Kristallnacht
Notte da incubo

«Kristallnacht» («Notte dei Cristalli») è il nome dato a un fatto criminale avvenuto nella notte fra il 9 e il 10 novembre 1938, che ebbe come protagonisti la violenza dei nazisti da una parte e l’impossibilità di reagire degli Ebrei dall’altra parte, alla vigilia del Secondo Conflitto Mondiale.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale, in Germania gli Ebrei facevano parte attiva della popolazione, ben integrati nella società come cittadini tedeschi e come tali trattati. E, di conseguenza, partecipavano a tutto quanto faceva parte della vita comune e dello Stato, quali militari sia nell’esercito sia nella marina, ed entravano in tutte le attività nei campi economico, politico, scientifico, sociale, alla pari dei cittadini tedeschi.

E tutto procedeva per il meglio, regolarmente, senza scossoni, in perfetta armonia con la popolazione locale, fino a quando l’Austriaco Adolf Hitler, allora capo del Partito Nazionalista Tedesco dei Lavoratori, il 30 gennaio 1933 fu nominato Cancelliere della Germania. Il suo movimento, il nazismo (abbreviazione di nazionalsocialismo), era decisamente antiebraico e, con la posizione raggiunta, Hitler ebbe campo libero nell’introduzione di politiche contro gli Ebrei che, complessivamente, erano circa 600.000 in Germania e 250.000 in Austria; questo Stato fu occupato militarmente a seguito dell’annessione («Anschluss») ratificata dopo il referendum unanime del 12 marzo 1938.

Tornando a Hitler, egli iniziò la sua attività antisemitica, accusando gli Ebrei di essere la causa prima della sconfitta tedesca nella Prima Guerra Mondiale e di tutte le difficoltà economiche che la seguirono, fra cui l’iperinflazione del 1920 e la Grande Depressione del 1929, definita anche «Crisi del ’29» o «Crollo di Wall Street», che mise in difficoltà il mondo intero. Ritornando per un attimo all’iperinflazione di cui parlava Hitler, si sa che la ricchezza di uno Stato è pari alla riserva aurea che possiede, per cui considerando lo stato miserando che accompagnò la resa della Germania, questa ebbe la conseguente necessità di battere moneta, tanto che un dollaro costava 4.200 miliardi di marchi. Si ricorda che dal 15 novembre 1923, secondo una cronaca spiritosa ma realistica, per fare la spesa i Tedeschi andavano con una carriola piena di carta moneta (immaginarsi se si fosse trattato di portare monete: forse un furgone non sarebbe bastato).

Comunque, il regime, con la promulgazione di diverse leggi da parte di Hitler nel 1933, aveva messo con le spalle al muro gli Ebrei, considerandoli e trattandoli come appartenenti a una razza inferiore, limitandone i diritti per rimediare i mezzi per vivere, per essere alla pari dei Tedeschi, per studiare e impedendo, dal 17 aprile di quell’anno, la possibilità per loro di lavorare per la comunità; inoltre, si vietò l’unione fra Ebrei e Tedeschi che non lo fossero e si tolse loro la cittadinanza tedesca, di modo che essi divennero apolidi, cioè senza appartenenza a uno Stato e di conseguenza senza passaporto.

Che gli Ebrei fossero mal sopportati lo dimostra il fatto che praticamente il nazismo li spingeva a emigrare in altri Paesi (in altre parole, li incitava a togliersi dai piedi), mentre tutte le Nazioni si opponevamo a questa forma di esilio, cercando in tutte le maniere di evitarlo e di far cambiare idea ai Tedeschi.

Ma, stanchi di essere trattati come gente indesiderata, furono molti degli stessi Ebrei che decisero di lasciare la Germania, spostandosi nei Paesi vicini, quali la Svizzera, l’Olanda, il Belgio, la Francia, la Danimarca, la Cecoslovacchia, l’Inghilterra. In Inghilterra, il giudice Herbert Metcalfe ebbe a esclamare: «Stava diventando uno scandalo il modo in cui gli Ebrei apolidi ci stavano inondando, passando da tutti i porti di questo Paese».

