Storia di una professione di fede
Dal Concilio di Nicea alla questione del «Filioque»

La pronunciamo ogni domenica, nella Messa: è la professione di fede che comincia con: «Credo in un solo Dio...» e che testimonia ciò in cui si crede (o si dovrebbe credere). Come spesso accade nel caso di una formula ripetitiva, probabilmente non sono in molti coloro che riflettono sulla reale portata delle parole che pronunciano, sulle implicazioni che si hanno anche nella vita di ogni giorno e nei rapporti che tessiamo con gli altri e col mondo, non solo con Dio. Ancora meno sono quelli che si chiedono da dove vengano quelle parole. Dai testi delle Scritture, è ovvio. Ma quale strada hanno percorso?

Siamo all’inizio del IV secolo. Sul trono di Roma siede l’Imperatore Costantino. Ha sconfitto i suoi nemici ed ex alleati e gode di un potere assoluto; si prepara a celebrare i 20 anni dalla sua assunzione all’Impero. Ma l’Impero è scosso da gravi discordie.

Si è appena ricomposta la controversia con i donatisti, con scontri feroci e numerosi morti e feriti, che si diffonde la dottrina dell’arianesimo. Ario è un sacerdote di probabili origini libiche; scomunicato, nel 321 si rifugia da Eusebio Vescovo di Nicomedia, suo antico compagno di studi. Qui compone la sua opera principale, Thalia (Banchetto), scritta parte in prosa e parte in versi.

Che cosa dice Ario? La questione si inserisce nel tentativo di spiegare la figura di Gesù Cristo e la sua divinità, nel contesto delle discussioni che hanno agitato la Chiesa per tutto il II e il III secolo. Ario vuole mantenere il più assoluto monoteismo (Dio è uno), l’assoluta trascendenza di Dio e insieme la verità della divinità di Gesù. Egli rifiuta di dire che Gesù è stato «generato», per assumere l’espressione di «creato al di fuori del tempo», ma per porlo nell’eternità stessa di Dio, precisa «che ci fu un tempo in cui Egli non esisteva», anche se questo tempo non è il tempo dell’uomo: «Il Figlio […] per volere e decisione del Padre è venuto all’esistenza prima dei tempi e dei secoli, pienamente Dio, unigenito, inalterabile. E prima […] non esisteva. […] Veniamo perseguitati [parla degli ariani] perché abbiamo detto: “Il Figlio ha principio, mentre Dio è senza principio”. Per questo siamo perseguitati, e perché abbiamo detto: “Deriva dal nulla”».

Per discutere dell’errore di Ario, Costantino convoca nel 325 un Concilio a Nicea. Si tratta del primo grande Concilio Ecumenico dell’antichità, che Papa Gregorio Magno paragonerà a un Vangelo: vi partecipano 220 Vescovi provenienti da tutto l’Oriente, dalla Siria all’Arabia, dall’Egitto alla Mesopotamia, dalla Tracia alla Macedonia, dalla Persia alla Scizia; solo cinque vengono dall’Occidente perché la questione sembra riguardare soprattutto l’Oriente. Le discussioni conciliari si aprono il 20 maggio e sono libere; lo stesso Ario può spiegare la sua dottrina.

Il 19 giugno viene approvato il testo che riprende sostanzialmente il Simbolo battesimale, proclamato nella Chiesa di Cesarea (o di Gerusalemme), carico di tutte le incertezze delle prime elaborazioni:

«Crediamo in un solo Dio
Padre onnipotente
Creatore di tutte le cose visibili e invisibili
E in un solo Signore Gesù Cristo
il Figlio di Dio
generato monogenito dal Padre
cioè della sostanza del Padre
Dio dal Dio
Luce da Luce
Dio vero da Dio vero
generato non creato
della medesima sostanza del Padre
per mezzo del quale tutto fu fatto
quelle nel cielo e quelle nella terra
che per noi uomini e per la nostra salvezza
è disceso e si è fatto carne
si è fatto uomo
ha sofferto ed è risorto il terzo giorno
è salito al cielo
verrà per giudicare i vivi e i morti
E nello Spirito santo
Quelli che dicono: “Vi fu un tempo in cui non esisteva
o che “venne dal nulla”
o che dicono il Figlio di Dio essere da altra ipostasi o sostanza o dicono essere mutabile o convertibile
Tutti questi anatematizza la Chiesa cattolica e apostolica».

Si nota la grande somiglianza con la Professione di fede stabilita dal Papa Pio IV sulla base del Concilio di Trento (1545-1563), che è poi quella che recitiamo durante la Messa:

«Credo in un solo Dio,
Padre onnipotente,
Creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce,
Dio vero da Dio vero,
generato, non creato,
della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo,
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
mori e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato,
secondo le Scritture, è salito al cielo,
siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria,
per giudicare i vivi e i morti,
e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo,
che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio.
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo la Chiesa,
una santa cattolica e apostolica.
Professo un solo Battesimo
per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti
e la vita del mondo che verrà.
Amen».

(Ovviamente al Concilio non si discute solo di questo, benché sia il «tema» principale: gli altri argomenti sono la data della Pasqua, la vita del clero con particolare riguardo al celibato, l’organizzazione metropolitana della Chiesa, la prassi penitenziale).

