La persecuzione religiosa durante la Guerra di Spagna
Per una reale comprensione del fenomeno

Durante gli anni della Guerra Civile Spagnola avvenne nei territori repubblicani (con l’eccezione dei Paesi Baschi) una feroce persecuzione anti-cattolica durante la quale si stima trovarono la morte 13 Vescovi, 4.184 preti diocesani e seminaristi, 2.635 religiosi, 283 suore oltre a migliaia di laici vicini alla Chiesa. Nel corso del tempo sono stati effettuati diversi tentativi per cercare di giustificare la portata di questa repressione, per esempio, affermando che queste uccisioni non erano nient’altro che una reazione all’atteggiamento della Chiesa che si era schierata fin da subito a fianco dei nazionalisti. Affermazione palesemente falsa, in quanto non solo la Chiesa non ebbe inizialmente alcuna parte nell’«Alziamento», ma anche perché violenze e uccisioni contro i membri del clero si verificarono già nei mesi precedenti l’inizio della rivolta dei militari.

Un altro tentativo per cercare di minimizzare la repressione sta nel presentare la violenza anti-clericale esclusivamente come il frutto di un odio popolare incontrollato dovuto al fatto che la Chiesa in passato venne spesso meno ai suoi doveri evangelici, schierandosi dalla parte dei ricchi e dei proprietari terrieri. Pur non mancando questo genere di episodi, in realtà, la distruzione delle chiese durante gli anni della guerra civile spesso non fu l’effetto di un’irrefrenabile furia popolare, ma un’operazione sistematica, deliberata dalle autorità locali repubblicane come un semplice atto amministrativo. Inoltre, durante il conflitto, molti comitati rivoluzionari giunsero persino ad emanare dei bandi che imponevano, spesso sotto pena di morte, la consegna di immagini, libri di pietà, Rosari e altri oggetti di culto privati perché venissero dati alle fiamme[1].

La maggior parte dei repubblicani «borghesi» e dei leader socialisti non aveva l’obiettivo di sradicare fisicamente la Chiesa e inoltre, pur essendo anti-clericale, era cosciente che quelle violenze rischiavano di screditare la Repubblica; tuttavia, l’estrema Sinistra nutriva l’intenzione di effettuare una «rivoluzione culturale» che passava attraverso l’eliminazione dell’avversario[2]. A riprova di ciò, vi sono le dichiarazioni e gli incitamenti alla violenza da parte di anarchici, socialisti estremisti e comunisti nei giorni immediatamente successivi alla rivolta: il giornale anarchico «Solidaridad Obrera» scrisse il 15 agosto 1936 che «i beni della Chiesa devono essere nazionalizzati. Vescovi e preti devono essere fucilati»; il leader del Poum, Andreu Nin, in un discorso tenuto in un teatro di Madrid l’8 agosto 1936 affermò di aver risolto il problema della Chiesa «estirpandolo alla radice. Abbiamo soppresso i sacerdoti, le chiese e il culto»; Radio Barcellona ordinava il 20 luglio 1936 di «distruggere la Chiesa e tutto quello che ne conservi traccia»; e il segretario del Partito Comunista Spagnolo, Jose Diaz, nel marzo del 1937 esultava per il fatto che in Spagna «si è superato di molto l’opera dei Soviet perché la Chiesa in Spagna è oggigiorno annientata».

La violenza non comportava solamente l’uccisione di ecclesiastici o la distruzione di chiese, ma anche la dissacrazione delle tombe di suore o sacerdoti e il completo divieto della libertà di culto, come denunciò il Ministro Basco Manuel de Irujo in un rapporto del gennaio del 1937 che mostra anch’esso la presenza di autorità locali nell’effettuare la repressione anti-religiosa: «Madrid, Barcellona e le altri grandi città contano a centinaia gli arrestati, detenuti nelle loro carceri senza alcuna altra causa conosciuta all’infuori del loro carattere di sacerdoti e religiosi [...] La polizia, che compie perquisizioni domiciliari, investigando all’interno delle abitazioni, nell’intimo della vita dell’individuo e della famiglia, distrugge con scherno e violenza immagini, stampa, libri religiosi e tutto ciò che ha che fare con il culto». Alcuni elementi come la contemporaneità, la fulmineità e la ritualità dei massacri hanno portato alcuni storici a ipotizzare la premeditazione dell’eccidio dei religiosi[3].