E naturalmente, poiché le domande di espatrio continuavano a essere presentate, quei Paesi posero limitazioni nell’accettare nuovi arrivi. Praticamente, ci fu un’alzata di scudi parte di Paesi democratici contro la politica tedesca, tanto che la conclusione poteva essere che «gli Ebrei li avete, e teneteveli!».

In ogni modo, tra il 1935 e il 1936, non meno di 150.000 persone riuscirono a emigrare. Molti tentarono di raggiungere Israele, ma non tutti ce la fecero.

Emblematico il commento dell’Israeliano Chaim Weizmannel che si espresse dicendo che «il mondo sembrava essere diviso in due parti: quei luoghi dove gli Ebrei non potevano vivere e quelli dove non potevano entrare».

Ancora nel 1938, le cose andavano avanti con gli Ebrei che desideravano andarsene da quel Paese che non li voleva e le domande di espatrio si accumulavano negli uffici dei consolati e delle ambasciate di Berlino e Vienna, ma le porte restavano chiuse. Non di rado una scusante presentata dagli Stati in merito al diniego di ingresso era che i nuovi arrivati avrebbero potuto far perdere il lavoro ai propri connazionali. E per di più, non si fidavano nemmeno dei turisti ebrei, per paura che si imboscassero, facendo perdere le proprie tracce.

La situazione stava diventando pesante ed erano molti i Governi che si chiedevano come si potesse affrontarla e tentare di risolverla, tanto che si giunse alla decisione di indire una conferenza internazionale, che era fortemente sollecitata dal Presidente Statunitense Franklin Delano Roosvelt. L’argomento della conferenza era molto chiaro: come affrontare il problema della sistemazione degli Ebrei cacciati dalla Germania e dall’Austria. In definitiva, si dovevano convincere i vari Governi partecipanti ad accogliere un numero di profughi proporzionato alle proprie dimensioni territoriali.

Dopo il tentativo di organizzare l’incontro in Svizzera, la quale, con l’affermazione di essere un Paese di transito e non di residenza, rifiutò per il timore di essere poi costretta a ospitare migranti, il 6 luglio 1938 la conferenza fu aperta in Francia, sul Lago Lemano, nella località termale Évian-les-Bains e durò fino al 15. Le delegazioni delle 32 Nazioni appartenenti alla Società delle Nazioni quel giorno furono accolte, per il Governo Francese, dal Senatore Henri Bérenger nell’Hotel Royal, ricordando che la Francia era «terra d’asilo e di libera discussione e delle sue più antiche tradizioni di ospitalità universale». Da notare che le organizzazioni avevano partecipato su base volontaria. Però, il dimostrarsi non troppo pesanti circa il proprio parere, senza calcare la mano sul comportamento dei nazisti, diede a questi ultimi il destro per propagandare il proprio partito.

Durante la conferenza, la Francia affermò che aveva già raggiunto il numero previsto per l’immigrazione: insomma, il Paese aveva già dato! E su tale linea si mise la maggior parte delle delegazioni. Lo stesso avvenne per le isole britanniche, che non intendevano aggiungere altri Ebrei a quelli che già là vivevano: infatti, l’Inghilterra chiaramente disse che non avrebbe dato asilo a nessuno, a meno che non avesse un’alta qualifica professionale. Gli USA non furono da meno. Il rappresentante dell’Australia, il colonnello Thomas White, fu tagliente quando si espresse dicendo che da loro non c’erano problemi razziali e non volevano che vi entrassero, pertanto... Il Canada che, come l’Australia, in quanto a disponibilità territoriale non temeva confronti, per cui rischi di sovraffollamento non erano nemmeno pensabili, non ne volle sapere: niente migranti, nemmeno uno... Il Messico, la Danimarca e l’Olanda furono disponibili a consentire lo striminzito ingresso di qualche centinaio di Ebrei. Solamente due dei 32 Paesi partecipanti alla conferenza furono disponibili ad accogliere un quantitativo significativo di richiedenti asilo, abbastanza elevato per le loro dimensioni territoriali: infatti, la Bolivia nel giro di tre anni acconsentì l’ingresso a 30.000 persone, mentre la Repubblica di Santo Domingo ne accolse circa 10.000, alle quali, due anni dopo essere stati ospitati, il Generale Rafael Leonidas Trujillo regalò loro una novantina di ettari di terreno da coltivare.