Potrebbe stupire qualcuno il fatto i Cristiani coinvolgano l’Imperatore in questioni religiose. Ma non dobbiamo dimenticare che anche i Cristiani ragionano da Romani: il potere politico deve normare anche la vita religiosa; religione e Stato sono intrinsecamente uniti, e la religione è una delle espressioni dell’essere Romani: è la mentalità pagana ancora imperante. Inoltre Costantino, che ha il desiderio di conoscere ciò che è giusto e ciò che è vero (e di perseguirlo, superando gli ostacoli che gli si pongono dinanzi), pur cercando di lasciare certe questioni ai Vescovi, è impensierito dalle divisioni che coglie tra i Cristiani ed è preoccupato soprattutto di garantire l’ordine pubblico.

L’attenzione di Costantino a dimostrare il suo interesse ai Vescovi si coglie sia nel fatto che il Simbolo di Nicea viene promulgato come legge imperiale, sia nelle feste, che l’Imperatore indice alla fine del Concilio e che coincidono con il ventennale del suo regno: i Vescovi sono invitati a un banchetto solenne nel palazzo imperiale, e colmati di doni, ma anche esortati alla pace e alla concordia.

Nicea rimane una tappa fondamentale nella storia della Chiesa: offre una prima riflessione organica alla Chiesa, la costringe a pensare e a scegliere, a elaborare in maniera singolare senza mutuare dagli altri.

Costantino non si intende di problemi teologici e non può perciò imporre una sua visione, appoggiando quella delle persone di sua fiducia. I Vescovi ariani vengono deposti e mandati in esilio, ma dopo soli tre anni, per le pressioni della madre e della sorella dell’Imperatore, vengono richiamati e l’esilio è comminato ai Vescovi «ortodossi» (talvolta condannati per ragioni ridicole: il Vescovo Atanasio, che ha partecipato al Concilio di Nicea e – sembra – è stato lui a scrivere la lettera di denuncia contro Ario, è accusato di aver spezzato il calice di un prete di un villaggio). Lo stesso Costantino si fa battezzare sul letto di morte da Eusebio, Vescovo ariano di Nicomedia, nel 337. L’anno prima è morto lo stesso Ario, a Costantinopoli, dove risiede dopo che i fedeli di Alessandria gli hanno impedito il rientro in quella città. L’atteggiamento ondivago degli Imperatori successivi, che appoggiano gli ariani o gli ortodossi per ragioni puramente politiche, provocherà vere e proprie persecuzioni con numerosi morti e feriti.

Più grave, e destinato a non rimarginarsi più (anche se, soprattutto negli ultimi decenni, sono stati fatti dei passi avanti a opera di alcuni Papi), è il cosiddetto Scisma d’Oriente (1054), ovvero la rottura tra la Chiesa Orientale (l’attuale Chiesa Ortodossa) e la Chiesa Occidentale (Chiesa Cattolica). Ufficialmente, esso è determinato dall’introduzione del «Filioque» («e del Figlio») nel Simbolo di Nicea (già adattato nel Concilio di Costantinopoli del 381 con l’ampliamento di alcune parti e l’aggiunta di altre), laddove si dice che lo Spirito Santo procede dal Padre «e dal Figlio» congiuntamente, e non solo dal Padre. Questo sulla base di una tradizione teologica attestata da numerosi Padri della Chiesa Occidentale, tra i quali Ilario, Ambrogio, Agostino e Leone Magno; viene inserito in diversi simboli di fede fin dal V secolo e nel Simbolo di Nicea sicuramente dalla fine dell’VIII secolo.

L’introduzione del «Filioque» si inserisce nella lotta contro l’arianesimo, ancora virulento in Occidente: affermare che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio significa ribadire che il Figlio è consustanziale (cioè della stessa sostanza) al Padre e, quindi, per confessare la sua divinità; si vuole in pratica rimarcare la piena comunione del Figlio con il Padre e di conseguenza la sua piena e vera divinità. Ma per la Chiesa d’Oriente questo è un attentato alla sua autorità, anche nel contesto del conflitto tra il Patriarca Michele Cherulario e il Papa Leone IX per il primato universale delle Chiese Greca e Latina (nell’Atto Sinodale del 24 luglio 1054, Michele Cherulario risponde che «uomini empi ed esecrandi, uomini venienti dalle tenebre [gli Occidentali, con tutta evidenza], sono arrivati in questa città [Costantipoli] conservata da Dio […]. Inoltre ci accusano perché non adulteriamo, come loro, il sacrosanto simbolo e non diciamo, come loro, che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio […] senza aver potuto tuttavia ricavare questa voce dagli Evangelisti, o derivare questo dogma blasfemo dal sinodo ecumenico»). In realtà, già Gesù ha promesso ai discepoli il dono dello Spirito Santo con le parole (corsivo mio): «Quando verrà il Paraclito, che Io vi manderò dal Padre, Egli darà testimonianza di me». In pratica, a questioni puramente politiche si somma un’incapacità e un rifiuto del dialogo, che nel corso del tempo sono state cause – questa incapacità e questo rifiuto – di persecuzioni e di guerre sanguinose.

(aprile 2024)

Tag: Simone Valtorta, professione di fede, Concilio di Nicea, Filioque, Costantino, Impero Romano, arianesimo, Ario, Eusebio di Nicomedia, Thalia, Simbolo battesimale, Concilio di Trento, Scisma d’Oriente, Simbolo di Nicea, Michele Cherulario, Leone IX.