La stragrande maggioranza dei massacri accadde durante i primi sei mesi di guerra. In entrambi i fronti si registrarono gravi atrocità anche se, a differenza degli eccidi dei nazionalisti (che provvidero ad eliminare aderenti del Fronte Popolare, sindacalisti ed altri veri o presunti oppositori politici), i massacri dei repubblicani risultarono essere meno centralizzati. Infatti, al momento della rivolta, nei territori rimasti fedeli alla Repubblica, si costituirono dovunque dei comitati locali che, seppur riconosciuti dal Governo Giral, erano di fatto indipendenti, e molti di questi (specialmente di tendenza anarchica) erano convinti che fosse necessario «fare la rivoluzione per vincere la guerra».

In seguito, dopo che il Governo Centrale riuscì a far cessare le esecuzioni sommarie con il controllo della sua autorità e l’istituzione di tribunali popolari, i grandi massacri ebbero termine (anche se omicidi politici si contarono nei territori repubblicani fino al termine del conflitto). La fine dei grandi eccidi non significò però il ripristino della libertà di culto: quando infatti i capi baschi fecero richiesta di restaurare la libertà religiosa, il Governo Centrale rigettò la proposta perché, pur dichiarandosi in linea di principio d’accordo con questo presupposto, sosteneva che l’opinione pubblica non fosse ancora pronta per questo passo. Vennero autorizzate solamente le celebrazioni di funzioni religiose all’interno di case private (tra l’altro dietro previa concessione di un’apposita licenza) e ai preti fu dato l’obbligo di indossare abiti civili[4].

Tuttavia, grazie all’influsso del Ministro Irujo, la persecuzione cominciò lentamente a declinare, anche se la situazione continuava ad essere precaria come riportano diversi testimoni dell’epoca: il Cardinale Vidal i Barraquer, dopo che il Governo lo invitò a rientrare nella sua diocesi, rispose: «Come posso accettare degnamente questo invito, dal momento che continuano a stare in prigione sacerdoti e religiosi assai zelanti e anche secolari arrestati e condannati, per come mi informano, per aver praticato atti del loro ministero, o di carità e beneficenza, senza essersi intromessi, neppure minimamente, in partiti politici, secondo le norme che erano state date loro?»; mentre Pierre Laborne, Ambasciatore Francese, protestante e difensore della causa repubblicana, così descriveva la situazione nei territori repubblicani: «Da circa due anni e dopo infami massacri di membri del clero, le chiese sono ancora devastate, vuote, aperte a tutti i venti [...] la Spagna Repubblicana si dichiara democratica [...] Nei confronti del Cattolicesimo, però, il Governo non fa una parola e dimostra un’intolleranza assoluta. Per esso, il Cattolicesimo non merita né libertà di coscienza, né il libero esercizio del culto. Il contrasto è così flagrante che getta dubbi sulla buona sincerità del Governo e getta discredito su tutte le altre dichiarazioni e persino sui suoi veri sentimenti. Sembra proprio che i suoi avversari abbiano ragione di accusarlo di doppiezza e incapacità. Siccome il suo interesse, anzi infiniti vantaggi dovrebbero portarlo con ogni evidenza a mutare politica verso la Chiesa, lo si accusa soprattutto di incapacità». Lo stesso Presidente del Consiglio Juan Negrin (succeduto il 15 maggio 1937 a Largo Caballero) ammise in un colloquio con l’ambasciata francese che «il ristabilimento del culto non è stato finora studiato in maniera seria dal Governo. Lo sarà. Per ora il Governo vede questo ristabilimento come un fatto progressivo»[5].

La sfavorevole situazione militare spinse il Governo Negrin a cercare sempre più un accordo con la Chiesa per il ripristino della libertà religiosa, ma le trattative con il Vicario di Barcellona non andarono a buon fine perché questi accordi vennero giudicati tardivi e propagandistici. In quel periodo vi furono inoltre ancora episodi (seppur sporadici e isolati) di assassini di sacerdoti e religiosi. Solo con la vittoria di Francisco Franco, il clero cattolico decise di uscire dalla clandestinità e le chiese furono pubblicamente riaperte al culto. Motivi per i quali Pio XII accolse con felicitazione la vittoria dei nazionalisti nel radiomessaggio dell’aprile del 1939.


Note

1 Si veda Guerre fratricide, a cura di Gabriele Ranzato, Torino 1994, pagine 301-302.

2 Confronta Bartolomé Bennasar, La guerra di Spagna, Torino 2006, pagine 310-311.

3 Confronta Mario Arturo Iannacone, Persecuzione. La repressione della Chiesa in Spagna fra Seconda Repubblica e guerra civile (1931-1939), Torino 2015, pagina 290.

4 Confronta Hugh Thomas, Storia della guerra civile spagnola, Torino 1963, pagina 520.

5 Citazioni tratte da Vicente Càrcel Orti, Buio sull’altare, Roma 1999, pagine 116-118 e 124.

(settembre 2016)

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