Non mancarono prestigiosi giornali, quali gli Inglesi «Daily Express» («non possiamo accoglierli tutti...» e, ancora, «se noi accettassimo quegli stranieri, quasi tutti di estrema sinistra, che cosa ne direbbero gli Inglesi venendo a sapere che Polonia, Romania e Ungheria li espellono?») e «Sunday Express» e il canadese «The Globe and Mail» a evidenziare la bufera che sarebbe sorta accettando i migranti ebrei (aggiungendo – già che c’erano – anche i rom). Le critiche della stampa non furono tenere, tutt’altro: basti riportare il parere dei giornali degli USA «Fortune» e «Harper Magazine», secondo i quali sicuramente gli Ebrei avevano qualche colpa a proposito del precario stato in cui si trovava la Germania; e per questo concludevano affermando che, se gli Ebrei erano scacciati da quello Stato, era perché se l’erano meritato.

Sicuramente, le Nazioni erano certe che con il tempo l’accettare l’ingresso dei migranti sarebbe stato positivo dal punto di vista economico, ma altrettanto sicuramente non avrebbe convinto gli elettori, per cui... Così ci fu una decisione pressoché unanime di non accettare migranti. Si potrebbe pensare a una «Sindrome di Nimby» («Not In My Back Yard» = «Non nel mio cortile») «ante litteram»: sì, siamo tutti solidali con gli Ebrei, ma che non vengano a casa nostra.

Per la verità, l’antisemitismo non era una caratteristica solamente tedesca, come lo dimostrano atti di persecuzione che avvenivano anche in altri Stati, come, per esempio, in Polonia, Romania, Ungheria, dove erano state accettate e applicate leggi razziali; per quanto si riferisce all’Italia, si stava prospettando lo stesso, ma anche una buona metà degli Stati Europei era contraria a ricevere Ebrei.

Intanto, la Germania occupò la regione dei Sudeti, fra Germania, Polonia e Cecoslovacchia e cacciò gli Ebrei, che tentarono di entrare in Ungheria ma furono respinti e, poi, messi in un luogo al confine fra Ungheria e Cecoslovacchia, un sito invivibile, per cui la cosa migliore sarebbe stata quella di migrare in Palestina, avendone la possibilità.

Insomma, alla fine l’unico esito positivo scaturito dalla conferenza fu l’organizzazione del Comitato Intergovernativo per i Rifugiati (IGC), con l’impegno di riunirsi tre volte entro l’anno; riunione che avvenne veramente, ma senza raggiungere risultati di un certo interesse, in quanto non si fece altro che ribadire le quote (dove c’erano) e le modalità di accettazione dei migranti; pertanto – si potrebbe dire – non si fece altro che buttar via inutilmente tempo prezioso per tutti. Non solo, ma la dichiarazione di guerra del 1° settembre 1939, fece traslocare il tutto in soffitta, lasciando in bocca l’amaro del nulla di fatto.

Non c’è che dire: peggio di così non poteva finire. E la «Notte dei Cristalli», avvenuta fra il 9 e il 10 novembre 1938, non fece altro che confermare l’inizio di una stagione disperata per gli Ebrei, così come la cessazione per loro di ogni minima possibilità di poter migrare.

Essi continuavano a chiedere permessi di espatrio, ma i nazisti ne concedevano un numero limitato, mentre le richieste erano migliaia, perché c’era pure il rigetto da parte dei Paesi che avrebbero dovuto accoglierli. Gli USA ne accolsero 85.000, ma le richieste d’asilo erano ben 300.000. La Francia respinse quelli che erano riusciti a raggiungere i suoi confini, sollecitati a raggiungerli da parte della Germania; praticamente fu la condanna all’internamento nel campo di concentramento di Dachau.

