; ad Allegrini, l’editore, amico di Guerrazzi; a un Casali e Pieri locali. Pieri era anche il nome del capo della polizia lucchese e non vogliamo pensare che quel Pieri fosse proprio lui. Che di nascosto aveva contatti con i carbonari mazziniani di riferimento. Certo anche la marchesa Bernardini nomina il Pieri. E Carlo Ludovico e il Principe di Carignano Vittorio Emanuele di Savoia, futuro Vittorio Emanuele II sono coinvolti nella società agraria e nelle vicende segrete di questi carbonari. Ma davvero sono segrete? Probabilmente no, anche se i cifrari usati sono sempre quelli in codice.

Dobbiamo dirlo, nulla era veramente segreto. Le stesse polizie degli Stati d’Antico Regime spesso intercettavano questi movimenti, ma al loro interno con ogni evidenza confluivano gli stessi Sovrani e dunque la segretezza o non segretezza degli eventi passava dalla capacità degli stessi di barcamenarsi in trattative che prima che sui campi di battaglia o negli agguati erano misurabili nelle Cancellerie e nei palazzi delle varie Corti, a cominciare da quella viennese. Metternich ad esempio monitorava vistosamente la marchesa Bernardini, a partire dal 1817 come appare nelle carte, però la stessa si muoveva indisturbata. Si sentiva Vienna così sicura del fatto suo per non temere contraccolpi? Questo sicuramente no, i Bonaparte erano attivissimi, ricchissimi e agguerriti, ma avevano dalla loro a Vienna una capillare organizzazione secolare che li metteva al riparo da ulteriori contraccolpi, organizzazione soprattutto di natura diplomatica. C’erano molte spie sempre pronte a costituire una garanzia per le loro fortune politiche. Ciò che incalzava davvero erano gli eventi economici, cambiamenti epocali di cui nessuno poteva avere la giusta percezione.

Ciò che bloccò realmente gli eventi tempestivi del 1840 di Mazzini e dei suoi accoliti, e anche della Lega Italica dei Fabrizi, fu l’esponenziale crescita economica, l’incapacità di offrire risposte concrete a masse di persone che si andavano «emancipando» dalla precedente condizione secolare di contadini. L’industrializzazione, soprattutto in alcuni territori della Penisola, costituì sempre più una rinuncia a vedute di corto raggio che i cattolici liberali avevano per la loro visione economica della società. Prendiamo il Gabinetto Vieusseux. La società agraria che rappresentava, essendo gli aderenti prioritariamente dei proprietari terrieri, costituiva un forte tentativo di maturare nuove esperienze ma anche una incapacità a guidare un cambiamento epocale. Questo capitò dappertutto, in modo particolare nel Sud dell’Europa e in Italia, sicuramente con maggior intensità. E infatti, furono i territori del Nord che si andava industrializzando a divenire l’unica risposta certa sul piano politico.

I tentativi fatti da Mazzini, dalla Lega Italica, dai bonapartisti, dai cattolici liberali illuminati, negli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo, cui gli stessi Sovrani di Antico Regime prestarono il fianco, non studiati e approfonditi, non hanno senz’altro minor importanza di quanto i vincitori fecero vedere, nell’economia generale degli eventi.

La Legione Córsa fu dunque specchio dei tempi, di acume politico, di ingegno politico. I Córsi non sognano e dimenticano che il Regal Ciuffo fu intimo amico del Paoli e che Padri Muratori sono stati i testimoni degli ultimi gemiti dell’Aquila Imperiale.

Napoleone Bonaparte non è stato solo il grande condottiero, stratega e Imperatore Francese. Probabilmente se ci fermiamo alle sue battaglie non gli facciamo un grande favore. Aveva combattuto a fianco di Pasquale Paoli a lungo, era stato un convinto repubblicano come l’intera sua famiglia. Si era persino inimicato il padre per combattere col Paoli. Poi era stato inviato a fare il soldato, all’Accademia di Bienne. L’intera famiglia si allontanò dal Paoli e dopo la morte del padre fu costretta a trasferirsi a Marsiglia. Le vicende bonapartiste scaturiscono da queste circostanze. Ma il fratello Luciano rimase sempre convintamente repubblicano e infatti i suoi figli furono accesi mazziniani. Luciano tenne sempre un basso profilo nelle vicende per i cattivi rapporti col fratello, che si ricucirono solo in occasione dei cento giorni. Come possiamo credere che i valori costituenti anche repubblicani ma soprattutto giuridici che contenevano tali personaggi non sarebbero riemersi e avrebbero gettato le giuste e solide fondamenta dello Stato di Diritto nella prima metà del XIX secolo?

I Córsi della Legione Córsa, unitamente ai patrioti napoletani che li affiancarono, perché la Legione Córsa sin dalle origini ebbe contatti strettissimi con la Carboneria e Muratoria napoletana, non erano degli sprovveduti. Avevano al loro fianco non solo i Bonaparte ma quella parte della Chiesa Romana che poteva sentirsi più in sintonia con una visione europeista e non solo incentrata su localismi settoriali. Un potere temporale che faceva i conti con la modernità e che voleva venirci a patti, riappropriarsi dei valori religiosi e del loro universalismo, altrettanto foriero di forza ed energia al pari di un potere temporale esercitato per difendere dei semplici localismi.

Così le vicende della Legione Córsa diventarono le vicende di chi si misurava con realtà composite. Sia i Bonaparte che il Papato cavalcarono i tempi. I Bonaparte preferirono gestire le questioni francesi restaurando il Secondo Impero che seguì le vicende rivoluzionarie del 1848. Il Papato a sua volta si affidò a un Napoleone III garante delle forze francesi in patria e fuori. Ma i Padri Muratori, che furono testimoni degli ultimi gemiti dell’Aquila Imperiale, per anni affiancarono Bonaparte, Mazzini, la Lega Italica e molti Sovrani della Penisola che non facevano Asburgo nel tentativo di inserirsi in un’Europa che non fosse più l’Europa degli Imperi ma delle Nazioni. Ci riuscirono benissimo. Costruendo il 1848 e le Rivoluzioni che lo caratterizzarono. Il fallimento rivoluzionario del 1848 non fu fallimento della loro opera politica, semmai fallimento di complesse situazioni politiche che difficilmente si potevano governare, con guerre e ricatti e giochi di palazzo, come si riuscì a fare in un secondo momento, nel decennio successivo. Scambiare gli slanci e le gesta eroiche di quegli anni per semplice fallimento politico significa non dare spazio ad analisi approfondite di contenuti e collaborazioni fattive. Antonio Mordini non fu più garibaldino che carbonaro mazziniano. Oppure quei religiosi che lottarono e persero talvolta la vita si mantennero sempre attivi anche in anni in cui l’attivismo politico era loro negato, addirittura voltando l’annessione al nuovo Regno Italiano, come nel caso di Padre Gioacchino Prosperi e venendo additati all’interno degli stessi circuiti ecclesiastici. Veri uomini nuovi per sistemi nuovi. I compromessi prevalsero ma gli slanci restarono. Da studiare e valorizzare.

(giugno 2021)

Tag: Elena Pierotti, Legione Córsa, Mazzini, Gioberti, Carboneria, Massoneria, Pio IX, Chiesa Romana, Bonaparte, De Agostini, Prosperi, Carlo Ludovico di Borbone, Garibaldi, Antonio Mordini.