Stele di Rosetta
Quando il caso ti vuole dare una mano

Una delle maggiori difficoltà incontrate dagli studiosi delle antiche civiltà è stata quella d’interpretare gli scritti che esse avevano lasciato in eredità alle future generazioni. Una di quelle che maggiormente li ha ostacolati è stata l’interpretazione dei geroglifici egiziani. Era un vero peccato non conoscere di più di quella civiltà africana, che da diversi millenni esibiva le cose che avevano costruito e decorato, perché si sarebbe persa la maggior parte della sua storia. È quello stesso che si prova quando si incontrano manufatti che sicuramente sono etruschi, ma di cui non si può sapere di più di quanto gli studiosi riescono a interpretare, senza averne il dovuto ed esatto riscontro; del resto, solamente di pochi vocaboli si conosce il significato.

Di quando in quando anche gli archeologi hanno un qualche Santo in cielo che li aiuta a superare gli scogli che si frappongono fra loro e la conoscenza.

Per quanto attiene agli Egizi, il classico colpo di fortuna fu il ritrovamento di una roccia che riporta sulla superficie levigata degli scritti in tre diverse grafie: e di queste una era completamente nota e l’argomento trattato era lo stesso. Tutto facile, vero, ma le cose andarono per le lunghe e con notevoli difficoltà.

La scoperta arrivò durante quella Campagna d’Egitto, che Napoleone Bonaparte intraprese alla fine del XVIII secolo. Era partito da Tolone il 19 maggio 1798 a capo di una flotta di 328 navi e di 38.000 soldati, giungendo in Egitto il 2 luglio. In considerazione di ciò che avrebbe potuto trovare, e trafugare in quel Paese Africano, Napoleone aveva portato con sé 147 scienziati («savants»), affinché trovassero e raccogliessero tutti gli oggetti e i documenti d’interesse culturale, storico, artistico eccetera, in modo da accrescere la conoscenza dei suoi connazionali sulla civiltà di cui avevano sentito parlare, ma senza testimonianze chiarificatrici sulla stessa. Questi sapienti avevano a disposizione tecnici, disegnatori, strumenti di misurazione e i libri che riportavano ciò che era noto sull’Egitto. Come s’intende chiaramente, le sue intenzioni non erano solo di conquistare il Paese, ma di imitare le gesta di filibustieri, bucanieri, corsari e pirati che, nei secoli precedenti e secondo principi diversi, erano sempre orientate verso uccisioni, soprusi, saccheggi, ruberie e ricatti. L’impresa iniziò a suo favore, ma poi ad Abukir ebbe la sventura di incontrare la flotta comandata dall’Ammiraglio Horatio Nelson, che lo sconfisse in modo talmente cocente, da fargli terminare subito la spedizione.

Tornando a bomba, il classico colpo di fortuna fu il ritrovamento, da parte di un soldato rimasto ignoto, di un grosso frammento (si fa per dire) di roccia di granodiorite (lapideo della famiglia dei graniti), mentre si stava risistemando il forte di Rosetta (Fort Julien), città portuale del delta del Nilo. Era il 15 luglio 1799. Si trattava di un blocco di notevoli dimensioni, che riportava segni grafici di tre diversi tipi. La forma della pietra è irregolare: le sue dimensioni in centimetri sono di 114,4 in altezza, di 72,30 in larghezza e di 27,90 di spessore, mentre il peso è di circa 760 chilogrammi. Si ritiene che la sua altezza all’origine fosse sui 149 centimetri, con la parte superiore arrotondata. Nel luogo del rinvenimento, si sono cercati invano i pezzi mancanti: quasi sicuramente questi sono rimasti dove inizialmente la stele si trovava, cioè in un tempio, forse nella città di Sais, da dove fu asportata per essere inserita nel Fort Julien.