Può essere chiarificatore della tragica situazione ciò che accadde ai profughi, nella maggioranza Ebrei, che si imbarcarono sul transatlantico St. Louis, comandato dal capitano tedesco Gustav Schröder, coraggioso e generoso, che mise a repentaglio il suo lavoro, la sua libertà e, forse, la sua vita, per portare al sicuro 937 persone. La nave salpò da Amburgo e si diresse a Cuba dove, però, solamente 22 persone ebbero il permesso di scendere. Allora, la nave salpò con rotta verso gli Stati Uniti, ma a nessuno fu consentito l’ingresso, e lo stesso capitò quando la nave raggiunse il Canada. La giustificazione era scontata: ai clandestini non si concede asilo! Che fare, se non ritornare in Europa con le pive nel sacco? Schröder, comunque, riuscì a ottenere il permesso di entrare nel porto di Anversa e finalmente qui ci furono accoglimenti: 288 migranti andarono in Inghilterra, 224 in Francia, 181 in Olanda, mentre 214 restarono in Belgio. Però, si sa come siano finite le cose: purtroppo i lager tedeschi fecero la parte del leone, tanto che soltanto 365 di loro videro la conclusione della guerra.

Ed eccoci al fatidico 9 novembre 1938. I nazisti tedeschi, considerato che non riuscivano a liberarsi degli Ebrei, avviarono in tutta la Germania un’azione repressiva e vigliacca contro la popolazione ebrea, le sue case, i suoi averi, le sue imprese e le attività nei territori tedesco e austriaco, azione che continuò per tutto il giorno successivo. Le migliaia di vetri frantumati nelle case e negli opifici ebrei durante quella iniqua impresa le fecero meritare, più tardi, il nome di «Kristallnacht» o «Notte dei Cristalli»: questa dimostrò a che punto era giunto lo strapotere di Adolf Hitler a partire dalla sua nomina a Cancelliere della Germania avvenuta nel 1933. Durante quella drammatica manovra, che causò la morte di oltre un centinaio di persone, ci fu il danneggiamento di circa 7.500 imprese, la rovina di un numero esagerato di sinagoghe, di case e di scuole e, addirittura, di cimiteri. Uno scempio in nessun modo giustificabile.

I nazisti caricarono circa 12.000 Ebrei su treni e li trasportarono in Polonia, dove ne furono accettati solamente 4.000, mentre gli altri 8.000 furono abbandonati a se stessi, senza cibo, sotto la pioggia battente, presso il confine. Fra questi poveri espulsi erano Sendel e Riva Grynszpan, in Germania fin dal 1911. Essi avevano mandato una cartolina al figlio diciassettenne Herschel, che abitava a Parigi presso uno zio, raccontando quanto era loro capitato e chiedendo l’invio di denaro, essendo rimasti senza nulla; questa portava la data del 3 novembre 1938. Il giorno 7, era un lunedì, il ragazzo comprò una pistola e una scatola di proiettili e si recò all’Ambasciata Tedesca, dove chiese di essere ricevuto da un funzionario della stessa. Lo ricevette il diplomatico degli Affari Esteri nazista Ernst von Rath che, pur essendo più favorevole agli Ebrei che contro, non poté non riconoscere che le leggi antisemite erano indispensabili per lo Stato. Herschel sparò cinque colpi contro il Tedesco, uccidendolo, quindi si lasciò tranquillamente arrestare. Quell’atto violento, che fece molto clamore, rappresentò una protesta contro un regime totalitario senza freni, ma ci fu chi ritenne che l’assassinio avesse un risvolto che con la politica non aveva nulla a che fare: infatti, lo storico Hans-Jürgen Döscher era del parere che fosse stato la conclusione di un rapporto amoroso fra i due finito male.

Comunque, a parte i rapporti che ci potessero essere stati fra i due, il capo della polizia tedesca Heinrich Himmler, emanò la legge che proibiva agli Ebrei il possesso di armi e che prevedeva la pena di vent’anni di campo di concentramento per chi fosse trovato in possesso di un’arma.

