Ungheria 1919: la repubblica dei Soviet
La crisi del primo dopoguerra portò ad una
serie di moti in diversi Paesi europei, molti dei quali
condotti da forze politiche estremiste e violente
La fine della Grande Guerra segnò anche la fine dell’Impero Austro-Ungarico, e l’Ungheria, o meglio quello che restava di essa, dato che la maggior parte del territorio era occupata da Romeni, Serbi e Cechi, si diede un governo repubblicano, sotto la guida del conte Karolyi, il quale aveva formato un ministero liberale che, malgrado avesse tentato una politica di avvicinamento alle potenze vincitrici della guerra, non poté impedire lo smembramento della nazione ungherese. Il caos era inoltre alimentato dalla massa di reduci che trovavano difficoltà a reinserirsi in una vita normale in un Paese vinto, distrutto nell’economia e nel morale. Di questa situazione di caos ne approfittò un oscuro, ma privo di scrupoli, giornalista di origini ebraiche, Bela Kun, il quale trovandosi in Siberia come prigioniero di guerra, aveva partecipato ad uno dei tanti corsi di indottrinamento approntati da Lenin al fine di creare rivoluzionari professionisti. Era stato un ottimo allievo, e se ne era tornato dopo l’armistizio del 1918 a Budapest con una somma di trecentomila rubli indispensabili per dare inizio ai torbidi che aveva concepito. Bela Kun fondò per prima cosa un giornale, e dal niente cominciò a fare opera di proselitismo fra i reduci e gli ex-prigionieri di guerra, dando inizio alle prime azioni di terrorismo contro i giornali governativi e gli avversari politici. L’influenza di Bela Kun cresceva giorno dopo giorno, il governo era sempre più debole, tanto più che due ministri dello stesso, Ebrei e filo-bolscevichi, lo minavano dall’interno. Il conte Karolyi fece arrestare Kun dopo un’azione terroristica che era costata la vita ad otto agenti di polizia, ma l’operazione si rivelò controproducente, le agitazioni bolsceviche si estesero a tutta la nazione, e ne approfittarono le truppe romene di occupazione per proseguire, con l’appoggio dell’Intesa, l’avanzata all’interno dell’Ungheria. Karolyi allora, nel marzo del 1919 diede improvvisamente le dimissioni e passò le consegne proprio a Bela Kun che, liberato dal carcere, formò subito un consiglio esecutivo i cui membri prendevano il nome di commissari del popolo; egli si accontentò del ruolo di commissario agli affari esteri, ma di fatto deteneva la presidenza effettiva. Nacque così quella che gli storici chiamarono Repubblica dei Sovieti (da Soviet, parola russa che significa Consiglio). Iniziò una stagione terribile per l’Ungheria, il nuovo governo comunista aveva un solo ideale, distruggere l’aristocrazia e la borghesia, decidendo intanto di rendere loro la vita impossibile. Uno dei primi provvedimenti fu quello di proibire la partecipazione a qualsiasi elezione di chi non facesse parte di un sindacato operaio, e questo significava mettere ai margini della legge la maggior parte della popolazione; poi i borghesi furono obbligati a versare allo Stato tutti i loro beni, compresi i capi di vestiario. Ogni stabile aveva un uomo di fiducia del regime che, nella duplice veste di poliziotto e di custode, aveva il compito di controllare e riferire tutto alle autorità, mantenendo nel terrore gli inquilini. La paura di ogni Ungherese era quella di finire nelle mani dei «Figli di Lenin», la milizia organizzata da Bela Kun e dal suo sodale Cserny su ispirazione della Ceka sovietica. Era una masnada di circa settecento uomini, reclutati tra la feccia di Budapest e tutti bruni di capelli (perché le persone bionde erano, chissà perché, ritenute più «sensibili» e quindi inaffidabili), vestiti di cuoio, che scorrazzavano per tutta l’Ungheria seminando il terrore ed accoppando borghesi, contadini ed avversari politici. Scrive lo scrittore tedesco Carsten nella sua Genesi del Fascismo (Baldini e Castoldi, 1970) che «i metodi dottrinari e terroristici riuscirono a trasformare la stragrande maggioranza degli Ungheresi in accaniti anti-comunisti» e, più si estendeva il malcontento, più aumentavano le stragi effettuate dai Figli di Lenin.
L’economia subì un tracollo, nelle fabbriche non si lavorava più, i borghesi vivevano nel terrore, i contadini subivano ogni sorta di razzie di prodotti agricoli che venivano spediti in vagoni a Budapest e distribuiti gratuitamente ai militanti comunisti. Le truppe dell’Intesa che occupavano l’Ungheria assistevano inerti alla fine della nazione ungherese, ma ben presto diedero mandato alle truppe romene di occupare Budapest; gli appelli alla mobilitazione di Bela Kun andarono a vuoto, le truppe comuniste furono lasciate sole e facilmente sbaragliate dai Romeni (agosto 1919). Bela Kun e la maggior parte del suo governo riuscirono a fuggire in Unione Sovietica, gran parte degli assassini professionisti detti Figli di Lenin furono giustiziati in Ungheria dal nuovo governo. Di Bela Kun non si seppe più nulla; si dice che Stalin, che non gli aveva perdonato il suo fallimento, lo facesse uccidere nel 1937. Negli anni successivi il partito comunista si ridusse ad una piccola formazione, con scarso seguito nel Paese.