Il soldato, ritenuto che il ritrovato fosse di un certo interesse, lo mise all’attenzione del capitano Pierre Bouchard, che a sua volta lo mostrò al Generale Jacques Françoise Munou; questi lo portò ad Alessandria, città non molto lontana, affinché se ne approfondisse lo studio.

Molti studiosi s’interessarono alla stele e la studiarono, cercando di interpretarne il significato, ma – come si dice – non riuscirono a stanare un ragno dal buco. Come anticipato più sopra, il fatto che maggiormente colpì l’attenzione di chi ebbe la ventura di trovarsela davanti, fu la presenza di tre tipi diversi di scritture, vale a dire scolpite secondo tre grafie diverse: geroglifici, scrittura demotica (cioè riservata alla gente comune, perché più semplice da scrivere e leggere, mentre quella ieratica, più difficile, era riservata ai testi sacri) e greco antico.

Lo scienziato britannico Thomas Young, che studiò la Stele di Rosetta nel 1814, riuscì a fare qualche passo nella comprensione dei geroglifici, ma chi riuscì a giungere alla decifrazione completa e sicura fu l’egittologo francese Jean François Champollion: egli, filologo e studioso delle antiche civiltà, impiegando la sua conoscenza della lingua greca, riuscì a decifrarli. Fra il 1822 e il 1824, dimostrò che i geroglifici erano una combinazione di segni fonetici e ideografici, piuttosto che di una scrittura basata su simbolismi e immagini, e che non rappresentavano i suoni del linguaggio, come supposto da tanti studiosi. I geroglifici usavano immagini per rappresentare oggetti, suoni e gruppi di suoni. Si narra che pure Napoleone Bonaparte fu conquistato da questo studioso, sia in merito alla decifrazione di geroglifici, sia ai suoi studi. Ed era soddisfatto del fatto che foneticamente «Champollion» rassomigliasse un po’ a «Napoleon». E fin da allora, la lettura dei geroglifici fu alla portata di tutti gli studiosi della civiltà egiziana.

Il contenuto degli scritti della Stele di Rosetta è un decreto emanato nel 196 avanti Cristo da un gruppo di sacerdoti egiziani in onore del Sovrano Tolomeo V Epifane (allora tredicenne), in occasione del primo anniversario della sua incoronazione, e di tanti altri argomenti che riguardavano la vita dello Stato.

Quando i Francesi furono sconfitti dai Britannici, ci furono discussioni animate e dispute per la spartizione dei reperti rinvenuti (veri avvoltoi sulle miserie di un popolo aggredito e martirizzato); ci furono accordi, ma sulla Stele di Rosetta, gli Inglesi non cedettero di un centimetro, considerata un bottino per Sua Maestà Giorgio III. È stato raccontato che ci fu un tentativo da parte del Generale Munou di nasconderla fra i suoi effetti personali, ma fu scoperto e, pertanto, costretto a mollarla.

Così, il prezioso reperto giunse a Londra, dove fu alloggiato presso il British Museum, dove resta, malgrado le reiterate richieste del Governo Egiziano di restituzione del maltolto; l’ultima – se non erro – risale al 2003. Per questo fatto, nel Museo di Antichità Egiziana del Cairo, fa bella mostra di sé... una copia. Per ringraziare Champollion, nella Piazza delle Scritture (Place des Ecriteurs) della sua città natale Figeac, è stata posata una copia della Stele di Rosetta delle dimensioni di metri 14 per 2,90. Poi dicono che il campanilismo manca!

(settembre 2021)

Tag: Mario Zaniboni, Stele di Rosetta, interpretazione dei geroglifici egiziani, Campagna d’Egitto, Napoleone Bonaparte, Abukir, Horatio Nelson, Fort Julien, delta del Nilo, 15 luglio 1799, Sais, Pierre Bouchard, Jacques Françoise Munou, Thomas Young, Jean François Champollion, geroglifici, civiltà egiziana, Tolomeo V Epifane, Giorgio III, British Museum, Museo di Antichità Egiziana del Cairo, Piazza delle Scritture, Figeac.