La morte di Ernst von Rath fu comunicata a Hitler, rovinandogli la serata durante la quale stava partecipando a una riunione con diversi importanti personaggi del partito nazista. Contrariato, se ne andò, lasciando il compito a Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda, l’incarico di comunicare che le manifestazioni spontanee dovevano essere lasciate libere di avvenire, sottintendendo chiaramente che un’operazione significativa doveva essere organizzata; pertanto, ordinò alle squadre d’assalto tedesche di effettuare quel tanto che fu definito «Kristallnacht», come ricordato più sopra, e consigliando alla polizia locale e ai vigili del fuoco di starsene alla larga. Non tutti gli alti funzionari politici furono d’accordo su tale decisione, temendo reazioni diplomatiche non indifferenti; lo stesso Heinrich Himmler era contrario. Però, secondo alcuni opinionisti, Goebbels era in difficoltà sia per la faccenda dei Sudeti, per la quale la propaganda non aveva ottenuto il successo sperato, sia per qualcosa che non funzionava fra lui e la sua amica ceca, Lida Baarovà, un’attrice. Così, per fare bella figura con il suo Führer, Goebbles continuò sulla sua strada e alle ore 1:20 della notte del 10 novembre 1938, il Generale Reinhard Heydrich inviò un telegramma urgente alla Polizia di Sicurezza («Sicherheit Polizei» – SO) e al Dipartimento della Tempesta («Sturmabteilung» – SA), dando le regole di comportamento da tenere durante le rivolte popolari; inoltre, allegava le raccomandazioni di non toccare gli stranieri e le proprietà non ebraiche e consigliava la polizia di non mettere il naso su ciò che si sarebbe fatto, mentre la invitava a sequestrare tutti gli archivi degli uffici ebraici e delle sinagoghe e di arrestare i maschi ebrei, purché sani e non troppo anziani, per poterli inviare, se se ne fosse presentata la necessità, nei campi di concentramento di lavoro.

Il 9 novembre 1938 Goebbles aveva tenuto duro e così la distruzione e la caccia agli Ebrei iniziò, attuata dai nazisti tedeschi della Gioventù Hitleriana («Hitler Jugend» – HJ) e delle SA in tutto il Paese. Non meno di 30.000 Ebrei furono internati nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen. Furono bruciati libri, pergamene, opere d’arte.

Uno scempio in nessun modo giustificabile, tanto da trovare il parere negativo di molti Berlinesi e di Tedeschi non Ebrei; non a caso l’ex Kaiser Guglielmo II ebbe a esclamare: «Per la prima volta, mi vergogno di essere Tedesco!».

A Berlino è entrato nella storia della capitale l’episodio in cui il tenente di polizia Otto Belgardt si oppose a chi intendeva appiccare fuoco alla Nuova Sinagoga, procurandosi un solenne rimprovero da parte del suo comandante.

Il comandante politico Hermann Wilhelm Göring, che non era favorevole alla distruzione di beni preziosi ebraici, dissentì con il capo della SiPo per quanto combinato per ordine di Goebbels e così si espresse: «Avrei preferito che tu avessi ucciso 200 Ebrei e non distrutto tali valori!». (Lapidario, no?).

Goebbels giustificò il suo operato con la motivazione che il popolo tedesco era antisemita, per cui non voleva saperne di essere a contatto con gli Ebrei, e ciò che era accaduto era stato una reazione alla morte di Rath.

Fra l’altro, sembra che nemmeno Hitler abbia approvato fino in fondo ciò che era accaduto, pur non dimostrando apertamente il suo dissenso. Otretutto, parlando con i giornalisti, Hitler non accennò per niente alla «Kristallnacht», quasi non ne sapesse nulla.

Per rendersi conto se veramente tutti i Tedeschi erano antisemiti e per sentirne il parere in merito all’azione criminale di cui si tratta, lo psicologo Michael Müller-Claudius intervistò 41 membri del partito nazista: il 63% si mostrò indignato contro la stessa, mentre solamente il 3% si dichiarò soddisfatto; e venne ricordato che, nel 1933, il 33% degli appartenenti al partito non aveva nulla contro gli Ebrei, contro il 13% che era per perseguirli.

Un commentatore della sponda americana espresse così il suo parere: «Devono aver svuotato i manicomi e i penitenziari per trovare persone che abbiano fatto cose del genere!».

Membri del Congresso Cileno (fra cui Gabriel González Videla, Marmaduke Grove, Florencio Duráne) denunciarono l’azione nazista ad Adolf Hitler mediante l’invio di un telegramma.

Per di più, il giorno successivo il Governo Tedesco costrinse gli Ebrei a pagare una multa collettiva («Judenvermögensabgabe») in marchi tedeschi («Reichmark») per un corrispondente a 4 miliardi di euro del 2021 per l’omicidio di von Rath, più 6 milioni per danni alla Nazione Tedesca. Eh, sì, perché i nazisti accamparono, come giustificazione per aver combinata la reazione che è culminata nel disastro della «Kristallnacht», il lato politico di ciò che era successo a Parigi.

Dopo quella notte, nella quale molti Ebrei si suicidarono, almeno 100.000 scapparono, sperando di essere accolti da altri Paesi, molti dei quali interruppero le relazioni diplomatiche quale atto di protesta.

Comunque, nei nazisti era un’idea fissa, che gli Ebrei non dovevano esistere e pertanto erano da eliminare, cosa che fu avviata con l’uccisione di massa durante quell’infamia, definita Olocausto, che causò la morte di circa sei milioni di Ebrei Europei e che fu stroncata solamente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, con l’occupazione casa per casa della capitale tedesca.

La «Kristallnacht», come del resto ci si doveva aspettare, scatenò una corale protesta internazionale contro il regime nazista, tanto che molti di quelli che si erano schierati dalla sua parte reagirono negativamente, perché in tal modo era calato il favore nei suoi confronti in Europa e nell’America del Nord. Anche molti esponenti della stampa reagirono malamente contro quell’azione infame, tanto da essere paragonata a quelle analoghe che si erano verificate nella Russia imperialista verso la fine del XIX secolo. Il fatto causò una vera alzata di scudi contro il regime nazista; furono molti gli Stati che ruppero i rapporti diplomatici con la Germania; gli USA ritirarono il loro Ambasciatore da Berlino, però senza romperli. Praticamente, tutto il mondo, o quasi, si allontanò dallo Stato Teutonico.

D’altra parte, la «Kristallnacht» non aveva fatto altro che evidenziare quale fosse la vera natura del nazismo, puntato alla repressione e all’antisemitismo senza limiti e senza scrupoli. E che ciò avesse compiuto il giro dell’intero globo terrestre fu ampiamente dimostrato da un aborigeno australiano, William Cooper, il quale guidò una delegazione del suo Paese all’Ambasciata Tedesca a Melbourne per presentare una protesta contro la «crudele persecuzione del popolo ebreo da parte del Governo Nazionale Tedesco». Il documento, come c’era da aspettarsi, fu respinto. E anche il Governo del Cile fece sentire il suo parere, telegrafando a Hitler la sua denuncia contro la persecuzione degli Ebrei. Che la tensione fosse al massimo lo dimostrarono alcuni politici che, esasperati, ritenevano che, per sanare la situazione, sarebbe stato addirittura opportuno scatenare una guerra contro quel mostro che stava prendendo sempre più piede.

Dopo quel disastroso atto di forza contro il popolo ebreo, molti si adoperarono per lasciare il Paese nel quale avevano vissuto e prosperato per lunghi anni; si parla di circa 115.000 quelli che riuscirono a emigrare, disperdendosi nei vari Paesi Europei, negli Stati Uniti, in Palestina e perfino in Cina, dove almeno 14.000 giunsero a Shangai.

Dal 1945 in poi, furono restaurate diverse sinagoghe mentre un targa con la scritta «Non dimenticare mai» fu esposta a Berlino.

Interessante la scoperta da parte di un giornalista che nel 2008, durante una sua inchiesta, si trovò di fronte a una discarica distribuita su un campo di oltre tre ettari (di cui nessuno sapeva nulla, bah), in cui i rifiuti erano formati dai resti della famosa notte, là portati in treno. La conferma venne dalla presenza di bottiglie di vetro riportanti la stella di David, pergamene antiche e tanti oggetti ed effetti personali chiarificatori.

(febbraio 2023)

Tag: Mario Zaniboni, Kristallnacht, Notte dei Cristalli, 1938, Adolf Hitler, nazismo, antisemitismo, persecuzione degli Ebrei, Chaim Weizmannel, Franklin Delano Roosvelt, Henri Bérenger, Sindrome di Nimby, leggi razziali, Comitato Intergovernativo per i Rifugiati, IGC, Gustav Schröder, 9 novembre 1938, Ernst von Rath, Heinrich Himmler, Joseph Goebbels, Reinhard Heydrich, Hermann Wilhelm Göring.